martedì 26 gennaio 2010

L'Uruguay si adatta


di Marinella Correggia - da TERRA TERRA del Manifesto odierno

Si parla molti della necessità che i paesi si "adattino" ai cambiamenti climatici ormai in atto. Cambiamenti che senza una vera riduzione delle emissioni diventeranno presto devastanti come un terremoto.
In Uruguay, province meridionali si Canelones, Montevideo e San José, è iniziato un progetto di mitigazione e adattamento che, a differenza di progetti condotti in alcuni paesi industrializzati, è partecipativo perché prevede un ampio coinvolgimento della popolazione locale. Non è insomma il solito rapporto di esperti messo in mano a un governo per vedere l'effetto che fa.. Parteciperanno tutti: i rappresentanti politici a livello regionale, le università, le imprese pubbliche, le comunità locali, le imprese e gli esperti. Lanciato solo lo scorso settembre, il progetto promosso dall'Onu è tuttora nella fase di individuazione di strategie da parte di gruppi di lavoro nei diversi settori. Le tre province interessate sono abitate da due dei 3,3 milioni di uruguaiani e hanno un grande peso socioeconomico, producendo i due terzi del Pnl e la gran parte delle emissioni di anidride carbonica del paese. Anche se il principale gas serra prodotto dall'Uruguay non è la CO2 ma il metano, a causa della grande quantità di bovini colà allevati.
Uno degli obiettivi del l'intervento è realizzare uno sviluppo locale a basse emissioni grazie ad alleanze a livello di base. Come riferisce l'agenzia stampa Inter Press Service, il governatore provinciale di Canelones Yamandú Orsi è fiero: si vuole agire in concreto mentre i negoziati si limitano a traccheggiare, come ha dimostrato Copenaghen. Oltretutto, è da decisioni prese e livello regionale e locale, precisa il governatore, che dipende in Uruguay fra il 40 e il 75% delle emissioni di gas serra, legate a trasporti, viaggi, abitudini di consumo energetico e generale. Dunque le decisioni di mitigazione prese a questo livello sono molto importanti.
Al tempo stesso la regione scelta ha anche bisogno di imparare ad adattarsi all'evoluzione climatica. Le sue aree costiere devono temere l'innalzamento del livello dei mari, e 150mila persone abitano in bidonville, a elevata vulnerabilità sociale. Un'altra categoria a rischio sono i piccoli agricoltori, con la relativa insicurezza alimentare. Tanti fronti da «mappare», dunque, per decidere che fare. Ad esempio, l'esondazione del fiume Santa Lucia sarebbe gravissima perché nel suo bacino si trova l'unica stazione di pompaggio di acqua potabile di tutta l'area. Allora, ad esempio si potrebbe pensare di costruire una seconda stazione, pur attualmente ridondante.
Presentato alla Conferenza sul clima di Copenhagen il progetto ha sollevato molto interesse. Molti paesi africani, soprattutto Algeria, Senegal e Uganda, ma anche paesi europei e latinoamericani, hanno annunciato di voler replicare l'idea a casa propria.
E a proposito dell'innalzamento dei mari, in Gran Bretagna (dove vivono in aree costiere dieci milioni di persone) uno studio dell'associazione degli ingegneri civili e quella degli architetti («Facing up to Rising Sea Levels. Retreat? Defence? Attack?»), cerca di misurarsi con il futuro delle città costiere minacciate. Suggerendo che ad esempio Hull potrebbe essere lasciata allagarsi, spostando la popolazione e adottando il modello organizzativo di Venezia (ponti e barche). O invece bisognerebbe costruire nuovi spazi abitabili nelle acque, con piattaforme e piloni. Invece l'Agenzia per l'ambiente ha annunciato un piano di 570 milioni di sterline per costruire e mantenere barriere antiflutti.

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