giovedì 17 dicembre 2009

Le voci del Klimaforum


da TERRA TERRA del Manifesto, 16.12.2009
di Marina Forti

È un complesso di capannoni ai bordi di Sydhaven, un braccio del porto. La vecchia architettura di mattoni rossi conserva il suo fascino, ora c'è un teatro, un'esposizione permanente di arte contemporanea e grandi spazi aperti. Difficili da usare, nel gelo della Copenhagen invernale: pochi i volontari del Klimaforum, intirizziti, sotto il tendone-cafeteria. Altri sono sparsi nella sala dove ogni mattina alle 8 un gruppo di adepti di filosofie orientali è in seduta di meditazione, o nella casetta dove ha sede logistica l'organizzazione del forum, basato sul lavoro di decine di volontari. Molti sono giovani e vengono da paesi esotici. Altri sono di qui: come Birte Pedersen, capelli grigi e berretto di lana, abitante di Christiania ancora indignata per l'accanimento della polizia («che pensano di fare, di arrestarci tutti preventivamente?»).
Il forum vero e proprio è poco oltre, in un grande complesso moderno d'acciaio e vetrate al limitare di Vesterbro, ex quartiere operaio in via di rinnovamento urbano. Qui il Klimaforum tiene bottega dal 7 dicembre con decine di seminari ogni giorno, incontri «di richiamo» con i grandi nomi del movimenti no-global mondiale, piccoli «scoop» - come quando arriva il presidente delle Maldive, quello che aveva riunito il suo governo sott'acqua per mostrare al mondo cosa rischiano le piccole isole dei mari del sud. Qui aspettano, il 17, la visita di Hugo Chavez e Evo Morales, i presidenti di Venezuela e Bolivia - pilastri dell'Alba, «alternativa bolivariana» dell'America latina. C'è l'auditorium per gli incontri più affollati, ci sono tavolini per sostare sul corridoio sopraelevato che scavalca la piscina - già, perché questo è in tempi normali, un centro sportivo e culturale dalla storia interessante: era un sito occupato, poi la municipalità di Copenhagen l'ha assegnato agli occupanti che hanno formato una specie di cooperativa di gestione, oggi funziona egregiamente e si autofinanzia. Quel che resta della socialdemocrazia scandinava.


Ieri nell'auditorium del Klimaforum si discuteva di Redd, uno degli aspetti più criticati dei negoziati in corso alla conferenza dell'Onu sul clima: sta per «ridurre le emissioni (di gas di serra) da deforestazione nei paesi in via di sviluppo», e ruota attorno all'idea di assegnare un valore finanziario all'anidride carbonica sequestrata dalle foreste e avviare un meccanismo in cui paesi ricchi paghino quelli in via di sviluppo perché proteggano le foreste medesime. Ieri Camila Morena, del Friends of the Earth Brasile, parlava di Redd visti da chi vive in Amazzonia: «Così trasformano un bene comune, la foresta di cui le nostre popolazioni contadine e indigene sopravvivono, in un bene commerciabile». I progetti Redd, si chiede, «saranno esempi di gestione forestale comunitaria o una gestione commerciale?». A chi resterà il controllo, sarà garantita la sovranità degli abitanti sulle foreste che hanno sempre gestito in modo sostenibile in una piccola economia locale? «A giudicare da esperienze viste in Africa temiamo la corsa a «vendere» lotti di foresta da gestire in modo «sostenibile» si risolverà in ulteriore espropriazione delle popolazioni locali. Nelle altre sale si discute di piccola agricoltura sostenibile, dei rischi delle «energie verdi» su larga scala, di cambiamento di clima in Africa, di progetti eco-sostenibili in Germania. A volte discorsi generici, rischio dei forum alternativi che si limitano alla testimonianza. Altre volte molto concreti e di fondo, con studi e cifre. Ma non c'è nulla da fare: le voci del Klimaforum non arrivano al Bella Centre, il centro congressi dove è riunita la conferenza dell'Onu.

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