martedì 29 dicembre 2009

America Latina, l’Alba sperimenta la moneta virtuale “anti-dollaro”

Roma, 29 dic (Velino/Velino Latam)
Il 1 gennaio del 2010 entrerà il “Sucre”, la moneta coniata dai paesi del’Alba (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América) inizierà la sua vita virtuale. Cinque paesi dell’area creata nel 2004 su impulso di Cuba e Venezuela, metteranno in funzione il cosiddetto Sistema Unitario de Compensación Regional de Pago, il cui acronimo - Sucre - coincide con il nome del generale José de Sucre che suggellò l’indipendenza del Perù dalla Spagna. Le transazioni nella nuova divisa - ancora solo virtuale - potranno per il momento essere effettuate solo dalle banche centrali, mentre gli operatori privati continueranno ad utilizzare le monete nazionali. Nelle intenzioni dei promotori il Sucre dovrebbe in una prima fase rendere più agevoli le operazioni finanziarie tra le parti e, in prospettiva, creare lo scenario per il varo di una moneta in grado di rimpiazzare il dollaro negli scambi di un’area di nove paesi (Antigua, Bolivia, Cuba, Dominica, Ecuador, Honduras, Nicaragua, Saint Vincent e Venezuela) e oltre 70 milioni di abitanti.
Uno scenario non immediato ma che potrebbe restringere ulteriormente lo spazio vitale del biglietto verde in America Latina: economie di primo piano come quelle di Brasile e Argentina hanno avviato programmi di scambio senza l’intermediazione della divisa statunitense, lanciando un esempio sul quale stanno ragionando altri paesi del Mercosur. Il primo scambio in Sucre si dovrebbe celebrare a fine gennaio, con la vendita di una fornitura di una partita di riso dal Venezuela a Cuba. In prospettiva l’Alba dovrebbe erigere un altro bastione nella sua ancora acerba architettura finanziaria: quella della Banca centrale. Secondo il ministro degli Esteri ecuadoriano, Fander Falconí, l’istituto potrebbe nascere già nel primo trimestre del 2010.


www.ilvelino.it

Madagascar: fermate il saccheggio!


Le foreste del Madagascar sono un patrimonio unico al mondo, caratterizzate da specie animali e vegetali che non si trovano in nessun'altra parte del mondo. Lo sfruttamento delle risorse forestali versa in uno stato di completa anarchia, ed è gestito da gruppi armati che saccheggiano il palissandro e altri legni di pregio, per spedirli in Cina, dove vengo lavorati e smistati in tutto il mondo. Il legname illegale viene caricato nel porto di Vohemar e trasportato dalla compagnia di navigazione Delmas, una sussidiaria belga del gruppo francese CMA-CGM.

Diverse associazioni malgascie hanno richiesto alla Delmas di fermare il traffico di legno illegale. Malgrado le prove circa la provenienza illegale del legname, la Delmas si è rifiutata di fermare le spedizioni, sostenendo di avere tutti i permessi di trasporto.

Ogni giorno 460.000 dollari di legname pregiato viene rubato dai parchi nazionali e da altre aree di foresta nel nord-est del paese. Il legname viene poi trasportato nel sud della Cina: Hong Kong, Dalian, Shanghai, Ganzhou. Tra il 1998 e il 2008, le importazioni cinesi di legname tropicale sono quadruplicate, arrivando a 45 milioni di metri cubi annui.

Un rapporto investigativo sullo sfruttamento illegale delle foreste malgascie è stato recentemente rilasciato da Global Witness e dall'Environmental Investigation Agency.

L'associazione Reganwald ha promosso una petizione per chiedere alla Delmas di fermare il saccheggio in Madagascar.


fonte:www.salvaleforeste.it

Il Nord Mali e le profezie auto-realizzate


28 dicembre 2009, Jean-Christophe Servant – Le Monde (estratto)

Nel 1995, Howard French, del New York Times diceva da Bamako: «I diplomatici parlano di questo paese isolato come di un bastione contro l’islam militante che si estende a partire dalle frontiere del nord con l’Algeria». Quindici anni dopo, la situazione è sempre più complessa e offuscata, come dimostra la scoperta a Tarkint della carcassa di un Boeing 727, verosimilmente latinoamericano e che avrebbe potuto trasportare cocaina ed armi ; il rapimento di Pierre Camatte a Menaka e poco dopo di tre membri spagnoli di Accio Solidaria. A maggio, dopo la liberazione di due diplomatici canadesi rapiti alla frontiera tra Mali e Niger, un altro ostaggio, il britannico Edwyn Dyer, è stato assassinato.

La complessità dei fattori geopolitici, umani ed economici di quest’area non permetterebbe che delle ipotesi. Ma i media occidentali previlegiano una sola spiegazione: la minaccia globale di Al-Qaida, incarnata in Sahel dall’AQMI (Al-Qaida nel Maghreb Islamico).

L’intensificazione dell’aiuto militari al Mali da parte degli USA di Barack Obama si appoggia su questa lettura: l’ultimo caso che attesta la crescente implicazione militare americana in Sahel. Il sottosegretario americano agli affari africani, M. Johnny Carson, ha dichiarato in proposito : «Il Mali è una delle democrazie più stabili d’Africa, ma i suoi sforzi per scongiurare l’insicurezza nel nord del paese sono gravemente ostacolati dalla povertà delle sue infrastrutture e dalla sua incapacità di fornire i servizi e le opportunità in materia di educazione alle zone più isolate

Niente prova tuttavia, che Al-Qaida nel Sahara sia davvero Al-Qaida. Leggendo le analisi dell’antropologo britannico Jeremy Keenan, ci si potrebbe perfino domandare se le potenze occidentali non abbiano contribuito, con l’appoggio dei servizi segreti algerini e maliani e di certi baroni del Nord Mali, a scrivere una profezia auto-realizzatrice.

Nel 2008 scriveva al riguardo: «Sono rari i luoghi al mondo altrettanto soggetti a disinformazione quanto il Nord Mali e la sua frontiera con l’Algeria. È vero che si tratta del punto focale dell’amministrazione Bush riguardo alla fabbricazione di un secondo fronte sahariano nella cosiddetta guerra al terrorismo.»

Prima sigla a comparire: il GSPC, gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento, ribattezzato AQMI nel gennaio 2007. Primo Bin Laden saheliano: Amari Saïfi, El-Para, ex-ufficiale delle forze speciali algerine, ma addestrato dal 1994 al 1997 a Fort Bragg dai berretti verdi americani. El-Para non avrebbe mai smesso di lavorare per gli algerini, con il duplice obiettivo di permettere all’Algeria di stringere i legami con gli Stati Uniti nella guerra al terrorismo e di offrire a Washington l’occasione di rafforzare il controllo militare sul Sahel.

La nebulosa AQMI, alimentata da alcuni franchi tiratori islamici e contrabbandieri di sigarette, si sarebbe trasformata in un ibrido di gruppi attivi dalla Mauritania al Niger, permettendo alle potenze occidentali di dispiegare le proprie forze speciali sul corridoio sahariano, oggetto di avidità internazionali per le sue ricchezze in uranio (Niger), petrolio, gas e oro (Mali).

«La teoria del complotto che vede i servizi segreti algerini (DRS) dietro l’AQMI non è nuova, afferma Alain Rodier, ex-ufficiale direttore di ricerca su terrorismo e criminalità organizzata al CF2R francese. La mia opinione è che sia normale che i servizi algerini tentino di penetrare i movimenti islamici radicali al fine di combatterli. Non è normale invece che gestiscano la situazione pilotando dei gruppi estremisti. Molto spesso i loro agenti sono totalmente incontrollabili. Nel Sahel vagano varie bande. Le principali sono la «9° regione » dell’AQMI, diretto da Yahia Djouadi, e il gruppo di Mokhtar Belmokthar i cui obiettivi sembrano totalmente mirati al lucro. Queste due bande sono obbligate a negoziare con le tribù tuareg che solcano tradizionalmente il Sahel. È in questo quadro che bisogna capire la vendita di ostaggi rapiti nella regione. Persino la direzione di Al-Qaida in Pakistan ha riconosciuto a giugno 2009 che la situazione non è soddisfacente in Sahel. Evidentemente, agli occhi del nocciolo duro di Al-Qaida, l’apertura di un vero fronte saheliano tarda a venire. Come in passato, i traffici continueranno, forse con una crescita dei legami tra i narcos sudamericani e le bande locali.»

Fino a dicembre, nulla provava che l’inquietante intensificazione del narcotraffico in Africa occidentale, lungo la costa che va dalla Guinea Bissau alla Nigeria – si compisse con la complicità di criminali appartenenti all’AQMI. Grazie a due agenti della DEA americana, infiltrati come narcotrafficanti colombiani, tre maliani « autoproclamatisi » di Al-Qaida furono arrestati ed estradati, riconoscendo di fornire regolarmente carburante e cibo ai commandos di Al-Qaida nella regione di Gao.

Jeremy Keenan commenta : «Sospetto che gli Stati Uniti utilizzeranno questo stratagemma per allargare il loro discorso in Sahel e la profondità strategica sul continente. L’Algeria farà finta di considerarlo un problema specifico del Sahel di cui non ha alcuna responsabilità. E nazioni europee come la Francia e la Spagna useranno questo pretesto che protendere un po’ di più le mani, militarmente parlando, sul Sahel, e specialmente sulle zone minerarie del Nord Niger. Assisteremo a un processo di ricolonizzazione. I Tuareg potranno anche ribellarsi di nuovo, ma non subito: le tribù sono stanche e divise. Il Sahara non è mai stato così frequentato.»

lunedì 28 dicembre 2009

La soia si mangia l'Argentina

Le ruspe avanzano in tutta l'Argentina del nord-ovest: dal Chaco, alle foreste dello Yungas alle Ande, gli alberi vengono abbattuti il suolo spianato per fare spazio alla monocoltura della soia. Soia e zucchero sono i principali fattori della deforestazione. Entrambi i settori, sviluppati per rispondere alla crescente domanda da parte dell'industria alimentare, vedono ora una nuova ondata di espansione legata allo sviluppo del biodiesel.
Un nuovo rapporto pubblicato dall'associazione argentina CAPOMA assieme alla paraguayana BASE Investigaciones Sociales, descrive i casi delle comunità indigene Wichí nella valle dei fiumi Itiyuro River Basin e Misión Chaqueña, delle famiglie creole della valle del Dorado, e delle famiglie di indios Guaraní di El Talar.Il nuovo piano regionale assegna territori immensi alle imprese dell'agribusiness, ai danni delle comunità locali e dei popoli nativi.
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sabato 26 dicembre 2009

La Cooperazione nel 2009, il bilancio di Elisabetta Belloni


“Il 2009 è stato un anno particolarmente impegnativo per la Cooperazione allo sviluppo. Da un lato ci siamo trovati a gestire un bilancio particolarmente limitato a causa di esigenze di contenimento della spesa pubblica. Ciò ha determinato la riduzione del nostro impegno in termini di volume e di risorse a disposizione. Dall’altra tuttavia forse anche stimolati dall’esigenza di fare bene in un contesto internazionale difficile quale quello dovuto alla crisi attuale, questo è stato un anno che ci ha visto impegnati soprattutto sull’efficacia e sul merito dei progetti e programmi della Cooperazione italiana”. Questo è il bilancio che traccia il ministro Elisabetta Belloni, direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina, riassumendo al VELINO l’attività svolta nel 2009 dalla Cooperazione italiana. “Direi che il bilancio come sempre è un bilancio di luci e ombre. Gli aspetti positivi riguardano soprattutto la nostra capacità che certamente è andata sviluppandosi e che oggi ha raggiunto dei buoni livelli nell'avvalersi di una strategia e quindi di Linee guida programmatiche articolate, in linea con un indirizzo politico che ci viene dato dal Parlamento e dal governo ma che poi sempre più è andato uniformandosi ai criteri condivisi a livello internazionale. Ciò ha fatto sì che oggi l’Italia sia in grado di soddisfare i requisiti dell’efficacia dell’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps)”.
“Questo progresso ci è stato riconosciuto anche nel corso della ‘peer review’ condotta dall’Ocse e permette all’Italia a pieno titolo di fare parte di quei paesi che hanno compreso sempre più che i veri processi di sviluppo vengono innescati nella misura in cui si punta sulla ownership – ha proseguito il direttore generale -; quindi sulla responsabilità dei paesi riceventi e al contempo sulla capacità dei donatori di dialogare e di individuare insieme ai riceventi i percorsi da intraprendere. Di fatto un aiuto sempre più coerente ed efficace”. Per il ministro Belloni, “un altro degli aspetti estremamente positivi dell’anno è la grande risposta che abbiamo ricevuto dalla società civile in genere e dal sistema paese. A nostro merito credo debba essere ascritta l’apertura, la voglia di coinvolgere i diversi attori della cooperazione. Questi non sono più soltanto gli Stati ma sempre più altri soggetti, in primis le Ong, il mondo delle imprese, l’università, gli enti locali, le Regioni e il mondo privato in genere. Questa risposta ci ha permesso di programmare meglio e in maniera più efficace, ma anche di usufruire del valore aggiunto che questi attori possono dare alle strategie di cooperazione allo sviluppo”.
“Da parte nostra – ha spiegato il direttore generale -, c’è stata riconosciuta una capacità di mettere a sistema le diverse forze che la Cooperazione ha a disposizione”. A questo proposito, “uno dei punti di maggiore interesse e successo per noi è in particolare quello del coinvolgimento del mondo accademico. Ho trovato nei rettori delle principali università italiane non solo un grande interesse a lavorare con noi in un’ottica di internazionalizzazione delle università italiane, ma con l’obiettivo pienamente condiviso di puntare sulla formazione come strumento fondamentale dello sviluppo, sul trasferimento delle tecnologie e sulla ricerca. In un momento in cui le risorse a disposizione sono poche – ha aggiunto il ministro Belloni -, puntare sulla formazione, sul trasferimento di tecnologia e sulla ricerca sia veramente un metodo, una procedura, per moltiplicare gli effetti positivi in loco ma anche per il sistema paese. Intendiamo nel 2010 proseguire questo percorso”.
Per quanto riguarda “le ombre”, il direttore della Dgcs ha spiegato che “non siamo riusciti, e me ne rammarico, a risolvere il problema delle risorse umane. Una Cooperazione moderna, che risponda quindi alle sfide, ma anche alle grandi aspettative del nuovo millennio non può prescindere dalla formazione del proprio personale e soprattutto da una struttura che deve essere dotata di quelle risorse in grado di fornire, in termine di capacità professionali e di numeri, i risultati attesi. Speriamo che il 2010 sia un anno in cui si possa veramente mettere mano ad alcuni problemi specifici quali quello degli esperti e ad alcune norme che dovrebbero rendere la nostra cooperazione più moderna e in grado veramente di poter essere operativa. Rilevo che la legge della Cooperazione risale al 1987 – ha sottolineato il ministro Belloni -, un periodo addirittura antecedente alla caduta del muro di Berlino, quando la cooperazione veniva svolta quasi esclusivamente dagli Stati. Nel mondo di oggi gli attori sono molteplici e lo Stato deve sempre più svolgere il ruolo di promozione e coordinamento. Se la legge non ce lo consente, se non potremo innescare questi meccanismi promotori di sviluppo e di raccolta di nuove risorse finanziarie, credo veramente che non saremo in grado di rispondere alle aspettative. Mi riferisco in particolare al partenariato pubblico-privato, alle possibilità di lavorare in contesti europei dove le risorse vengono scambiate. Queste ‘novità’ devono essere autorizzate con gli appositi strumenti normativi e il nostro obiettivo in questo senso per il 2010 è mettere mano a piccoli interventi innovativi che ci permettano di lavorare di più”.
Infine, il ministro Belloni ha ricordato l’impegno della sua struttura in tutto il mondo e in particolare nelle zone a rischio. “La Cooperazione italiana si è dotata sempre più della capacità di operare nelle aree di crisi – ha affermato il direttore generale -. Credo si sia compreso che le crisi internazionali per essere veramente risolte necessitano di interventi anche in termine di ricostruzione e sviluppo. In questo senso la Cooperazione italiana ha dimostrato di essere in grado di fare la sua parte egregiamente. Ritengo sia doveroso dare un riconoscimento ai collaboratori, i quali hanno permesso che questi interventi venissero registrati tra i migliori e i più efficaci. Quindi, voglio ringraziare la mia struttura, sia chi vi lavora all’intero sia tutti coloro che si trovano all’estero in zone non sempre facili, dato che la cooperazione non si fa normalmente in paesi particolarmente agiati. Va a loro, a queste persone che ‘ci credono’ il ringraziamento e la sollecitazione a fare sempre meglio e di più”.
“Mi auguro – ha concluso il ministro Belloni -, che nei prossimi anni si comprenda che la cooperazione oggi non è più solamente uno strumento di politica estera. È anche uno strumento di stabilità e che permette al nostro paese di giocare un ruolo a livello internazionale competitivo. Bisogna recuperare questo ruolo della Cooperazione, non solo mettendo a disposizione risorse adeguate – tutti ci rendiamo conto che queste in un momento di crisi non possono essere eccessive, ma bisogna stare attenti a non scendere sotto le soglie del minimo dovuto -, ma anche intervenendo in termini di qualità professionale e risorse umane adeguate. Questo è un obiettivo che mi prefiggo di portare avanti nel 2010 e che spero possa fare registrare qualche progresso”.


venerdì 25 dicembre 2009

BUONE FESTE!

BUONE FESTE A TUTTO IL MONDO
DA RE.TE.
BUONE FESTE AI POPOLI DEL
GUATEMALA EL SALVADOR HONDURAS
NIGARAGUA BRASILE BOLIVIA
SENEGAL MALI BURKINA FASO
MOZAMBICO MAROCCO BOSNIA
BUONE FESTE A
ROSITA BARBARA CLAUDIA
MAURO ROBERTO
ALEX FURIO
ENRICO CRISTIANO EMANUELE

mercoledì 23 dicembre 2009

Alberi di natale ecologici?


Senza albero non è Natale. Ma è davvero così? I riti legati agli alberi sono stati diffusissimi in tutta l'antichità, anche nella penisola italica. L'abete natalizio è però una tradizione germanica, osteggiata dalla Chiesa cattolica fino al quindicesimo secolo perché considerata pagana. Con l'arrivo dell'inverno, i popoli germanici piantavano un albero decorato di festini e ghirlande per augurare la rinascita della terra dopo il periodo del gelo. L'albero veniva poi bruciato e la sua cenere, posta sui campi, assicurava la crescita delle messi in primavera e estate.
Anche se tutti ritengono si tratti di una antichissima tradizione delle nostre terre, l'abete natalizio è comparso solo alla fine dell'Ottocento in Italia, e ha iniziato a diffondersi assieme ai prodotti del consumo di massa.Negli ultimi anni si sono poi diffusi gli "alberi ecologici" in plastica colorata, ma come tutti gli oggetti in plastica, non sono molto ecologici, specie quando vengono abbandonati in strada dopo una settimana di utilizzo (peggio ancora se la plastica non è riciclabile).Anche l'albero vivo può rappresentare qualche problema. Per esempio, che farne dopo le feste? Portare un albero nel clima caldo e secco di un appartamento riscaldato gli procura senza dubbio un trauma cui non molte piante resistono. Se l'albero sopravvive, non sempre è una buona idea quella di piantarlo in giardino o, peggio, nel vicino bosco. L'abete rosso, che è il più utilizzato a Natale, è adatto alle zone montane dell'arco alpino, ma nelle regioni più meridionali può essere addirittura nocivo, come ogni specie aliena. Meglio allora cercare in vivaio un corbezzolo, un viburno, un leccio o un alloro, che possono essere piantati nella regione senza danno. Anche se l'abete è una tradizione germanica, riti legati agli alberi e al rinnovo della vita si svolgevano anticamente anche nelle regioni mediterranee, impiegando però specie locali. Un abete natalizio, in una regione litoranea, può essere solo destinato al compostaggio, e non al cassonetto.In ogni caso, l'albero deve sempre venire da un vivaio, in grado di garantire che la pianta non sia stata sradicata nei boschi. Infatti è più difficile verificare se l'albero provenga da sfoltimenti autorizzati, in questo caso fa fede la certificazione Forest Stewardship Council. Purtroppo molte piante (anche senza radici) sono importate dall'est europeo e dalla regione balcanica, dove i tagli illegali sono ancora frequenti.
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domenica 20 dicembre 2009

Copenaghen, ballando sul baratro



Clima, emissioni e foreste: accordo al ribasso, o meglio, niente accordo a Copenaghen: il clima e le foreste possono andare a ramengo. Il testo concordato da Stati Uniti, Cina, India, Brasile e Sudafrica, sembra un semplice pacco attorno al nulla: nessun obiettivo vincolante, niente target di emissioni per ciascun paese, nessun serio obiettivo per il 2020 o per il 2050. Unico numero fornito: le temperature globali non dovranno aumentare più di due gradi. Ma senza misure concrete, è come se si volesse intimare al clima di regolarsi da solo. "Fermati o sole", disse Giosuè. Numerosi paesi di Africa, Oceania e America Latina si sono rifiutati di fermare l'accordo, definendolo una vergogna. La formula adottata - "prendere nota" - evidenzia la mancanza di accordo.
Il piano per la protezione delle foreste (Reducing Emissions from Deforestation and Degradation - REDD), è affondato assieme all'accordo sul clima, e ora si dovrà aspettare un altro anno.Nel corso delle negoziazioni, Stati Uniti e Colombia avevano eroso il testo dell'accordo, tentando di escludere i diritti indigeni dalla gestione delle foreste. Ora l'intero pacchetto è stato congelato, in attesa che sia definito il trattato sul clima.Ogni anno vengono abbattuti 13 milioni di ettari di foreste, producendo circa un quinto delle emissioni globali di gas serra. "Il fallimento del processo volto a creare un sistema che finanzi e regoli la protezione delle foreste del pianeta si tradurrà nella prosecuzione del taglio e della conversione delle foreste in piantagioni - ha commentato Stephen Leonard, dell'Australian Orangutan Project - i popoli delle foreste non avranno protezione, e altre specie minacciate si estingueranno".

venerdì 18 dicembre 2009

Tramonto su Copenaghen


Mentre l'ultimo giorno del caotico vertice di Copenaghen lascia il mondo col fiato sospeso, nella speranza di un accordo in extremis, un nuovo avvertimento sottolinea l'urgenza di un'inversione di rotta: un recente studio promosso dalla Air Pollution Climate Secretariat e dal Taiga Rescue Network avverte come le foreste boreali rischiano a breve di essere tagliate fuori dalla crescita delle temperature globali. Ossia, un'altra imprevista valanga di emissioni in atmosfera.

Le maratone notturne nel tentativo di stilare giù un accordo, difficilmente riusciranno a salvare il vertice, che sembra destinato a concludersi con un nulla di fatto, rimandando ogni decisione a un'eventuale summit bis da tenersi il prossimo marzo in Svezia. L'unica cosa certa sono i rapporti scientifici che continuano ad accumularsi sui tavoli di negoziatori, e tutti avvertono che le conseguenze del cambiamento climatico finora sono state sottovalutate.

E' il caso delle foreste boreali, che custodiscono un terzo del carbonio sequestrato dalle foreste in tutto il mondo. Queste foreste sembrano ormai condannate. Infatti la lentezza vegetativa che caratterizza gli ecosistemi boreali, impedirà loro di seguire lo spostamento delle fasce climatiche, e comunque in breve potrebbero non avere più un luogo in cui migrare.
Secondo gli autori di Boreal Forest and Climate Change, alle foreste boreali non resterà che morire. Molte di queste foreste si trovano in aree remote, ancora lontane dallo sfruttamento forestale, ma gli effetti del cambiamento climatico arriveranno ovunque. E il carbonio custodito rischia di tornare rapidamente in atmosfera, alimentando ulteriormente questo circolo vizioso.
Insomma, non resta che sperare nel rush finale. Ma il margine non è ampio. La credibilità del vertice è minata dalla mancanza di trasparenza, dai vertici paralleli, dall'espulsione della società civile, dalla brutale repressione delle proteste, e soprattutto dalla palese mancanza di volontà politica dei paesi che emettono più gas serra.

fonte: www.salvaleforeste.it

giovedì 17 dicembre 2009

Le voci del Klimaforum


da TERRA TERRA del Manifesto, 16.12.2009
di Marina Forti

È un complesso di capannoni ai bordi di Sydhaven, un braccio del porto. La vecchia architettura di mattoni rossi conserva il suo fascino, ora c'è un teatro, un'esposizione permanente di arte contemporanea e grandi spazi aperti. Difficili da usare, nel gelo della Copenhagen invernale: pochi i volontari del Klimaforum, intirizziti, sotto il tendone-cafeteria. Altri sono sparsi nella sala dove ogni mattina alle 8 un gruppo di adepti di filosofie orientali è in seduta di meditazione, o nella casetta dove ha sede logistica l'organizzazione del forum, basato sul lavoro di decine di volontari. Molti sono giovani e vengono da paesi esotici. Altri sono di qui: come Birte Pedersen, capelli grigi e berretto di lana, abitante di Christiania ancora indignata per l'accanimento della polizia («che pensano di fare, di arrestarci tutti preventivamente?»).
Il forum vero e proprio è poco oltre, in un grande complesso moderno d'acciaio e vetrate al limitare di Vesterbro, ex quartiere operaio in via di rinnovamento urbano. Qui il Klimaforum tiene bottega dal 7 dicembre con decine di seminari ogni giorno, incontri «di richiamo» con i grandi nomi del movimenti no-global mondiale, piccoli «scoop» - come quando arriva il presidente delle Maldive, quello che aveva riunito il suo governo sott'acqua per mostrare al mondo cosa rischiano le piccole isole dei mari del sud. Qui aspettano, il 17, la visita di Hugo Chavez e Evo Morales, i presidenti di Venezuela e Bolivia - pilastri dell'Alba, «alternativa bolivariana» dell'America latina. C'è l'auditorium per gli incontri più affollati, ci sono tavolini per sostare sul corridoio sopraelevato che scavalca la piscina - già, perché questo è in tempi normali, un centro sportivo e culturale dalla storia interessante: era un sito occupato, poi la municipalità di Copenhagen l'ha assegnato agli occupanti che hanno formato una specie di cooperativa di gestione, oggi funziona egregiamente e si autofinanzia. Quel che resta della socialdemocrazia scandinava.


Ieri nell'auditorium del Klimaforum si discuteva di Redd, uno degli aspetti più criticati dei negoziati in corso alla conferenza dell'Onu sul clima: sta per «ridurre le emissioni (di gas di serra) da deforestazione nei paesi in via di sviluppo», e ruota attorno all'idea di assegnare un valore finanziario all'anidride carbonica sequestrata dalle foreste e avviare un meccanismo in cui paesi ricchi paghino quelli in via di sviluppo perché proteggano le foreste medesime. Ieri Camila Morena, del Friends of the Earth Brasile, parlava di Redd visti da chi vive in Amazzonia: «Così trasformano un bene comune, la foresta di cui le nostre popolazioni contadine e indigene sopravvivono, in un bene commerciabile». I progetti Redd, si chiede, «saranno esempi di gestione forestale comunitaria o una gestione commerciale?». A chi resterà il controllo, sarà garantita la sovranità degli abitanti sulle foreste che hanno sempre gestito in modo sostenibile in una piccola economia locale? «A giudicare da esperienze viste in Africa temiamo la corsa a «vendere» lotti di foresta da gestire in modo «sostenibile» si risolverà in ulteriore espropriazione delle popolazioni locali. Nelle altre sale si discute di piccola agricoltura sostenibile, dei rischi delle «energie verdi» su larga scala, di cambiamento di clima in Africa, di progetti eco-sostenibili in Germania. A volte discorsi generici, rischio dei forum alternativi che si limitano alla testimonianza. Altre volte molto concreti e di fondo, con studi e cifre. Ma non c'è nulla da fare: le voci del Klimaforum non arrivano al Bella Centre, il centro congressi dove è riunita la conferenza dell'Onu.

mercoledì 16 dicembre 2009

REGALA UNA PECORA AD UNA FAMIGLIA MALIANA!!


Con 30 euro possiamo acquistare un montone od una capra da affidare ad una famiglia che vive in un villaggio Dogon nei pressi di Bandiagara, in Mali (Africa Occidentale) .

Per chi vive in questi villaggi, come per la maggior parte degli abitanti dell’Africa sub sahariana, le pecore e le capre costituiscono un’insostituibile risorsa alimentare e fonte di reddito.

L’Organizzazione non Governativa RETE, da anni realizza progetti di sviluppo in questa Regione, con particolare attenzione al sostegno dell’agricoltura familiare e dell’allevamento ovino, attività che permettono a quelle popolazioni di continuare a vivere sul loro territorio, anziché affrontare una dolorosa emigrazione verso le città o paesi più lontani.

Il denaro raccolto verrà interamente impegnato nell’acquisto di montoni sul mercato di Bandiagara e tramite i cooperanti di RETE che seguono i progetti sul posto, e l’organizzazione locale nostra partner PDCO, associazione che raggruppa e sostiene gli agricoltori dei vari villaggi , verranno consegnati alle famiglie valutando le effettive loro necessità.

Le famiglie beneficiarie, potranno usufruire di un’adeguata assistenza veterinaria che garantisca la buona riuscita dell’allevamento.

Conto corrente postale 42852111 intesta a Associazione Tecnici Solidarietà e Cooperazione

Conto Banca Etica IBAN IT38Y0501801000000000116874

RE.TE ONG C.so Giulio Cesare 69/9 Torino

Tel. 011.7707388

Fax 011.7707410

Mail rete@arpnet.it

Web reteong.org






Mercosur, il Senato brasiliano dice sì al Venezuela

Il Senato brasiliano ha detto finalmente “sì” all'ingresso del Venezuela nel Mercosur. Nella notte italiana, l'Aula, dopo una lunga serie di rinvii e un dibattito molto acceso, ha approvato - con 35 voti a favore e 27 contrari - l'adesione di Caracas al sistema economico regionale, composto da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Un passo avanti del Paese guidato da Hugo Chavez verso la completa integrazione nel blocco per la quale manca solo il voto del Congresso paraguayano. Il “sì” del Senato, che arriva due anni dopo l'adesione di Caracas, rappresenta un successo per il presidente Luiz Inacio Lula da Silva, grande sponsor di un'operazione che amplia i confini di una area in cui il Brasile è protagonista indiscusso. Le opposizioni, ma anche diversi settori della maggioranza, hanno a lungo eccepito il progetto non vedendo nel governo di Chavez le garanzie iscritte nella Carta democratica del Mercosur.
Gli avversari di Lula hanno definito Chavez “un tiranno” e un “populista” paragonandolo a Mussolini, Hitler e Stalin, ipotizzando, come ha fatto in senatore del centrodestra Heraclito Fortes, che possa determinare la “disintegrazione” del Mercosur stesso. L'opposizione ha sottolineato alcuni problemi pratici, come l'accordo commerciale del blocco regionale con Israele, con il quale Caracas non ha relazioni diplomatiche, ma alla fine la coalizione governativa con il sostegno di alleati esterni ha ottenuto i numeri necessari per approvare definitivamente l'adesione venezuelana. A questo punto l'ultimo ostacolo per il governo di Chavez rimane il Senato paraguaiano e potrebbe trattarsi di un passaggio estremamente problematico. Il presidente Fernando Lugo non ha infatti il controllo dell'Aula, dove l'opposizione ha la maggioranza, e già nei mesi scorsi era stato costretto a ritirare la proposta per evitare che subisse una netta bocciatura. A questo punto la decisione non arriverà prima del 2010 e, visto che anche una parte dei liberali, principali alleati di Lugo, è contraria alla ratifica del protocollo di adesione, potrebbe non essere affatto scontata.

Foreste e clima: roulette africana

Il Bacino del Congo è la seconda foresta pluviale del pianeta, 1,8 milioni di chilometri quadrati di foreste, e l'habitat di tre dei grandi primati: gorilla, scimpanzè e bonobo. Questo patrimonio è ora minacciato da i termini dell'accordo discusso in questi giorni a Copenaghen sul legame tra clima e foreste (REDD). Secondo uno studio, presentato dalla Fondazione Heinrich Böll, il meccanismo REDD, volto a finanziare la protezione delle foreste per ridurre le emissioni, rappresenta un'occasione unica per affrontare i problemi annosi della deforestazione in africa: governance, corruzione, proprietà dei terreni, diritti dei popoli indigeni. Ma se questi problemi non saranno affrontati e risolti, li stesso REDD rischia di trasformarsi un un boomerang, un ulteriore incentivo alla deforetazione.
Politiche sul clima nel Bacino del Congo: un gioco d'azzardo? La domanda è posta dal rapporto redatto da Korinna Horta of International Finance, di Development and Environment, per conto della Fondazione Heinrich Böll(Global Climate Politics in the Congo Basin: Unprecedented Opportunity or High-risk Gamble?).
Secondo lo studio il meccanismo REDD, volto a finanziare la protezione delle foreste per ridurre le emissioni, rappresenta un'occasione unica per affrontare i problemi annosi della deforestazione in africa: governance, corruzione, proprietà dei terreni, diritti dei popoli indigeni. Ma se questi problemi non saranno affrontati e risolti, li stesso REDD rischia di trasformarsi un un boomerang, un ulteriore incentivo alla deforetazione.
Il taglio illegale ancora caratterizza molte delle operazioni forestali su scala industriale, in cui prevale un sistema di saccheggio che premia elite corrotte e imprese straniere, a svantaggio degli ecosistemi e delle comunità locali. Gli esperimenti fin'ora avviati dalla Banca Mondiale nell'area, con il Forest Carbon Partnership Facility sembrano andare proprio nella direzione sbagliata. Due anni fa una stessa indagine interna della Banca Mondiale riconosceva come le politiche dell'Istituzione nella Repubblica Democratica del Congo avessero incoraggiato lo sviluppo dell'industria del legno, ai danni della salvaguardia dell'ambiente e dei popoli indigeni. E proprio in questi giorni, a Copenaghen, la Banca Mondiale si vede riconoscere la gestione finanziaria del REDD.
fonte: www.salvaleforeste.il

martedì 15 dicembre 2009

America Latina, Alba rafforza integrazione e guarda a Copenaghen


Si è chiusa, a L'Avana, con la riaffermazione della volontà di dare continuità al modello socialista “anti-capitalista e anti-imperialista” il vertice dell'Alba (Alianca bolivariana), l'associazione di Paesi latinoamericani creata dal venezuelano Hugo Chavez e dall'ex “lider maximo” cubano Fidel Castro. Nel documento finale, approvato da tutti i membri (Venezuela, Cuba, Nicaragua, Honduras, Ecuador, Bolivia, Antigua e Barbuda, San Vicente e las Granadinas e Dominica), si da nuovo slancio ai programmi sociali, sanitari ed educativi, si rafforza il legame economico e si stabilisce la posizione comune nei confronti del vertice di Copenaghen sui cambiamenti climatici, che sarà illustrata in Danimarca da Chavez e dal suo collega boliviano Evo Morales.
Tra gli accordi raggiunti nel corso del summit c'è quello relativo all'avvio nei primi mesi del 2010 dei negoziati per i “Trattati di commercio dei popoli” (La versione “bolivariana” dei Tlc), in contemporanea con l'introduzione del Sucre (Sistema unitario di compensazione) che sostituirà il dollaro negli scambi commerciali tra i Paesi membri. Inoltre sono stati concordarti un piano di alfabetizzazione e post-alfabetizzazione, l'avvio di una campagna sanitaria di sostegno e integrazione per i disabili e l'elaborazione di una rete di scambio di conoscenze in campo scientifico e tecnologico.
Sul fronte ambientale, dall'Alba è arrivata una critica ai Paesi più avanzati che “pretendono” di perpetuare i loro ritmi di produzione e consumo “insostenibili”, “condannando alla dipendenza e alla marginalità i Paesi in via di sviluppo”. Ribadendo che “la Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento climatico e il Protocollo di Kyoto rappresentano il regime giuridico vincolante in vigore che deve regolare la risposta e la cooperazione internazionale per affrontare il riscaldamento globale” i governi dell'Alleanza bolivariana porteranno a Copenaghen la loro proposta basata sulla necessità di impegni vincolanti in fatto di riduzione delle emissioni, trasferimento di tecnologie e destinazione di fondi pubblici adeguati al perseguimento degli obiettivi.