venerdì 30 marzo 2007

alluvione a Santa Fe



Sembra che negli ultimi tempi dai nostri amici sparsi per il Sud del mondo non vengano che cattive notizie. Ecco le ultime nuove dai compagni di CANOA in Argentina.

Hoy 28 de marzo de 2007 grandes sectores de la ciudad de Santa Fe, y de toda la provincia, se ven nuevamente inundados. Esta vez no es el río Salado. Si no que las ya precarias redes de desagües pluviales no dan abasto. Entonces las imágenes de siempre. El agua en la calle, en el patio, en la pieza, en la cocina. Camiones juntando las mujeres y los chicos para trasladarlos a lugares secos. Los varones se quedan cuidando las pocas pertenencias. Mientras otros sacan la heladera, la cama, los colchones.


A un mes de cumplirse cuatro años de la inundación, la catástrofe social y política más grave de la provincia de Santa Fe, los y las habitantes de la ciudad volvemos a sufrir las consecuencias de una política que no responde a las necesidades y problemas de la ciudad en su integralidad. Las continuas inundaciones por lluvia son el resultado de la falta total y absoluta de una planificación urbana que incluya a las problemáticas de todos y cada uno de los barrios de Santa Fe.


La anunciada obra de los Lagos del Oeste, que vendría a resolver los problemas de canalización de agua pluvial fue la única, de las tres obras anunciadas en el 2004 por el gobernador Obeid, que no se llevó adelante. Hoy ese mega proyecto ni siquiera tiene un presupuesto y la situación en el borde oeste se agudiza cotidianamente. La única respuesta que se le da desde el Estado son obras aisladas que poco apuntan a una planificación integral.


Si bien el temporal y la lluvia afecta a toda la ciudad, haciendo colapsar todos los servicios, los más afectados son los barrios que diariamente viven la exclusión, o en su versión paternalista, una inclusión clientelar. Privados de sus derechos a una vivienda, al agua y a los servicios sanitarios, a una infraestructura vial que permita habitar el barrio de un modo digno, se suma la “inexistencia” del tan mentado “Plan de Contingencia”.


Después de las sucesivas inundaciones vividas, los/as santafesinos/as reconocemos que Santa Fe es una ciudad en riesgo. Pero si las políticas públicas implementadas para ir reduciendo esa vulnerabilidad son ficticias lo único que estamos produciendo es más riesgo ante la presencia de “viejas amenazas” (crecida extraordinaria de los ríos, lluvias torrenciales en pocas horas).


Si las grandes obras urgentemente necesarias no se realizan, la ciudad no se prepara ni para eventos particulares (como puede ser un gran temporal) ni tampoco para la cotidianeidad. Y si las políticas sociales tienden a ser cada vez más fragmentadas, nuestra vulnerabilidad se acrecienta porque seguimos sin saber qué hacer ni a quien recurrir.


Luego de haberse creado una Secretaría de Riesgo Hídrico en el ámbito municipal, con especialistas en la materia a la cabeza; luego de haberse publicado e intentado instalar el supuesto plan de contingencia en los barrios hoy queda evidenciada la inexistencia de dicha política.

Como siempre los centros de evacuados son creados una vez que el agua ingresó a las viviendas; los vecinos se ven obligados a autoevacuarse; los canales a cielo abierto se tapan por el depósito de basura que contienen; las bombas extractoras no dan abasto; las obras de infraestructura necesarias no están realizadas. Hoy, Santa Fe sólo depende de algunas bombas de extracción… ¿Quién no aprendió la lección?


El horizonte de una ciudad que nos incluya a todos está cada vez más lejos. Si existiera la voluntad política de considerarnos a todos ciudadanos de esta ciudad otras medidas se tomarían. Cada vez que llueve y la gente tiene que volver a salir de sus viviendas, el Estado aparece operando como si fuese la primera vez que sucede algo similar. Y en Santa Fe se vuelve a repetir la misma historia.

Digan lo que digan, hagan lo que hagan, el rey está desnudo. Y la gente, sola.

mercoledì 28 marzo 2007

Marakesch


Ciao!!!
volevo scrivere sul blog e dal momento che non vi ho raccontato nulla del mio viaggio in Marocco, ne approfitto per scrivere due righe!!!Ho fatto una salto dove ha lavorato Katia come molti sapete.Visitato il centro degli artigiani che oltre alle attività per cui è finalizzato è usato anche per un un corso di teatro per ragazzi e lezioni di francese a delle giovani donne!! E'stato molto divertente assistere al corso teatrale di questi bambini, sembrava di essere in una delle mie varie attività scolastiche. E la vicinanaza dei meccanismi bambini- animatore è stata sorprendente. Loro sono più vivaci e incontenibili, i nostri spesso più spenti. Ma è stata una bellissima e breve esperienza! volevo comunicarvela!!! Secondo da quando lavoro ad Idea Solidale e mai niente è a caso....vi tempesterò ancora di più sulla proposta di fare l'associazione dei volontari!!!!!!!!!! Dai...perchè più avanti non si potrà più aderire... da quello che percepisco!!!! Ciao buon Lavoro Valeria!

CONCORSO FOTOGRAFICO "il colore della musica"

Le tre Organizzazioni Non Governative, DI-SVI, MAIS e Re.Te, riunitesi in Associazione Temporanea di Scopo per la realizzazione del Progetto di Educazione allo Sviluppo cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri “Il Colore della Musica”, promuovono la realizzazione di un concorso fotografico, avente come tema:
“IL COLORE DELLA MUSICA”.
Il Concorso è parte integrante di un progetto più ampio che intende promuovere la musica, il canto e la danza, nei loro vari aspetti, come strumenti di avvicinamento fra le varie etnie e culture presenti sul territorio nazionale. Questo concorso vuole quindi stimolare tutti coloro che amano la fotografia a “vedere” la musica, il canto e la danza e gettare quindi un ponte fra queste arti.

Ai partecipanti viene richiesto un portfolio fotografico composto da un numero minimo di 5 ad un numero massimo di 10 immagini inedite che illustrino il tema del concorso. Le immagini dovranno essere accompagnate ciascuna da una breve presentazione (non superiore alle righe predisposte per ogni foto dal modulo di partecipazione, oppure da un’unica presentazione dalla lunghezza non superiore ad una cartella in formato A4).

Richiedeci via mail il regolamento, ve lo invieremo all'istante: rete@arpnet.it

continua il ciclo di formazione "cooperare? sì grazie!"


Il ruolo della cooperazione tra nuove politiche di sviluppo, tutela dei diritti e commercio nord – sud

Corso di formazione

Sede IAL, Torino, Via Adorno 4
7 marzo - 16 maggio ore 14/16


28 marzo Per un commercio equo: tra il libero mercato e la tutela del produttore

30 marzo Gruppo di rielaborazione

4 aprile Il diritto del lavoro nei paesi del terzo mondo

11 aprile I diritti delle donne e dei minori: alfabetizzazione e salute

13 aprile Gruppo di rielaborazione

18 aprile Primo studio di caso: il progetto DISVI

2 maggio Secondo studio di caso: il progetto MAIS

9 maggio Terzo studio di caso: il progetto ReTe

11 maggio Gruppo di rielaborazione

16 maggio Gruppo di rielaborazione

A questi incontri se ne aggiungeranno altri in data da definire per completare l’attività di rielaborazione e l’organizzazione del materiale che verrà successivamente pubblicato.

La partecipazione è gratuita, mettetevi in contatto con noi se volete maggiori informazioni:

RE.TE. ONG 011/7707398 rete@arpnet.it
DISVI ONG 0141/593407 italia@disvi.it MAIS ONG, 011/657972 info@mais.to.it

esplosioni a Maputo



Ciao a tutti,

Per vostra informazione e, immagino curiosita’ e interesse, vi mando qualche “frammento” (da noi erano invece schegge!) di quanto accaduto a Maputo il giorno 22 Marzo 2007 con l’esplosione del deposito principale di munizioni pesanti di Maputo. Il materiale bellico risaliva al periodo coloniale e post coloniale della guerra tra FRELIMO e RENAMO, ammucchiato chissa’ come in vari depositi.

Le esplosioni sono cominciate verso le 15 e sono andate avanti ininterrottamente fino a verso le 18:30, ma ci sono state anche esplosioni sporadiche fino alle 22:00.

Per una ora e mezza circa sono esplose le munizione di minore potenza, forse granate, obici di cannoni, ecc..., le cui detonazioni arrivavano comunque fino alla zona centrale di Maputo (circa 9 km di distanza dai depositi!), dando l’impressione di un bombardamento continuo e senza sosta eseguito da bazooka o cannoni.

Verso le 17 sono invece cominciate le vere bombe pesanti, dando l’impressione che esplodessero a poche centinaia di metri, lanciate da invisibili e silenziosi caccia, mandando in frantumi i vetri in molte parti della citta’ e creando panico tra la popolazione. Alcune bombe rimosse poi dai quartieri limitrofi erano delle dimensione di piu’ di un metro di lunghezza e 50 cm di larghezza, altre invece erano dei veri e propri missili piu’ sottili ma di circa due metri di lunghezza.

Sopra il campo sanitario della Cooperazione Italiana e’ passato con un gran sibilo un oggetto che si e’ andato ad insabbiare sulla spiaggia esattamente di fronte, fortunatamente senza esplodere, percorrendo quindi una distanza dall’origine di circa 10 km!

Ovviamente, sui popolosi quartieri vicino al deposito munizioni, c’e’ stata un pioggia di esplosivi seminando morte, distruzione e terrore. Nel nostro Centro di Formazione Professionale, nel quartiere “25 di Junho” dell’UGC, sono crollati i tetti falsi di due sale corsi, che erano fatti di pannelli di gesso mantenuti da una struttura di profilati di alluminio. Alcuni vetri sono andati in frantumi.

Nella sede della radio dell’UGC, nel quartiere Bagamoio, 1,5 km piu’ vicino al deposito di munizioni, sono andate in frantumi tre grosse vetrate di circa 3mx4m con uno spessore di oltre un cm.

Severamente colpito e’ stato invece l’ospedale di Infulene che si trova lungo la strada nazionale, ad una distanza di circa 1,5 km dal deposito munizioni. L’ospedale sembra come se fosse stato intenzionalmente attaccato con colpi di bazooka, avendo aperto due grosse falle nelle pareti di due edifici. In una delle due sale colpite funzionava una infermeria piena di malati. La decisione di un infermiere di far evacuare l’infermeria alle prime esplosioni sentite, dato che si affacciava alla strada, e’ stata provvidenziale, salvando tutte quele vite. La sala e’ andata completamente distrutta dopo essere stata centrata da un obice.

Il bilancio della tragedia e’ stato molto pesante, essendoci stati circa 100 morti, 400 feriti tra gravi e meno gravi, centinaia di case distrutte o danneggiate.

La versione del Ministro della Difesa sulle cause dell’incidente e’ stata quella dell’eccessiva temperatura registrata il giorno 22 di Marzo. Ovviamente, nessuno ci crede!

Quello che invece e’ emerso chiaramente e’ la irresponsabilita’ del Governo su un aspetto che gia’ aveva creato seri problemi in passato. Lo stesso deposito era esploso creando vittime nel 1985, mentre nel Gennaio di quest’anno ci sono state altre esplosioni senza vittime, creando pero’ danni alle case vicine. In entrambe le occasioni si era detto che si sarebbero presi provvedimenti (quello piu’ ovvio sarebbe di ritirare il deposito dall’attuale posizione in mezzo alla popolazione!) ma, come al solito, sono state solo chiacchiere.

Tonino Archetti

martedì 27 marzo 2007

ritorno dal guatemala













Sembra esserci maggiore attenzione recentemente per l’area centroamericana e per il Guatemala, scomparsi per anni dalla scena: lo dimostrano anche le visite di Bush in Guatemala e Chavez in Nicaragua, la cumbre latinoamericana dell’IBD a Guatemala e quella dei popoli indigeni del continente che ha appena avuto luogo, con l’intenzione di “decontaminare” i luoghi della visita di Bush.

Il primo maggio si avvia la campagna elettorale per l’election day, quando il 9 settembre si voterà per il presidente, il parlamento, il parlamento centroamericano e le amministrative. Molti lavori vengono fatti in questo periodo in tutto il paese, bloccandolo, per conquistare voti a favore dei politici in carica.
La partecipazione politica nel paese è molto limitata, in genere moltissimi votano per chi pensano vincerà, indipendentemente dal suo programma politico. Alcuni partiti stanno cominciando a fare le primarie, introducendo un fattore in più di democrazia.
Rigoberta Menchú, nobel per la pace, si candida a presidente; questo è un fattore positivo perché può aprire spazi di partecipazione al potere degli indigeni e un’attenzione maggiore ai diritti umani. Si considera però che non abbia possibilità di vincere, almeno a questo turno, bensì solo di ottenere seggi in parlamento. C’è anche da dire che Rigoberta Menchú non è amata dagli indigeni nel paese, lo è molto di più a livello internazionale; molti sembrano intenzionati a non votarla contro la sua figura, pur essendo molto vicini al suo programma politico di sinistra.

Noi lavoriamo nella valle del Palajunoj, che si apre da Quetzaltenango, la seconda città del paese che tutti chiamano Xela per brevità (il suo vecchio nome maya è Xelajù).
La zona della Valle è complicata: vi hanno fallito molti interventi di istituzioni pubbliche e private. È inoltre sempre utilizzata come cavallo di battaglia in periodo elettorale, essendo la popolazione rurale più influenzabile di quella urbana. Tante promesse e tentativi hanno quindi creato una sfiducia e disillusione diffusa. I risultati sono stati pochi e la zona è stata sempre emarginata.
È in atto una grande trasformazione del Valle da rurale ad urbano, soprattutto nella bassa valle: l’intera area è maggiormente popolata e non si sostenta più solo sull’agricoltura, anche se quasi tutte le famiglie hanno una piccola milpa (campo di mais), qualche animale e un po’ di bosco. Tuttavia moltissimi lavorano nelle costruzioni e l’attività edile è in fermento. I giovani studiano di più e mirano in massa a trasferirsi in città: avviene quindi una separazione generazionale anche tra settori produttivi.

È in atto anche una perdita di identità culturale. La migrazione all’estero è abbastanza diffusa: migrano le persone di profilo medio, i leader comunitari, non i più poveri (servono 4 mila euro per un coyote che faccia “passare dall’altro lato”, gli USA).
I momenti di unione comunitari sono pochi: un’assemblea all’anno, la festa patronale, i comitati per l’acqua. In questo senso il progetto sta iniziando ad avere un ruolo positivo per mezzo della facilitazione di un’istanza comune ancora informale: per ora, questo è il risultato più importante raggiunto.

Le comunità avevano partecipato al progetto in misura limitata, almeno inizialmente. Questo è dovuto alla disgregazione sociale, a sua volta causata da vari fattori:
- La storia irrisolta del conflitto.
- La vicinanza del centro urbano e l’apporto a livello familiare delle rimesse degli emigrati negli USA.
- L’esperienza di troppe promesse ed attese di progetti che ha portato sfiducia e disillusione.

Daniela

traslochi

carissimi tutti, per problemi dovuti al passaggio di blogger a una versione beta ed alla nostra incompetenza informatica, ci siamo trasferiti qui. spero ci seguirete.