venerdì 29 gennaio 2010

Al via l'anno europeo di lotta alla povertà


Dal Velino cooperazione

Nel corso di una manifestazione a Madrid, il presidente della Commissione europea José Manuel Durao Barroso, e il primo ministro spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, hanno inaugurato l’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale 2010. Il paese iberico è dal 1 gennaio il presidente di turno dell’Ue. L’iniziativa vuole generare una maggiore consapevolezza delle cause e delle conseguenze della povertà in Europa sensibilizzando non solo attori chiave, quali i governi e le parti sociali, ma anche la popolazione in generale. L’obiettivo è anche mobilitare questi diversi partner nella lotta contro la povertà, promuovere l’integrazione e l’inclusione sociale e incoraggiare la formulazione di impegni chiari nelle politiche nazionali e dell’Ue di lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Nell’ambito dell’Anno ciascuno dei 29 paesi partecipanti (i 27 Stati membri dell’Ue, più la Norvegia e l’Islanda) elaborerà programmi nazionali. Una dotazione di bilancio di 17 milioni di euro servirà a sostenere le campagne di sensibilizzazione a livello europeo e nazionale, come pure centinaia di progetti nazionali collegati alle diverse priorità nazionali.

La campagna di comunicazione relativa all’Anno europeo comprenderà un concorso giornalistico, un’iniziativa di carattere artistico e due settimane tematiche, a maggio e a ottobre, durante le quali si svolgerà una serie di manifestazioni nazionali in tutta l’Ue. L’Anno europeo si concluderà con una conferenza di chiusura che si terrà il 17 dicembre a Bruxelles sotto la presidenza belga. Il sito web della campagna è www.2010againstpoverty.eu e comprende una piattaforma per i partner volta a stimolare la creazione di reti e l’organizzazione di iniziative congiunte tra gli attori chiave, quali le organizzazioni della società civile e le autorità locali e regionali. (fbu)
Immagine: catiusciamarini.eu

giovedì 28 gennaio 2010

invito alla conversazione di Venerdì 29 Gennaio



Invito alla conversazione

L’associazione RE.TE. ong ha il piacere di invitarvi a partecipare alla conversazione

“Che futuro ha l’Africa?”

Sarà una discussione informale sulle tematiche attuali del continente Africano, affrontando soprattutto le questioni relative al “Land Grabbing” vendita a basso costo di terreni Africani a multinazionali e paesi occidentali:

Venerdì 29 Gennaio,

Sala Giunta Circoscrizione 7

corso Vercelli 15

ore 18.00.

Interverranno nella discussione:

Dott. Mohamed Aden Sheikh Presidente del Centro Piemontese di Studi Africani Alberto Tridente esperto del tema e volontario di RE.TE.

Siamo convinti che il confronto tra persone che lavorano su temi comuni sia elemento importante di conoscenza e di collaborazione reciproca.

Confidiamo nella vostra partecipazione per creare un tavolo di discussione e confronto sulle differenze ”Nord/Sud”, sia a livello internazionale che nazionale, avvicinare le nostre realtà per contribuire collettivamente ad un clima di maggiore solidarietà nella società sia del “Nord” che del “Sud”.



martedì 26 gennaio 2010

L'Uruguay si adatta


di Marinella Correggia - da TERRA TERRA del Manifesto odierno

Si parla molti della necessità che i paesi si "adattino" ai cambiamenti climatici ormai in atto. Cambiamenti che senza una vera riduzione delle emissioni diventeranno presto devastanti come un terremoto.
In Uruguay, province meridionali si Canelones, Montevideo e San José, è iniziato un progetto di mitigazione e adattamento che, a differenza di progetti condotti in alcuni paesi industrializzati, è partecipativo perché prevede un ampio coinvolgimento della popolazione locale. Non è insomma il solito rapporto di esperti messo in mano a un governo per vedere l'effetto che fa.. Parteciperanno tutti: i rappresentanti politici a livello regionale, le università, le imprese pubbliche, le comunità locali, le imprese e gli esperti. Lanciato solo lo scorso settembre, il progetto promosso dall'Onu è tuttora nella fase di individuazione di strategie da parte di gruppi di lavoro nei diversi settori. Le tre province interessate sono abitate da due dei 3,3 milioni di uruguaiani e hanno un grande peso socioeconomico, producendo i due terzi del Pnl e la gran parte delle emissioni di anidride carbonica del paese. Anche se il principale gas serra prodotto dall'Uruguay non è la CO2 ma il metano, a causa della grande quantità di bovini colà allevati.
Uno degli obiettivi del l'intervento è realizzare uno sviluppo locale a basse emissioni grazie ad alleanze a livello di base. Come riferisce l'agenzia stampa Inter Press Service, il governatore provinciale di Canelones Yamandú Orsi è fiero: si vuole agire in concreto mentre i negoziati si limitano a traccheggiare, come ha dimostrato Copenaghen. Oltretutto, è da decisioni prese e livello regionale e locale, precisa il governatore, che dipende in Uruguay fra il 40 e il 75% delle emissioni di gas serra, legate a trasporti, viaggi, abitudini di consumo energetico e generale. Dunque le decisioni di mitigazione prese a questo livello sono molto importanti.
Al tempo stesso la regione scelta ha anche bisogno di imparare ad adattarsi all'evoluzione climatica. Le sue aree costiere devono temere l'innalzamento del livello dei mari, e 150mila persone abitano in bidonville, a elevata vulnerabilità sociale. Un'altra categoria a rischio sono i piccoli agricoltori, con la relativa insicurezza alimentare. Tanti fronti da «mappare», dunque, per decidere che fare. Ad esempio, l'esondazione del fiume Santa Lucia sarebbe gravissima perché nel suo bacino si trova l'unica stazione di pompaggio di acqua potabile di tutta l'area. Allora, ad esempio si potrebbe pensare di costruire una seconda stazione, pur attualmente ridondante.
Presentato alla Conferenza sul clima di Copenhagen il progetto ha sollevato molto interesse. Molti paesi africani, soprattutto Algeria, Senegal e Uganda, ma anche paesi europei e latinoamericani, hanno annunciato di voler replicare l'idea a casa propria.
E a proposito dell'innalzamento dei mari, in Gran Bretagna (dove vivono in aree costiere dieci milioni di persone) uno studio dell'associazione degli ingegneri civili e quella degli architetti («Facing up to Rising Sea Levels. Retreat? Defence? Attack?»), cerca di misurarsi con il futuro delle città costiere minacciate. Suggerendo che ad esempio Hull potrebbe essere lasciata allagarsi, spostando la popolazione e adottando il modello organizzativo di Venezia (ponti e barche). O invece bisognerebbe costruire nuovi spazi abitabili nelle acque, con piattaforme e piloni. Invece l'Agenzia per l'ambiente ha annunciato un piano di 570 milioni di sterline per costruire e mantenere barriere antiflutti.

venerdì 8 gennaio 2010

Brasile: riprende la caccia agli Indios


Osmair Martins Ximenes, indigeno Guarani del Brasile meridionale, è l'ultima vittima del conflitto tra allevatori e Indios in Brasile. Altri due membri della sua comunità, Kuretê Lopez e Ortiz Lopez, sono stati uccisi nel 2007 da sicari assolti dagli allevatori, nel tentativo di occupare le loro terre ancestrali.
Come previsto dalla Costituzione brasiliana, gli indios Guarani hanno richiesto il riconoscimento delle loro terre tradizionali, ma la burocrazia statale è lenta, mentre gli allevatori sono rapidissimi nell'espandere i propri possedimenti, spesso impiegando permessi falsificati. Nel 2007 la corte federale aveva imposto al governo di demarcare le terre tradizionali degli indios, ma al progetto si sono fieramente opposti gli allevatori, che già occupano gran parte delle terre indigene, e anche il governo ha ostacolato lo sviluppo del progetto.
La sentenza avrebbe dovuto aiutare gli Indios a vedere i propri diritti riconosciuti, ma la reazione degli allevatori ha riacceso il conflitto. Lo scorso dicembre, una ventina di Guarani sono stati torturati mentre tentavano di occupare le proprie terre nel comune di Iguatemi, presso la frontiera col Paraguay. Questo gruppo di Guarani era stato espulso negli anni cinquanta dagli allevatori, e costretto da allora a vivere nelle riserve di Sassoró e Porto Lindo. In quell'occasione i vigilantes hanno legato gli indios sui camion, li hanno sottoposti a percosse e usati per il tiro al bersaglio.
Lo scorso ottobre, nel corso di un attacco a fuoco da parte di sicari degli allevatori presso la città di Paranhos, i maestri di scuola Rolindo Vera e Genivaldo Vera sono scomparsi.

Ferma la caccia agli Indios
Scrivi al Ministro brasiliano per proteggere i Guarani!

giovedì 7 gennaio 2010

Honduras, Procura: ordine di cattura per vertici forze armate

La Procura generale honduregna ha chiesto alla Corte suprema di emettere un ordine di cattura contro i vertici delle forze armate per l'operazione militare che ha portato alla deposizione e all'espulsione dal Paese del presidente Manuel Zelaya il 28 giugno scorso e l'apertura di un processo per i delitti di abuso di autorità ed espatrio. Secondo quanto precisato dal procuratore anti corruzione Henry Salgado, la richiesta riguarda la giunta dei comandanti delle forze armate, composta da cinque ufficiali e presieduta dal capo di Stato maggiore Romeo Vazquez, ed è stata presentata al massimo tribunale, che potrà comunque decidere di respingerla, affinché nomini tra i suoi 15 componenti un giudice che si dedichi al caso. L'iniziativa legale potrebbe però rivelarsi inutile se il Congresso approverà l'amnistia politica per tutti i soggetti coinvolti nella deposizione di Zelaya, in discussione la prossima settimana e appoggiata dal prossimo capo di Stato Porfirio Lobo, che con il suo Partido Nacional e gli alleati gode della maggioranza nell'Aula. Il capo di Stato maggiore Vazquez ha dichiarato la propria disponibilità a rispondere delle sue azioni davanti alla Giustizia “perché noi siamo uomini di legge”, ma ha anche precisato che al momento non è in possesso di nessuna informazione in merito.
Secondo il presidente deposto, ancora barricato nell'ambasciata brasiliana e sul cui capo pendono sei accuse per reati politici e comuni, l'azione della Procura ha come obiettivo quello di “coprire” la verità. “C'è stata una cospirazione tra Congresso, Corte di giustizia e Procura generale con i militari per giungere a un colpo di Stato. Sono tutti insieme responsabili di quanto è successo”. Zelaya ieri si è incontrato con il sottosegretario di Stato Usa Craig Kelly, in visita nel Paese centroamericano per offrire la collaborazione di Washington nella ricerca di una via d'uscita alla crisi politica. Il rappresentante del governo statunitense si è poi riunito anche con Lobo e con Micheletti. Quest'ultimo è tornato a ribadire che non lascerà l'incarico di presidente “de facto” fino al 27 gennaio, giorno dell'insediamento del suo successore, nonostante le “pressioni americane” e dello stesso Lobo, che gli ha più volte chiesto di dimettersi per favorire la ricomposizione dei rapporti con la comunità internazionale. Micheletti è invece tornato a difendere la sua scelta e ha accusato gli Usa di ingerenza negli affari interni di Honduras per aver offerto “molti milioni di dollari di aiuti” in cambio di un suo passo indietro.
Sul ruolo degli Stati Uniti nella vicenda Zelaya ha espresso la sua opinione all'emittente radiofonica Radio globo, sottolineando che stanno chiedendo che il presidente “de facto” lasci il potere, ma “non hanno la forza” per determinarne l'uscita di scena. “Gli Usa sanno lavorando affinché Micheletti lasci la presidenza prima dell'insediamento di Lobo. Lui però si è fissato, rifiutandosi di fare un passo indietro e ribadendo che rimarrà in sella e con il freno tirato”. “Non cambierò idea perché qualcuno viene qui a fare pressioni – ha quindi aggiunto il capo di Stato “ de facto” nel corso di un'intervista televisiva -. Non me ne andrò prima del 27 gennaio se non c'è un atto legale che me lo impone”.

mercoledì 6 gennaio 2010

Lettera aperta al Ministro Frattini

Cocis denuncia la paralisi della cooperazione italiana e chiede al ministro degli Esteri di sostenere la cooperazione ed i programmi delle Ong nella finanziaria 2010.

Egregio Ministro,

in occasione del dibattito sulla legge finanziaria 2010, COCIS, coordinamento di 25 organizzazioni non governative italiane, impegnate in 80 paesi a favore dello sviluppo umano e sostenibile delle popolazioni più povere ed emarginate, intende ricordare e denunciare lo stato di paralisi in cui versa la Cooperazione italiana per i tagli operati da questo governo, sia in termini di risorse finanziarie, sia in termini di personale organico impiegato presso gli uffici del Ministero degli Affari Esteri preposti alla cooperazione.Certamente non le sfuggiranno le conseguenze negative che ne scaturiscono per il ruolo internazionale dell'Italia, ulteriormente intaccato per l'uscita, di fatto, dall'elenco dei paesi donatori ed il mancato rispetto degli impegni assunti nelle sedi internazionali reiterato nel tempo.
A fronte di questa situazione, l'immagine del nostro paese nei paesi in via di sviluppo è destinata a perdere ogni credibilità a tutto vantaggio di nuovi paesi donatori.Come lei sa, in molti dei paesi più poveri sono rimaste solo le Ong ad assicurare la presenza fattiva e solidale dell'Italia. Esse lavorano quotidianamente nel rispetto degli impegni assunti con i propri partner, mantenendo e rafforzando le relazioni maturate in tanti anni di cooperazione. Ora, accade sempre più spesso che le Ong debbano attingere a fondi privati o di istituzioni nazionali ed internazionali diversi da quelli che la legge 49/87 dovrebbe assicurare alla Cooperazione internazionale italiana.Nel 2010, con gli esigui stanziamenti che si prevede di attribuire al Ministero degli Esteri per il contributo ai programmi delle Ong, sono solo 50 i progetti che potrebbero essere finanziati tra le centinaia in istruttoria attesi in altrettanti paesi e popolazioni beneficiarie. Per tutto ciò, ci rivolgiamo a lei che ha inteso dare importanza alla Cooperazione internazionale mantenendone la delega perchè sostenga nelle sedi parlamentari e governative le esigenze di questo settore cruciale della politica estera italiana così frequentemente sottovalutato. Certi del suo impegno le inviamo i nostri più cordiali saluti.

Giancarlo Malavolti
Presidente COCIS
Roma, 4 dicembre 2009


http://www.cocis.it/

PENA CAPITALE: SVOLTA PER LA SUA ELIMINAZIONE

Usa.05/01/2010.
Anche negli Stati Uniti la condanna a morte fa marcia indietro: con un documento di 113 pagine, approvato lo scorso ottobre ma divenuto pubblico soltanto ieri, il prestigioso American Law Institute (Ali) - che raccoglie 4000 tra docenti universitari di diritto, giudici e avvocati e che nel 1962 aveva gettato le basi per la gestione della pena di morte - annuncia di aver cambiato punto di vista ”alla luce degli irresolubili ostacoli istituzionali e strutturali sulle garanzie relative a un sistema minimamente idoneo all’amministrazione della pena capitale”. La formula scelta per lo storico mutamento di posizione - che il ”New York Times” definisce ‘spostamento tettonico nella teoria del diritto’ - pur nel suo complesso e compromissorio linguaggio indica una condanna ormai esplicita della pena di morte.
La ‘lettera del presidente’, sulla prima pagina dell’ultimo numero dell’”Ali Reporter”, la newsletter trimestrale dell’istituto, fuga qualsiasi dubbio sulla piena e decisiva sconfessione in un riquadro intitolato ”Council affirms membership vote to withdraw capital punishment section from model penal code”, il consiglio sostiene il voto dei membri per il ritiro della sezione ‘pena capitale’ dallo schema di codice penale.
Il ”New York Times” sottolinea inoltre che nel 2008 (primo anno della presidenza Obama) molti altri importanti sviluppi hanno riguardato la pena di morte: il numero di condanne è diminuito, lo stato del New Mexico ha completamente eliminato la pena e quello dell’Ohio è passato a un metodo letale meno crudele. ”Ma nessuna di queste novità - aggiunge il giornale - è così significativa come l’attuale mossa dell’istituto”. Tra coloro che aderiscono all’Ali - finora unico organismo qualificato favorevole alla pena di morte - non pochi avrebbero voluto una decisione più chiara e definitiva con l’immediata totale ripulsa. (Misna)

sabato 2 gennaio 2010

Foreste: i propositi per l'anno nuovo

Anno nuovo, foreste antiche: le foreste millenarie sono una promessa di futuro. Eppure le stiamo perdendo: ogni anno vengono distrutti 13 milioni di ettari di foreste l'anno, una superficie pari a quella della Grecia.Negli ultimi 15 anni è l'Africa ad aver subito i maggiori danni, scendendo da 700 a 635 milioni di ettari di foresta. In Sudamerica si è scesi invece da 970 a 930 milioni di ettari. Tra i propositi per l'anno nuovo, non dimentichiamo di proteggere le foreste. Ecco qualche semplice consiglio per mettere da parte un po' di futuro...

evita prodotti che contengono olio di palma, in particolare il biodiesel: l'espansione delle piantagioni di palma da olio sono è uno dei principali motivi di deforestazione nei tropici
ricordati che il legno è un materiale vivo: acquista prodotti in legno certificati FSC, per usare il legno proteggendo le foreste
non accettare riviste pubblicitarie: è carta (e foresta) gettata nel cassonetto
ricordati di riciclare la carta: tutta la carta riciclata evita l'abbattimento di alberi (e evita tanto inquinamento). Per lo stesso motivo, usa prodotti in carta riciclata
pianta un albero, assicurandoti che sia una specie autoctona, ossia nativa della tua regione
chiedi al tuo comune di risparmiare carta e usare solo prodotti riciclati o certificati FSC

venerdì 1 gennaio 2010