giovedì 27 settembre 2007

WE'VE A DREAM



Ciao a tutti,
molti di voi non mi conoscono, perciò è giusto che mi presenti. Sono Emanuele e sto facendo lo stage in Marocco per RE.TE. Ormai sono giunto alla fine dei mie due mesi magrebini perciò è giunta l’ora di scrivere in questo blog.
Quello che voglio scrivere è di questo paese, il Marocco. Una terra strana, misteriosa, affascinante che al tempo stesso nasconde in se molto di quello che nessuno ci si aspetta, o meglio come dicono loro: “nous sommes fùùùùùùùù” accompagnato dalla rotazione della mano vicino alla testa. Tutto questo si può raccontare descrivendo il viaggio che tutti i giorni mi accompagna da dove abito, Marrakech, al villaggio del progetto, Tamesloht.
Al mattino ci si alza presto con il caldo che ne fa da padrone e quel sudore che non ti abbandona neanche per un istante. Dall’esterno giunge una voce, un canto; è l’Imam “Allah Akbar”. Sono appena le 4 del mattino e se qui la vita inizia presto per me non è proprio così. Allora ci si alza più tardi al suono della sveglia, pensando che quello di prima sia soltanto un sogno, perché tutto questo racconto è un sogno, il mio.
Si esce di casa al mattino quando ancora in giro non c’è nessuno perché dopo la preghiera molti tornano a dormire. Il quartiere, Daoudiat, è quasi irriconoscibile dalla sera prima. Qui ogni volta che il sole tramonta dietro le case e qualche palma la gente inizia a far festa…si aprono grandi mercati all’aperto con tutto quello che possiate immaginare, dei fumi si alzano da qualche baracchino che fa da mangiare e la gente passeggia tra un telo e un altro, perché questo è il nostro stand, in un via vai interrotto solo a tardi.
Questo quartiere è uno dei più popolari e popolosi di tutta Marrakech anche se a detta di molti non è poi così vero. Dicono che esiste di peggio, ma credo che qui si possa respirare la vera aria calda che spira dal deserto portando con se sogni, speranze e tanta tanta sabbia.
A Daoudiat molte persone sono partite per quel sogno che si chiama Europa, molti non ne fanno più ritorno, il motivo sceglietelo voi, altri invece, tornano per l’estate a trovare i loro parenti e soprattutto per raccontare del loro sogno. Tornano parlando di un posto favoloso di una terra promessa dove chiunque può realizzarsi, chiunque può aspirare a una vita migliore, mentre qui la dittatura o se preferite monarchia costituzionale riduce all’osso. Forse il sogno resta tale perché chi l’ha visto trasformare in incubo non ha fatto più ritorno in questa terra.
Perciò qui si trova di tutto, dalla ragazza velata a quella che i veli li ha solo per coprire quel poco che deve, il tanto basta…si incontra il mendicante, il ragazzino che cerca di fare il teppista con chiunque soltanto per attirare un po’ di attenzione; qui quando termina la scuola non c’è molto da fare o la piscina o la strada che poi molto non cambia.
Inoltre, si incontra avvolte quelle persone che come dire…si mettono tanto fondo tinta in faccia da camuffare la propria pelle…ebbene si perché dovete sapere che qui il colore della pelle vuol dire molto. Ci sono i neri, ex schiavi venuti dal sud e come tali non contano poi molto, infondo il nero è il colore del male, il colore delle tenebre o almeno è questo che ci insegnano da piccoli. Poi ci sono i bianchi, pochi a dir la verità, forse un retaggio dei colonialisti francesi che qui hanno portato poco e preso molto come anche oggi infondo. Infine, ci sono quelli di mezzo perché come ogni storia narra c’è sempre chi cavalca quella linea sottile tra di qua e di là. E allora ecco che c’è chi orgoglioso delle sue origini del sud non si cura a prendere un po’ di sole e passare dalla linea del nero mentre chi preferisce appartenere all’altra linea fa bene attenzione a coprirsi per non prendere il sole o magari mettersi un po’ di trucco per sembrare più bianca, nonostante il caldo non fa durare poi molto perché come ogni truffa che si rispetti non può passare alla luce candida del sole.
Ecco allora che si abbandona il quartiere, dove ogni sera è una festa, un matrimonio, un motivo per uscire di casa e festeggiare. Perché poi qui se non lo si trova il motivo di festeggiare non viene poi cosi tanto spesso.
Ci si avvicina al centro per prendere il bus che ci accompagnerà al nostro villaggio. Si arriva alle mura della città, dove ancora si intravede i fasti della città imperiale tanto ammirata nei secoli scorsi. Una città di confine, un confine impalpabile ma reale, tra il nord e il deserto. Marrakech è stata da sempre quel porto di mare o meglio oasi che per chi veniva dal lungo viaggio per il deserto appariva meravigliosa con i suoi giardini, le sue case in argilla fresca, il suo souk in cui potevi rifornirti per il prossimo viaggio e vendere quello che avevi trasportato con tanto ardore tra le dune impervie del Saharah. Come ogni città di confine che si rispetti, come ogni porto, Marrakech era un’incontro di persone, identità, culture, merci, una città fatta di fasto, divertimento e riposo per i molti che vi approdavano.
Oggi di tutto questo è rimasto ben poco. Il deserto è avanzato, l’acqua è andata altrove, l’argilla si è trasformata in cemento e gli avventurieri dal sud…beh ormai nessuno viaggia più nel deserto. I nuovi avventurieri sono i turisti…che come ogni buon vacanziero crede di sapere tutto della città, di catturarne l’anima in pochi giorni!!! Invece, porta via poco e lascia tanto meno, forse qualche dirham, perché ormai l’unica fonte di sostentamento è il turismo.
L’unica cosa rimasta intatta per anni è la piazza, Djemaa El-Fna. Resta ancora quella di una volta con i suoi giocolieri, cantastorie, incantatori di serpenti, musicisti, qualche saltimbanco e alcuni tipi stravaganti; qui il turista viene lasciato ai margini come uno spettatore inerme davanti alla maestà della serata.
Si scende dal gran taxì, principale mezzo di spostamento a Marrakech, che di grande ha solo gli energumeni all’interno; 6 persone a bordo di un Mercedes avveniristico con un clima interno di circa 50 gradi, 45 esterni quando fa freddo, e ci si incammina verso la stazione dei bus. Si passa attraverso i bar, luogo tanto amato dagli uomini. Qui la gran parte dei marocchini passano la loro intera giornata a bere caffè e giocare a “carta”. Spesso ci si domanda perché in questi bar non sono presenti le donne e allora si pensa alla religione, alla cultura e invece la verità è che le donne vanno nei bar, a bere il tè ed incontrare amiche, ma non certo in quelli dove l’uomo omofobo viene tuttavia attratto dal proprio sesso.
Poi si parte alla volta di Tamesloht, si esce da Marrakech e subito ci si immerge nel deserto. All’ultima porta, ad attendere per il saluto c’è una cicogna con il suo nido che forse porta in grembo quella speranza dove qui avvolte lascia il tempo che trova.
Per andare al villaggio ci si avvicina alle montagne, con questo sfondo immenso, intorno il nulla e davanti, imponente, si erge l’Atlas. Per questa via ci si accorge subito cos’è oggi Marrakech o meglio cos’è oggi il Marocco. Si costruisce ovunque, in qualsiasi modo e qualsiasi cosa. Perché l’importante è costruire, poi chi compra forse qualche avventuriero straniero o qualche marocchino abbiente in cerca di fama e di denaro. Per ora non resta soltanto che quartieri fantasma, cattedrali di cemento in mezzo al nulla…perchè l’importante per i governanti marocchini non è creare qualcosa di sostenibile, che duri nel tempo, che porti benefici alla popolazione ma qui si guarda a chi porta più soldi senza prestare attenzione a cosa realizzare. La fame di denaro porta avvolte a fare scelte sbagliate, ad accettare finanziamenti stranieri di miliardi di dollari per costruire case, country club e tutto quello che una vera vacanza prevede, perché è di questo che si tratta. Senza però accorgersi che i nostri divertimenti, perché se non l’avete capito i turisti siamo noi, hanno bisogna d’acqua; quell’acqua che ogni giorno viene tolta alla terra, lasciando i campi aridi e i contadini senza i loro raccolti…e se qui l’agricoltura non funziona…beh conclude voi la frase!!!
Poi si arriva a Tamesloht o meglio si passa per le sue campagne , quelle che una volta erano coltivate ad olivi. Perciò il deserto avanza, gli olivi spariscono e i contadini….beh forse troveranno lavoro nel turismo o forse inizieranno anche loro a sognare la terra promessa.
Ad un tratto si intravede il villaggio o meglio, si vede all’orizzonte un conglomerato di cemento perché ormai l’argilla non va più di moda e la modernizzazione fa parte di ogni paese che si rispetti, inoltre, fumi neri si alzano dai forni perché qui l’unica cosa che hanno da bruciare sono gli scarti, la plastica…tutto quello che la società non vuole più viene riutilizzato come combustibile.
L’autobus ci lascia nella piazza del villaggio…ah l’autobus, unico mezzo di collegamento tra Marrakech e i dintorni, perché qui la macchina non è poi un bene così comune, dove si scopre la bellezza dell’unità del viaggio.
In cima alla piazza spicca l’unico edificio esterno al contesto, una specie di casa coloniale a due compartimenti, oggi adibito a bar, con la struttura che ogni buon architetto francese rispetti.
Alla sinistra c’è l’ensemble, il luogo dove si svolgono i corsi, dove il progetto nasce e prende vita ogni giorno. Ti aspetti anche lì un ambiente angusto, torrido perché dopo il viaggio non hai visto altro che cemento e deserto, e invece la sorpresa all’interno: un cortile nel quale si affacciano i vari atelier, grandi giare e un po’ di verde a fare da arredo. Ci si aspetta di vedere artigiani intenti in stile manovali e invece, il lavoro qui è come un passatempo, si sorseggia tè, si chiacchiera con gli amici si scherza e si ride. La fabbrica che tutti immagino in quel sogno non è altro che una prigione che per 8 ore usura l’uomo e la sua mente.

Allora ad un tratto riscopri il Marocco, riscopri questo popolo perché qui i valori sono ancora quelli, come dire, di una volta. Il rispetto, l’amicizia, la comunità sono ancora valori forti dove si cresce si in mezzo ad una strada giocando tra le fogne e i rifiuti ma anche in mezzo a quei valori che noi abbiamo lasciato ai libri di storia.
Qui il pasto viene fatto tutti insieme facendo la colletta per un pezzo di montone e un po’ di verdura…ma alla fine il risultato è ottimo…chi prova il tajin di Tamesloht non torna più indietro. E cosi le giornate passano tra una chiacchiera e l’altra, lavorando continuamente a mano i vari pezzi dell’artigianato. Qui qualsiasi cosa è fatta a mano…le macchine sono soltanto quelle con quattro ruote e un motore….per poi rivendere il tutto a pochi dirham al souk dove qualche turista si farà ripulire il portafoglio dal commerciante di turno.
Intanto il caldo aumenta e a Tamesloht non c’è nulla per ripararsi, né un albero né altro…ma qui all’ensemble dopo il tajin ci si rilassa su un tappeto steso in terra fino l’ora della preghiera perché qui Allah è più Akbar che altrove. Intanto in attesa che il sole tramonti, il pullman arrivi e si faccia l’ora di tornare a Marrakech si sorseggia il tè del deserto come tradizione vuole sotto una luce rossastra che il sole si lascia alle spalle tramontando dietro le montagne.
Questo è il mio Marocco, una terra di sognatori e grandi viaggiatori dove le tradizioni lottano sulla modernità, dove il tempo ha sbiadito sogni e persone ma anche dove regna grandi valori di un tempo che fù e la gente vive fieramente con il proprio passato e con la speranza di un domani migliore.
bismillah



lunedì 24 settembre 2007

Alluvione a Bandiagara



Purtroppo le pioggie non sembrano mai amiche del Mali; gli anni scorsi, i coltivatori hanno sofferto la siccità. Quest'anno, le piogge violente hanno invece fatto molti danni nel Paese Dogon, tra cui la distruzione del ponte per Sevaré e Mopti, le città di riferimento, dei ponti tra i villaggi e molte piccole dighe utilizzate per le coltivazioni.
A causa della situazione sul posto, abbiamo rimandato il viaggio di turismo responsabile previsto per la fine di ottobre, e cercheremo nel frattempo di contribuire alla ricostruzione.