martedì 30 giugno 2009

Honduras, dai nostri cooperanti


Cari tutti,

vi scrivo le ultime notizie che circolano con insistenza in Honduras.
Premetto che, in questo momento, abbiamo scarso accesso a informazioni certe. Le uniche informazioni che trapelano, oltre a quelle faziose pubblicate dai giornali palesemente a favore del Congresso, non sono comunque ufficiali, ma, quantomeno, attendibili.

Gli ambasciatori del Venezuela, del Nicaragua e di Cuba sarebbero stati rilasciati, dopo aver subito violenze. Tra di essi, il primo è anche stato trattenuto per un periodo più lungo.
Patricia Rodas, uno dei personaggi (con cariche governative) più vicini al Presidente Zelaya, sarebbe stata picchiata, trattenuta nell'aeroporto di Toncontin e attualmente avrebbe trovato rifugio in Messico.

Nella capitale, verso le ore 8:00 pm, davanti alla Casa Presidenziale, la situazione si è mantenuta calma fino all'arrivo di una camionetta delle forze armate, con tre militari a bordo. La camionetta è stata presa d'assalto dai manifestanti pro-Zelaya. A quest'atto, le forze militari hanno risposto sparando colpi in aria, generando panico. La folla, in virtù di tale reazione, ha iniziato a prendere d'assalto le vetrine dei negozi circostanti, tentando, tra l'altro, di occupare la Casa Presidenziale.

A San Pedro Sula, nel pomeriggio, per decisione del Congresso, è stato arrestato, con il pretesto di essere troppo vicino al Presidente Zelaya e alla sua quarta urna, il sindaco della città.

Domani sarà una giornata cruciale per l'evolversi della situazione, in quanto sono previste manifestazioni nei centri nevralgici del Paese, quali Tegucigalpa e San Pedro Sula, nei quali è previsto l'arrivo di molti cittadini provenienti dai rispettivi circondari. Nel caso di Tegucigalpa, si vocifera che i manifestanti arriveranno da tutti i Dipartimenti dell'Honduras.

A rendere più incerta e complicata la situazione, il rilasciato legittimo Presidente della Repubblica, Zelaya, si troverebbe in questo momento (sempre secondo le medesime fonti) in Nicaragua, a Managua, dove si sta tenendo un summit dell'ALBA, in merito, probabilmente, alle azioni da intraprendere nella giornata di domani e nei giorni a seguire.

Re.Te. - Movimondo in Honduras, così come la sede centrale, sottolinea la sua opposizione verso qualunque atto che possa mettere in pericolo la democrazia nel Paese, così come stà avvenendo in questo momento in Honduras.

Atti come questo, non solo rappresentano una violazione della democrazia, ma potrebbero rappresentare, anche, un pericoloso antecedente per tutta la regione centroamericana.

In attesa di ulteriori sviluppi, su cui vi aggiorneremo, vi ringrazio per l'appoggio e vi mando un abbraccio.

A prestissimo.

Rosita

lunedì 29 giugno 2009

El golpe de Estado en Honduras es el producto de un complot de las fuerzas más conservadoras del país - Grupo Sur

El golpe de Estado en Honduras es el producto de un complot de las fuerzas más conservadoras del país - Grupo Sur

El Grupo SUR expresa su más enérgica condena ante el golpe de estado perpetrado en Honduras el día de 28 de junio. La detención y expulsión ilegal del país del Presidente Constitucional de Honduras, Manuel Zelaya,es el producto de un complot de las fuerzas más conservadoras del país en alianza con el ejército.

El Presidente Zelaya había convocado para el día de 28 de junio una consulta popular para que los ciudadanos expresarán su opinión sobre la convocatoria de una Asamblea constituyente en las elecciones generales del próximo mes de noviembre. Esta consulta ha sido interpretada por sectores conservadores como una maniobra suya para perpetuarse en el poder.

En una reunión de urgencia, el Congreso de la República ha nombrado nuevo Presidente a Roberto Micheletti, hasta ahora Presidente del Congreso, argumentando una carta de dimisión del Presidente Zelaya, cuya autenticidad ha sido desmentida por él.

El Grupo Sur hace un llamamiento a la comunidad internacional y a los movimientos sociales a condenar enérgicamente la ruptura del orden constitucional en Honduras y no cesar en la exigencia de restitución inmediata al cargo del presidente Zelaya. De igual manera, demanda de manera especial a la Unión Europea, no reconocer al gobierno ilegal de Roberto Micheletti y suspender las negociaciones por un Acuerdo de Asociación actualmente en curso, hasta que no se restablezca plenamente el orden democrático, así como a mantener una actitud vigilante y firme frente a las violaciones a los derechos humanos que puedan cometerse.

De la misma manera, el Grupo Sur se solidariza con el movimiento social hondureño en su lucha por defender pacíficamente la legalidad en Honduras y hace un llamamiento a la sociedad civil latinoamericana y europea a respaldar su justo reclamo por el retorno del Presidente Zelaya.

Honduras, cronaca di un golpe

Le organizzazioni sociali si sono ribellate al golpe militare

Le paure dei giorni scorsi si sono trasformate in tragica realtà durante la mattina di domenica 28 giugno, mentre la gente si preparava per accorrere alle urne ed esercitare il suo diritto a decidere sul futuro del paese. Le forze armate, ubbidendo all'ordine del Potere Giudiziale, hanno fatto irruzione in casa del Presidente dela Repubblica, Manuel Zelaya, arrestandolo e conducendolo in modo violento all'aeroporto affinché abbandonasse il paese con rotta verso il Costa Rica. Nel frattempo, i settori che hanno organizzato e diretto il colpo di stato hanno sospeso la somministrazione di energia elettrica in tutto il paese e hanno chiuso i mezzi di comunicazione del governo, mentre radio e canali televisivi si occupavano macabramente di dare informazioni sui funerali di Michael Jackson. Per questi mezzi di informazione, quasi tutti in mano alle potenti èlite economiche dell’Honduras, ciò che stava accadendo dalla 2 di mattina non era degno di nota. Questa situazione è stata il preludio alla risoluzione del Congresso Nazionale che, con una tempistica straordinaria, ha presentato una falsa lettera di rinuncia di Zelaya e del suo vicepresidente, ha votato l’ approvazione di un’indagine secondo la quale il presidente avrebbe commesso tutta una serie di delitti contro la Costituzione, e lo ha infine destituito, nominando al suo posto il presidente del Congresso, il liberale Roberto Micheletti. È quindi un vero e proprio colpo di stato quello che si è consumato in Honduras, con la partecipazione di quasi tutti i poteri economici e politici del paese che di fatto hanno armato la mano delle Forze Armate. La notizia del sequestro del presidente e dell’occupazione della Casa Presidenziale ha cominciato a diffondersi poco prima delle 6 di mattina, quando il popolo honduregno si stava preparando per partecipare alla Consultazione Nazionale sulla creazione di una Quarta Urna nelle prossime elezioni presidenziali di novembre.

Di fronte a questa notizia, al silenzio mediatico dei mezzi di informazione nazionali ed alla difficoltà per le agenzie internazionali, impossibilitate ad inviare notizie per il black out energetico, i movimenti e le organizzazioni sociali, popolari e sindacali si sono immediatamente attivate ed hanno iniziato a preparare il proprio piano di mobilitazione per opporsi al vergognoso colpo di stato. Nel frattempo, la gente ha cominciato a confluire in modo spontaneo davanti alla Casa Presidenziale, già saldamente in mano all’esercito. In mezzo alla confusione, alla mancanza di notizie ed all’evidente e comprensibile rabbia della popolazione, si è diffusa la notizia che l’ esercito aveva arrestato la ministra degli Esteri, Patricia Rodas ed aveva colpito e trattenuto gli ambasciatori del Venezuela, Cuba ed il Nicaragua, “colpevoli” di aver voluto difendere la ministra con la loro presenza. Arrestati la maggior parte dei ministri, mentre altri, insieme ai direttori ed al personale delle istituzioni pubbliche, abbandonavano le loro case in cerca di un posto sicuro dove nascondersi o si avviavano verso la Casa Presidenziale, per cercare sostegno tra le migliaia di persone accorse all’appello dei movimenti sociali. Il susseguirsi di questi episodi ha scaldato ulteriormente gli animi e in più di un’occasione la gente ha minacciato di irrompere nella Casa Presidenziale, cosa che senza dubbio avrebbe provocato un bagno di sangue. I leader delle organizzazioni popolari hanno quindi invitato la gente a mantenere la calma e non fornire all’esercito ed alle èlite che lo controlla l’occasione di intervenire violentemente. Dura comunque la reazione dei movimenti sociali. “Diciamo al mondo che il popolo honduregno si sta ribellando –ha detto Carlos H. Reyes, segretario generale del STIBYS e candidato indipendente per la Presidenza della Repubblica, davanti alla moltitudine concentrata di fronte alla Casa Presidenziale a Tegucigalpa-. Lo facciamo pacificamente e continueremo a farlo in tutto il paese fino a che il presidente Zelaya non verrà reintegrato al suo posto. Per questo abbiamo bisogno che tutti i presidenti del continente latinoamericano e del mondo esigano a questa oligarchia traditrice che ristabilisca l'ordine democratico. Continueremo a resistere fino al ritorno del presidente Zelaya", ha detto Reyes. Dal Costa Rica il presidente Zelaya ha immediatamente indetto una conferenza stampa, accompagnato dal presidente Oscar Arias, durante la quale ha detto che non riconoscerà nessuna persona che assuma la carica che gli appartiene di diritto ed ha accusato del colpo di stato "una élite vorace che sta dominando il paese e che non ha limiti".

La situazione molto critica che in queste ore si sta vivendo in Honduras ha cominciato a definirsi durante il corso della giornata di domenica, quando i congressisti si sono riuniti in Parlamento ed hanno destituito il presidente Zelaya ed il suo vicepresidente, eleggendo allo stesso tempo Roberto Micheletti er i mesi che mancano alle elezioni di novembre. Nel frattempo, la comunità internazionale ha lanciato severi avvertimenti al nuovo corso “golpista”, dichiarando il proprio sostegno unanime a Manuel Zelaya e riconoscendolo come legittimo presidente dell’ Honduras. Dal Costa Rica, il presidente Óscar Arias ha annunciato che parteciperá insieme a Zelaya alla riunione dei presidenti del Sistema di Integrazione Centroamericana, SICA, e ha invitato tutti i presidenti del Gruppo di Río a esprimere la propria solidarietà al presidente honduregno. Nella serata di ieri è arrivata anche la condanna del presidente dell’ Assemblea dell’ONU, Miguel D’Escoto, della OSA, del Parlamento Centroamericano e del governo Obama. Le dichiarazioni del presidente nordamericano e della segretaria di Stato, Hillary Clinton, sono state una vera e propria doccia fredda per il nuovo pseudo presidente e per le ricche famiglie che controllano l’economia del paese. In nottata i presidenti dei paesi che fanno parte dell’ALBA hanno attaccato duramente il colpo di stato ed hanno intimato al nuovo presidente Michelleti di rinunciare immediatamente a questa farsa. Fondamentale a questo punto la capacità di mobilitazione e resistenza delle organizzazioni sociali. "È importante resistere e presidiare le strade. Qualunque atto che permetta al nemico di tirarci via dalle strade sarà un vantaggio i “golpisti”, perché saranno loro a prenderne possesso. È molto probabile che decretino un coprifuoco, ma noi dobbiamo restare qui, uniti ed ai nostri posti –ha detto Carlos H. Reyes alla gente--. Per questo dobbiamo continuare la nostra resistenza pacifica fino a che non si risolva la situazione, e dobbiamo duplicare o triplicare il numero di persone disposte a lottare qui con noi. Bisogna chiamare i quartieri, le comunità, affinché aderiscano a questa mobilitazione. Ci manterremo in contatto con il resto del paese –ha continuato il leader sindacale dello STIBYS- per garantire una conduzione nazionale che ci permetta di trionfare, perché è di questo che si tratta, e solo la mobilitazione e la resistenza pacifica ci permetterà di sconfiggere questi "gorilla" che si sono impadroniti dell’Honduras su istruzione di un gruppo di mafiosi che controllano la nostra economia ed il paese intero. Qui non si tratta di persone o di leader, ma si tenta di cominciare a gestirci come gruppo, come collettivo, come organizzazione. Tutti dobbiamo pensare e contribuire a condurre questa lotta, perché la migliore intelligenza è l'intelligenza di tutti", ha concluso Carlos H. Reyes in mezzo alle grida ed agli applausi.
fonte: www.peacereporter.net

HONDURAS. una comunicazione dei nostri cooperanti

Cari tutti,

grazie per l'appoggio dimostrato. In questo momento è importante mantenere una comunicazione fluida, nei limiti del possibile, ed informarvi in maniera obiettiva su ciò che sta succedendo.

Innanzitutto, vogliamo rassicurarvi che tutto il personale di Re.Te.-Movimondo sta bene e al sicuro. Abbiamo scorte di acqua, alimenti e benzina sufficienti. Al momento abbiamo acqua ed elettricità e le telecomunicazioni sono funzionanti. A scopo presauzionale, tutte le attività progettuali sono state sospese.
Questa mattina siamo stati contattati dall'Ambasciata Italiana, che ci ha fornito i numeri di telefono di tutti i suoi funzionari e ha identificato come punto di raccolta di tutti gli italiani, in caso di emergenza, la residenza dell'Ambasciatore.


Come sapete, la situazione istituzionale e politica in Honduras si è deteriorata nelle ultime settimane.

Il colpo di stato è dovuto al fatto che il Presidente Zelaya aveva promosso una consultazione popolare ("la quarta urna") affinchè il popolo potesse esprimersi sulla possibilità di istituire un'Assemblea Costituente per cambiare la Costituzione Honduregna. Sulle modalità e contenuti della riforma, tuttavia, nulla è stato definito, ad eccezione della possibilità di una rielezione, attualmente vietata, del Presidente della Repubblica.
In ogni caso, qualunque fosse stato il risultato della consultazione, pur avendo valore politico, non sarebbe stata vincolante legalmente.

Giovedì scorso, il Presidente Zelaya aveva ordinato al Capo di Stato Maggiore dell'esercito, comandante Romero Vasquez, di mettere a disposizione le sue truppe per vegliare sul corretto svolgiemento della consultazione. Al rifiuto, il Presidente lo ha destituito. Il Capo di Stato Maggiore ha ricorso alla Corte Suprema di Giustizia, che ha dichiarato illegittima la destituzione e ha reintegrato il militare nel suo carico.

Inoltre, la Corte Suprema di Giustizia ha dichiarato illegale la consultazione, anche se, di diritto, manca una disciplina specifica per questo strumento democratico. La Corte ha anche vietato alle forze armate e di sicurezza di appoggiare la consultazione, ordinando il sequestro del materiale necessario alla consultazione. Il Presidente Zelaya, accompagnato dai suoi sostenitori, si è riappropriato del materiale, custodito presso le Forze Aeree a Tegucigalpa.

Dal punto di vista politico e istituzionale, il Presidente Zelaya gode di una parte del consenso popolare. Tutte le istituzioni, dal Congresso alla Magistratura, dalle Forze Armate a ampi strati della popolazione, si sono espressi contrati alla consultazione, compreso il candidato presidenziale dello stesso partito di Zelaya (Partido Liberal).

Questa mattina, i militari sono entrati nella residenza privata del Presidente Zelaya, portandolo via e obbligandolo all'esilio forzato. In questo momento Zelaya si trova in Costa RIca. I militari hanno occupato la Casa Presidenziale e il Congresso Nazionale, con truppe e carri armati. Attualmente, la loro presenza è limitata alle sedi istituzionali e il resto della città è abbastanza tranquillo e deserto. La coesione sociale, a TGU e San Pedro Sula, per il momento ancora regge.

Sempre oggi si vocifera che, oltre all'arresto di Zelaya, sono stati arrestati gli ambasciatori del Venezuela, di Cuba, del Nicaragua e alcuni ministri. La notizia, tuttavia, è da verificare.

Nel pomeriggio, il Congresso, all'unanimità, ha eletto il suo presidente, Roberto Micheletti, come presidente ad interim, fino alle prossime elezioni presidenziali che si terranno il 29 novembre.

Unanime è la disapprovazione dell'esilio forzato di Zelaya, da parte dell'UE e degli Stati Uniti.

A Tegucigalpa, stanno affluendo sostenitori del Presidente per manifestare il proprio appoggio.

Per il momento questo è tutto. Speriamo che le nostre informazioni siano utili per una valutazione obiettiva della situazione in Honduras.

A presto.

Rosita e Alex

venerdì 26 giugno 2009

Duro scontro politico in Nicaragua tra sandinisti e opposizione

In Nicaragua è in atto un duro scontro politico tra governo e opposizione.

Due i fatti: la richiesta della procura di Managua di rinviare a giudizio l'ex candidato liberale alla presidenza, Eduardo Montealegre, che si dichiara un perseguitato politico, e la chiusura di Radio Ley, anti-sandinista, voluta dall'Istituto governativo delle telecomunicazione. Una decisione questa che ha scatenato le proteste di alcune associazioni di giornalisti e della chiesa cattolica. "E' una misura brutale", scrive lo storico giornale La Prensa.
Le forze anti-sandiniste si sono comunque scatenate davanti alla richiesta fatta dalla procura di Managua al parlamento di sospendere l'immunità parlamentare di Montealegre. Insieme ad altre 37 persone, Montealegre, ex ministro delle Finanze, è chiamato a rispondere per l'emissione da parte dello Stato di obbligazioni bancarie per 400 milioni di dollari, titoli messi in circolazione dopo la bancarotta, tra il 2000 e il 2001, di quattro istituti di credito. Montealegre, leader di uno dei gruppi oppositori del parlamento, si dichiara innocente, precisando di essere pronto a rispondere davanti a un tribunale "indipendente", non però in un procedimento giudiziario che è in realtà "uno show politico".
fonte: www.peacereporter.net

Tentato golpe in Honduras

L'esercito si era rivoltato al presidente democraticamente eletto. Pomo della discordia: il referendum sull'Assemblea Costituente

"È in corso un colpo di stato nel paese". Questa la drammatica denuncia fatta poche ore fa dal presidente dell'Honduras Manuel Zelaya, parole subito conformate dal presidente dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Manuel D'Escoto: "Condanniamo fermamente il colpo di stato in Honduras contro il governo democraticamente eletto di Manuel Zelaya". La situazione è infuocata, anche se per ora il peggio pare scongiurato. Il pomo della discordia è il referendum di domenica prossima, che dovrà decidere se convocare o no l'elezione di un'assemblea Costituente voluta secondo i sondaggi dall'85 percento della popolazione. E i soliti noti non ci stanno: le élite, l'esercito, le alte gerarchie cattoliche, le casta politica, sono disposti a tutto purché nel paese neanche si parli di Assemblea Costituente.

"È bastato solo l'odore di una Carta costituzionale che per la prima volta mettesse nero su bianco diritti civili e strumenti per ottenerli, perché si mettesse in moto la macchina golpista che durante tutta la storia ha impedito giustizia sociale e democrazia in tutto il Centroamerica", spiega lo storico e giornalista Gennaro Carotenuto. Il presidente Manuel Zelaya, "Mel", di estrazione di centro-destra nel partito liberale ma che durante il suo mandato ha virato verso il centro-sinistra, aveva indetto per dopodomani domenica 28 giugno una consultazione con la quale si chiedeva ai cittadini se nel prossimo novembre si dovesse convocare o meno un'Assemblea Costituente, in contemporanea alle elezioni presidenziali, legislative e amministrative già previste.

"Quella per l'Assemblea costituente sarebbe stata la "quarta urna", una svolta che secondo i sondaggi è voluta da almeno l'85 percento del paese, ma indesiderata dalle élite tradizionali, dal sistema dei partiti incluso quello del presidente che oramai si oppone apertamente a Mel, dai media di comunicazione, che in Honduras come nel resto del continente sono dominio esclusivo del potere economico, dalla Corte Suprema e dall'esercito", aggiunge. Queste né vogliono una nuova Costituzione né accettano di verificare se la maggioranza della popolazione la desidera.

Ieri, la maggioranza dell'esercito, seguaci del Capo di Stato Maggiore Romeo Vázquez, si è rifiutata di mettersi in moto in vista della consultazione, e non ha eseguito i lavori di loro competenza, come la distribuzione delle urne. "E' un referendum illegale", ha commentato, adducendo che spianerebbe la strada alla dittatura di Mel Zelaya. Di qui la destituzione del generale Vázquez, non ratificata però dalla Corte Suprema, che ha così appoggiato la sedizione.

"A questo punto le informazioni sulla notte honduregna si fanno confuse - spiega Carotenuto - Di fronte al rifiuto di Zelaya di reintegrare Vázquez come Capo di Stato Maggiore parti importanti dell'esercito avrebbero occupato punti nevralgici del paese. I movimenti popolari, indigeni e sociali che appoggiano un presidente, divenuti unici riferimenti per Zelaya osteggiato da tempo dal proprio partito, sarebbero scesi al contrattacco, avrebbero occupato sotto la pioggia battente la base militare della Forza Aerea nell'aeroporto internazionale di Tocontín, sottratto a questa le urne e le schede referendarie con l'intenzione di distribuirle comunque nel paese".

Ma gli ultimi fatti fanno ben sperare. Zelaya ha parlato al paese, ribadendo che domenica gli honduregni saranno chiamati alle urne. Inoltre, le forze armate non si sono mostrate compatte: il comandante dell'Aviazione, Generale Javier Price, si è schierato con il presidente. Intanto, i movimenti sociali si sono stretti intorno a Mel, denunciando il silenzio dei mezzi di comunicazione sugli ultimi gravi fatti e invitando a far circolare le informazioni sul tentato golpe in modo da stimolare la solidarietà internazionale. Intanto l'Oea ha convocato per domani un'assemblea straordinaria per valutare la crisi in Honduras.
fonte: www.peacereporter.net

giovedì 25 giugno 2009

Nicaragua, la crisi colpisce le donne lavoratrici

Quasi 29mila posti di lavoro sono stati persi nel 2009 in un Paese con meno di sei milioni di persone

Secondo quanto riferisce un rapporto dell'organizzazione Movimento per le donne lavoratrici e disoccupate ‘Maria Elena Cuadra', le donne lavoratrici in Nicaragua sono le più colpite per la crisi economica in Latinoamerica. Tra 2006 e 2009 quasi 29 aziende nella zona sono state chiuse lasciando in casa oltre 25mila persone, l'85 per cento delle quali sono donne.

Donne come Lorena Castillo, che ha 32 anni. E che ha chiesto al suo capo un giorno libero per poter andare dal ginecologo. "Non ti preoccupare, il tuo lavoro ci sarà domani quando torni", le aveva detto il capo. E invece quel giorno è stato l'ultimo di lavoro per Lorena. La mattina successiva al giorno di permesso ha provato a tornare al suo posto di lavoro. Ma le guardie di sicurezza non l'hanno lasciata entrare. Ha aspettato davanti alla porta per ore. "Non ho potuto fare niente per te", le ha spiegato il capo dopo essere uscito alla fine della giornata: "Hanno licenziato anche altre 12 ragazze perché pensavano fossero incinte".
La vicenda di Lorena è avvenuta nel mese di Dicembre 2008. A Marzo la compagnia ha chiuso lasciando senza lavoro circa 900 persone, il 90 per cento delle quali erano donne.
In Nicaragua l'industria tessile genera circa 90mila posti di lavoro diretti e 10mila posti di lavoro indiretti. Le industrie sorgono in aree industriali conosciute come ‘zone franche', centri di produzione che godono di speciali esenzioni fiscali.
Paesi come il Nicaragua hanno l'obiettivo di attrarre investimenti stranieri.
Le società che sono nella zona franca vengono quasi tutte da Asia e Stati Uniti e tendono ad assumere lavoratori in condizioni sfavorevoli. Bassi salari, ore di lavoro estenuanti e violazioni dei diritti previsti dal mercato lavorativo interno. Queste aziende sono i principali generatori di posti di lavoro nel settore privato, ma sono stati anche la prima fonte di denunce di violazioni dei diritti dei lavoratori dal 1991. Negli ultimi cinque anni sono state presentate oltre 100mila denunce.
I sindacati sostengono che le aziende utilizzano la crisi come pretesto per sbarazzarsi di donne incinte e dei lavoratori che soffrono di problemi di salute. Secondo il governo, circa 29mila posti di lavoro sono stati persi nel 2009 e, secondo il Fondo Monetario Internazionale, il numero di disoccupati arriverà ad oltre 52mila alla fine di quest'anno in un Paese con 5,7 milioni di persone. Il portavoce del sindacato di lavoratori sandinista, Roberto Gonzàlez, ha spiegato che queste cifre sono il risultato del calo del consumo nel mercato statunitense. Secondo la Fondazione per lo Sviluppo Economico e Sociale in Nicaragua, tra 33mila e 64mila persone attraverseranno la linea della povertà quest'anno in un Paese dove il 47 per cento della popolazione sopravvive con meno di due dollari per giorno.
www.peacereporter.net

il primo sindaco donna di Marrakech

Di strada da fare ce n’è ancora tanta e non solo lì dove la cultura considera le donne un gradino (o anche molti piani) sotto gli uomini. Qualche volta però alle recriminazioni e all’indignazione per ciò che va storto e sembra negare anni di lotte femminili – e non necessariamente solo femministe – si aggiunge una notizia che sembra aprire uno spiraglio in più. E che comunque fa bene all’ego delle donne, a prescindere dalle sue pur importanti implicazioni culturali e politiche.

La notizia, questa volta, riguarda l’elezione del nuovo sindaco di Marrakech, una donna, anzi la prima donna sindaco della città. È un avvocato, Fatima al-Mansouri, ha studiato in Francia, ha 33 anni e idee molto moderne. Che intende sostenere sfruttando la sua nuova posizione di donna politica sulla via già tracciata dal re Mohammed VI che ha favorito una maggiore partecipazione delle donne alla vita pubblica del Marocco.

da pinkblog.it

Bosnia, grande successo per iniziative Italia a Kid's festival


da --IL VELINO COOPERAZIONE--


Roma - Si è conclusa la sesta edizione del Kid’s Festival, tenutosi a Zetra dal 12 al 17 giugno 2009, la più grande e importante manifestazione per bambini e giovani del sud est europeo. Anche quest’anno, l’Unità tecnica locale (Utl) della direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina in Bosnia Erzegovina (BiH) ha organizzato la presenza di propri stand in cui si sono sviluppate attività artistiche, ludico – ricreative, educative e di divulgazione scientifica grazie al coordinamento con alcune Ong e associazioni italiane attive nel territorio bosniaco. La Cooperazione italiana e la nostra ambasciata nello stato balcanico hanno voluto dare un segnale forte dell’impegno dell’Italia in BiH per le tematiche minorili prevedendo la presenza all’evento del direttore dell'Utl, Silvano Tabbò, e dell’ambasciatore Italiano in BiH, Raimondo De Cardona, recentemente insediatosi. Quest'anno, come nell’edizione precedente, il Kid’s Festival ha riunito circa quarantamila bambini e bambine provenienti da tutta la Bosnia Erzegovina distinguendosi così quale evento significativo per la promozione dell’interculturalità e dell’inclusione sociale.

La manifestazione si è aperta venerdì 12 giugno con una parata, partita da Bascarsija e giunta a Zetra dopo aver fatto tappa al palazzo presidenziale, che ha rallegrato la città con la presenza di clowns, artisti e centinaia di bambini. Le iniziative proposte dalla Cooperazione italiana in questa edizione del Kid’s Festival hanno avuto un grande successo di pubblico e hanno previsto la presenza di un laboratorio parco di giochi in legno ideato dall'associazione ambasciata della democrazia locale a Zavidovici (Adl)“ che ha organizzato giochi e attività definite e realizzate con il legno, la risorsa più grande della città di Zavidovici; un laboratorio di Giochi d’aria, organizzato dall’Ong Re.te., che ha permesso ai bambini di cimentarsi in alcuni divertenti esperimenti fisici; un laboratorio di canti, danze e bans, proposto dall’Ong VIS. Grazie alla presenza di otto animatori i bambini sono stati incoraggiati ad esprimersi con la voce e il corpo.

Infine, un laboratorio di educazione al rischio mine tenuto da professionisti dell’Ong Intersos, specializzata in questo settore, che ha previsto la proiezione del cartone animato educativo “Da casa a scuola”. sabato 13 e domenica 14 sono state le Giornate dedicate ai bambini con bisogni speciali, i quali sono stati coinvolti nei vari workshop della Cooperazione italiana. I bambini si sono divertiti anche grazie alla presenza del popolarissimo fachiro-comico Lorenzo "Nanouk" Testardi, la cui partecipazione è stata gentilmente offerta dall’ambasciata d’Italia. Testardi ha intrattenuto i bambini con uno spettacolo coinvolgente di vetro, chiodi e fuoco. Durante i workshop, i giovani visitatori hanno ricevuto piccole sorprese agli stand della Cooperazione italiana e una merenda gustosa offerta dall’ambasciata. La partecipazione dell’Utl e della nostra sede diplomatica al Kid’s Festival vuole confermare l’impegno dell’Italia per giovani e minori della Bosnia Erzegovina in un’ottica di promozione dell’interculturalità e dell’inclusione sociale. (fbu)

martedì 23 giugno 2009

La partita bosniaca

Un'intervista da osservatorio balcani e caucaso.

Lo scontro in corso in Bosnia Erzegovina tra l'Alto Rappresentante Inzko e le istituzioni della Republika Srpska. La posizione della comunità internazionale, il futuro del Paese. Conversazione con Senad Pećanin, direttore del settimanale Dani
In questi giorni stiamo assistendo ad un nuovo scontro tra la comunità internazionale e le autorità della Republika Srpska. Secondo diversi osservatori l'ultima crisi si è chiusa con un rafforzamento del premier Dodik e la sconfitta dell'Alto Rappresentante Lajčák. Il suo successore Inzko è in una posizione diversa?

Sì, nel senso che è cambiato l'atteggiamento di uno degli attori principali delle politiche della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina. L'amministrazione Obama ha un approccio molto diverso da quello dell'amministrazione precedente. Nel periodo Bush, specie durante il secondo mandato, la Bosnia non poteva contare su nessun sostegno da parte statunitense. Ora le cose sono cambiate, anche se si tratta di un processo ancora in corso e gli americani non hanno ancora definito chiaramente le proprie strategie. Il problema principale, tuttavia, è che c'è un conflitto in atto tra l'approccio dell'amministrazione Obama e quello europeo.

Gli europei non sostengono Inzko?

Ci sono forti resistenze all'interno dell'Unione Europea rispetto ad un maggiore coinvolgimento in Bosnia. Ci sono sforzi da parte di alcuni Paesi, come la Francia, per arrivare ad una rapida chiusura dell'Ufficio dell'Alto Rappresentante (OHR).

Questa è anche la posizione russa...

Certo, da tempo. Sulla posizione di Mosca non ci sono dubbi. Ma ci sarà un nuovo impulso a queste posizioni durante la prossima presidenza dell'Unione, che sarà svedese. Per il ministro degli Esteri Carl Bildt uno degli obiettivi principali del proprio mandato è la chiusura dell'OHR.

Quali conseguenze avrà la chiusura dell'OHR?

Credo che si aprirà una fase molto rischiosa per la stabilità e l'unità della Bosnia Erzegovina.

Perché?

Negli ultimi due anni la politica del leader serbo bosniaco Milorad Dodik sta mettendo in discussione in maniera sempre più aperta l'esistenza del Paese, parlando apertamente di un referendum e della secessione della Republika Srpska (RS). Su questo non c'è stata una risposta chiara da parte delle istituzioni internazionali, e questa idea ha acquisito sempre maggiore legittimità.

Finora però le risposte date dalla comunità internazionale tramite l'utilizzo dei cosiddetti poteri di Bonn, che permettono all'OHR di imporre leggi e rimuovere funzionari, non sembrano dare risultati chiari...

Possiamo concordare sul fatto che l'utilizzo dei poteri di Bonn non rappresenti lo strumento migliore per preservare la stabilità del Paese e accelerare il percorso di integrazione nell'UE e nella Nato. Credo però che la mera esistenza di quei poteri rappresenti l'ostacolo principale a sfide molto più radicali nei confronti della sovranità della BiH e contro gli Accordi di Dayton.

Se lei fosse Inzko come agirebbe?

Senad Pecanin (Foto OBC)
Il problema è che la posizione della comunità internazionale non è chiara. L'amministrazione americana stava considerando molto seriamente la possibilità di nominare un proprio rappresentante speciale per i Balcani, ma c'è stata una resistenza enorme da parte dell'Unione Europea. Potrei capire questa posizione se gli europei avessero una chiara posizione comune sulla Bosnia, ma sfortunatamente non ce l'hanno. Se manterranno l'idea di chiudere l'OHR entreremo in un periodo di grande instabilità. Ci sarà una situazione di blocco nel funzionamento delle istituzioni statali, nella pratica la dissoluzione dello Stato dal punto di vista istituzionale, e poi si aprirebbero tutti gli scenari possibili incluso il ritorno ad una situazione di aperto conflitto.

Eppure Solana ha evocato recentemente la possibilità di una fine della stessa missione militare EUFOR...

Senza l'OHR e senza l'EUFOR ci saranno grosse difficoltà per la stabilità dello Stato.

Però la missione dell'OHR non può andare avanti in eterno...

Guardi, io condivido la posizione espressa ieri [mercoledì, ndr] dai rappresentanti del Partito Socialdemocratico, secondo cui la missione dell'OHR dovrebbe continuare almeno fino alla conclusione del processo di cambiamento della Costituzione bosniaca. Le condizioni espresse dalla comunità internazionale per la chiusura dell'OHR [i cosiddetti 5 obiettivi + 2 condizioni, ndr] sono solo cosmesi, in assenza di un serio processo di revisione costituzionale. Con la Costituzione attuale lo Stato non può funzionare. E' quanto affermano le risoluzioni del Parlamento Europeo, della Commissione di Venezia, del Consiglio d'Europa e del Congresso Americano. Il modello di voto attualmente in vigore in Parlamento blocca qualsiasi possibilità di lavoro efficiente e funzionale.

Cosa pensa del cosiddetto processo di Prud, il tentativo di arrivare a delle riforme tramite l'accordo dei tre partiti SDA (bosgnacco), HDZ (croato bosniaco) e SNSD (serbo bosniaco)?

Niente di buono. I tre principali attori, Tihić, Dodik e Čović, avevano obiettivi e ragioni personali per essere parte di quel percorso, non c'è un reale intento riformatore. A Dodik in particolare quell'accordo serviva per mostrare alla comunità internazionale che i leader bosniaci potevano trovare un consenso tra di loro senza la necessità della presenza dell'OHR. Il suo obiettivo principale in questo momento è la chiusura dell'OHR, su questo non ci sono dubbi. Tihić è entrato a far parte di questo percorso per affermarsi come rappresentante unico dei bosgnacchi e squalificare il proprio principale competitore, Haris Silajdžić. Ora peraltro sembra essersi chiamato fuori.

Come si arriva alle riforme costituzionali allora?

Senza il pieno coinvolgimento della comunità internazionale sarà impossibile modificare la Costituzione.

L'impulso impresso dalla nuova amministrazione americana verso un più forte impegno nei Balcani rappresenta quindi una buona notizia?

Assolutamente sì. Il problema tuttavia sono le divisioni in seno alla comunità internazionale e il pieno sostegno garantito alle posizioni del premier della RS, Dodik, da parte della Russia e di alcuni importanti Stati membri dell'UE.

Quali?

La Francia, la Svezia, la Spagna e la Grecia, mentre credo che la Gran Bretagna mantenga grosso modo lo stesso approccio degli Stati Uniti. Questa posizione è rappresentata da Solana.

Qualche giorno fa William Montgomery, ex ambasciatore USA in diversi Paesi della regione, ha sostenuto in un editoriale sul New York Times (The Balkan Mess Redux) la necessità della divisione del Kosovo sulla linea dell'Ibar e dell'indipendenza della RS, sostenendo che “è inutile pensare che i balcanici ragionino come noi, questo non accadrà”. Come commenta?

Quell'articolo ha suscitato moltissimo dibattito qui, in Bosnia, e nella regione. Credo che Montgomery abbia dato una prova eccellente di razzismo rispetto ai Balcani. Anche se devo dire che lui, in un certo senso, basandosi sull'analisi della politica serba in Bosnia Erzegovina negli ultimi due anni, trae la corretta conclusione che la direzione verso cui si sta andando è quella della disintegrazione del Paese. Solo che il problema ora sembra essere non tanto il fatto che stiamo andando in quella direzione, ma che qualcuno si sia reso conto che quello è l'esito finale del processo in corso.

Perché la Bosnia Erzegovina dovrebbe restare unita?

In primo luogo credo che la divisione del Paese non sarebbe giusta, rappresenterebbe la ricompensa per la pulizia etnica e il genocidio. Ci sono inoltre altri due problemi. La divisione non avverrebbe in modo pacifico, questo è assolutamente impossibile. E' un risultato che non potrebbe essere ottenuto senza una nuova guerra. La parte della Bosnia Erzegovina a maggioranza croata inoltre dovrebbe avere lo stesso diritto di quella serba, e quindi staccarsi a sua volta e eventualmente unirsi alla Croazia. Infine verrebbe creata una specie di Gaza europea per i musulmani bosniaci. Sarebbe un messaggio chiaro per i radicali musulmani, una conferma per quanti affermano che la comunità internazionale non ha fatto niente in tre anni e mezzo per fermare la guerra, gli assassinii di massa, le espulsioni e deportazioni di centinaia di migliaia di persone perché in realtà era tutto un'unica grande cospirazione dei cristiani contro i musulmani.

Il risultato ultimo sarebbe quindi la creazione di una Repubblica islamica?

Sì, radicale. Lo scenario peggiore per i bosgnacchi. Uno Stato islamico radicale, guidato dal clero.

Uno dei problemi principali che la società bosniaca si trova ad affrontare, e che è sempre presente sui media, è quello dei crimini di guerra. Mi sembra che ci sia una crescente consapevolezza da parte dell'opinione pubblica che la stragrande maggioranza dei crimini non verranno puniti, e questo ormai non viene più considerato come uno scandalo ma come un semplice fatto. E' così?

La dimensione e il numero dei crimini commessi durante la guerra sono enormi. Anche uno Stato molto più organizzato politicamente ed economicamente avrebbe difficoltà ad affrontare questo problema, figuriamoci la Bosnia che ha problemi istituzionali, di stabilità, finanziari e di volontà politica.

Ci sono altre soluzioni per affrontare il problema oltre a quelle offerte dalla giustizia e dai tribunali tradizionali, commissioni per la verità e la riconciliazione ad esempio?

Dipende tutto dalla politica. Finché i politici sosterranno le persone accusate o giudicate per crimini di guerra, presentandoli come eroi nazionali, non ci sono soluzioni. Non è un problema che riguarda solamente la parte serba. Quando ad esempio Naser Orić è rientrato in Bosnia dopo aver scontato la condanna inflittagli dal Tribunale dell'Aja, è stato ricevuto alla Presidenza da Sulejman Tihić. I leader croati fanno lo stesso, inneggiando a persone indagate o condannate dall'Aja. Inoltre il ruolo svolto dalle Chiese, quella ortodossa e quella cattolica, e dalla comunità islamica, è pessimo. Loro rappresentano gli ostacoli principali alla riconciliazione, diffondono il nazionalismo, celebrano i criminali di guerra.

Quindi lei non vede altre possibilità al di fuori dei tribunali tradizionali?

Se non ci fossero al potere i nazionalisti potrebbero avvenire processi diversi, di tipo riconciliativo, commissioni per la verità e la giustizia. Ma solo con politici diversi che dessero messaggi di tipo diverso alla popolazione. Ricordo ad esempio l'importanza della dichiarazione fatta dall'allora presidente della RS, Dragan Čavić, su Srebrenica...

Dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione della RS, nel 2004?

Sì. Si era trattato di una dichiarazione molto coraggiosa, il gesto di un politico responsabile. Se ci fossero più dichiarazioni di questo tipo, anche da parte bosgnacca e croata, questo cambierebbe completamente l'atmosfera nel Paese. La gente guarda ai propri leader, e quando i leader sostengono i criminali di guerra non ci si può aspettare che le società si confrontino con il passato.

Che effetto hanno avuto sull'opinione pubblica bosniaca le immagini di Mladić recentemente mostrate dalla televisione della Federazione?

Gli spettatori le hanno considerate come la prova che la Serbia ha avuto migliaia di possibilità per arrestare Mladić, ma che semplicemente continua a proteggerlo. Sfortunatamente l'approccio della Serbia nei confronti della Bosnia Erzegovina non è cambiato quanto è cambiato ad esempio quello della Croazia dopo la fine di Tuđman.

Passiamo ad un personaggio positivo... Secondo lei vedremo presto Edin Džeko giocare in Italia?

Eh he, Džeko è un vero eroe bosniaco e un idolo per molte generazioni. E' cresciuto a Sarajevo durante la guerra e giocava a calcio nelle pause dei bombardamenti... Quando era al Željezničar c'era chi lo criticava, ma adesso ha trovato il giusto successo, sarebbe fantastico se andasse al Milan.

Potrebbe essere lui il giocatore che porterà la nazionale bosniaca in Sudafrica?

Sarebbe bellissimo. Ci sono anche altri ottimi giocatori, come Misimović... Vede, per noi qualsiasi tipo di successo sarebbe importantissimo. Se penso agli anni passati dalla fine della guerra, sono stati solo quattro i momenti di vera felicità, in cui sono stato davvero orgoglioso di essere bosniaco.

Quali?

Nel '97, quando la nostra nazionale di basket ha sconfitto la Croazia nelle qualificazioni per gli europei; quando Danis Tanović ha vinto l'Oscar; quando abbiamo nuovamente sconfitto la Croazia a pallacanestro, in Croazia, e infine quando Jasmila Žbanić ha preso l'Orso d'oro a Berlino. Quattro volte, in 14 anni...

giovedì 11 giugno 2009

Cooperazione, Belloni: attenzione su Africa e finanza innovativa

--IL VELINO COOPERAZIONE--


Roma - “Occorre fare il punto sulla Cooperazione allo Sviluppo in un periodo in cui l’intero settore attraversa difficoltà finanziare e ‘di cultura’”. Così il direttore generale per la Cooperazione della Farnesina, il ministro Elisabetta Belloni, ha illustrato nel corso del consueto briefing con la stampa del portavoce del ministero Maurizio Massari, gli obiettivi della riunione dei ministri dello Sviluppo del G8 in programma a Roma l’11 e 12 giugno prossimi. Per Belloni è necessario “che l’Italia riprenda il proprio ruolo di punta in questo settore delicato partendo dal tema che il ministro degli Esteri Franco Frattini ha scelto per inaugurare la riunione: l’impatto della crisi finanziaria sui Paesi in via di Sviluppo (Pvs)”. Per il Dg della Cooperazione, il G20 di Londra ha trattato il tema “con esiti insufficienti, ecco perché vogliamo far comprendere ai partner del G8 quanto le economie dei Pvs possono influire anche sulle nostre scelte per fronteggiare la crisi”. La proposta del ministro, ha proseguito Belloni, “è stata accolta con interesse dai partner e dai Paesi africani, che saranno coinvolti nella riunione in un ulteriore esercizio di outreach” della presidenza italiana. Già dal pomeriggio dell’11, ha spiegato, le porte si apriranno per i Paesi del G5 (India, Cina, Messico, Brasile, Sudafrica) e all’Egitto, all’Unione africana e al Nepad, “assieme alla partecipazione qualificata di organizzazioni internazionali che si occupano di sviluppo”. La scelta “è stata difficile ma comprende l’Ocse, l’Undesa e la Banca mondiale”.

“Nell’esaminare le conseguenze della crisi sui Pvs – ha proseguito Belloni – sarà necessario prendere atto che i donatori dovranno concentrare gli sforzi su alcuni settori prioritari di investimento: salute e sicurezza alimentari”. Da cui il coinvolgimento anche del “polo alimentare romano” con Ifad, Fao, Pam e Bioversity. “Per i problema del finanziamento si deve avere il coraggio di pensare a nuovi strumenti – ha ripreso Belloni - senza negare che il denaro pubblico non è più sufficiente. Ecco perché poniamo l’accento sul concetto dei ‘finanziamenti innovativi’”, dei quali parlerà tra gli altri “anche l’ex ministro francese Philippe Douste-Blazy, in un dibattito che vogliamo sia aperto”. Si mantiene quindi, da un lato, l’enfasi sul finanziamento pubblico “facendo però sistema con le organizzazioni internazionali, i privati e la cooperazione decentrata delle Regioni”. Una politica che spiega anche l’incontro del 10 giugno alle 15 - il giorno prima della ministeriale -, tra il ministro Frattini e i rappresentanti delle Regioni, “per mettere a punto - ha aggiunto Massari - l’intesa del 2008 tra il governo e le Regioni in materia di coordinamento delle attività internazionali, rafforzando la coerenza in materia di internazionalizzazione”. (dam)

mercoledì 10 giugno 2009

Le ONG fanno una proposta di sintesi per il clima

dai manchetes socioambientais

Quasi 50 gruppi ambientalisti hanno presentato a Bonn, in Germania, una proposta per un nuovo accordo climatico internazionale. Affermano che i governi dovranno fare tagli radicali nelle emissioni di gas-serra - ed i paesi ricchi pagare 160 miliardi di dollari all'anno per aiutare le nazioni in via di sviluppo. Secondo il calcolo delle Ong, per mantenere il riscaldamento globale sotto controllo a 2 gradi sopra la temperatura media ante-rivoluzione industriale, è necessario ridurre le emissioni dell'80% rispetto al 1990, entro il 2050. Il testo propone che i paesi in via di sviluppo come Brasile, India e Cina ricevano un trattamento differente da quello dei paesi ricchi, raggiungendo un picco di emissioni entro il 2020 per poi cominciare a ridurle.

venerdì 5 giugno 2009

Sfilata del 2 giugno a Breza


Ecco una delle fotografie scattate in occasione della Festa della Repubblica d'Italia dello scorso 2 Giugno. E' stato un successone!!! Tutti si sono complimentati per gli abiti e hanno applaudito la stilista e le donne di Breza!
Selma + Federica + Enrico

Le aree protette in aumento nel mondo

dai Manchetes socioambientais
La protezione delle aree ecologicamente importanti nel mondo è aumentata negli ultimi anni ed il Brasile ha un ruolo rilevante in questo avanzamento, secondo ricercatori statunitensi che hanno pubblicato un articolo sulla rivista "Biological Conservation".
Lo studio ha concluso che il 12,8% delle terre del pianeta è oggi protetta, almeno sulla carta. Nel 1985, la quantità era molto minore (3,48%). Gli scenziati affermano che "il 74% dell'area protetta dal 2003 è in Brasile". Adriana Ramos, di ISA (Instituto Socioambiental), sottolinea l'importanza che il paese realizzi le unità di conservazione create, ma con attenzione alla "pressione a cui sono sottomesse". "Non si può pensare alla sostenibilità mantenendo le aree di protezione conservate come isole, ma con un'azione totalmente predatoria subito al loro esterno", afferma.
FSP, 4/6, Ciência, p.A16.

giovedì 4 giugno 2009

terremoto in Honduras, allerta tsunami in Guatemala e Belize

Un terremoto di magnitudo 7.1 nella scala Richter ha colpito la costa dell'Honduras.
Secondo quanto riferito dal Servizio Geologico degli Stati Uniti, altri paesi vicini come Guatemala e Belize sono in allerta per rischio di tsunami.
Il terremoto si è verificato ad una profondità di dieci chilometri circa e l'epicentro è stato stimato a circa 320 chilometri a nord-ovest di Tegucigalpa, capitale dell'Honduras. Finora a questo momento, fortunatamente, non si segnalano vittime.
da peacereporter.net