giovedì 27 settembre 2007

WE'VE A DREAM



Ciao a tutti,
molti di voi non mi conoscono, perciò è giusto che mi presenti. Sono Emanuele e sto facendo lo stage in Marocco per RE.TE. Ormai sono giunto alla fine dei mie due mesi magrebini perciò è giunta l’ora di scrivere in questo blog.
Quello che voglio scrivere è di questo paese, il Marocco. Una terra strana, misteriosa, affascinante che al tempo stesso nasconde in se molto di quello che nessuno ci si aspetta, o meglio come dicono loro: “nous sommes fùùùùùùùù” accompagnato dalla rotazione della mano vicino alla testa. Tutto questo si può raccontare descrivendo il viaggio che tutti i giorni mi accompagna da dove abito, Marrakech, al villaggio del progetto, Tamesloht.
Al mattino ci si alza presto con il caldo che ne fa da padrone e quel sudore che non ti abbandona neanche per un istante. Dall’esterno giunge una voce, un canto; è l’Imam “Allah Akbar”. Sono appena le 4 del mattino e se qui la vita inizia presto per me non è proprio così. Allora ci si alza più tardi al suono della sveglia, pensando che quello di prima sia soltanto un sogno, perché tutto questo racconto è un sogno, il mio.
Si esce di casa al mattino quando ancora in giro non c’è nessuno perché dopo la preghiera molti tornano a dormire. Il quartiere, Daoudiat, è quasi irriconoscibile dalla sera prima. Qui ogni volta che il sole tramonta dietro le case e qualche palma la gente inizia a far festa…si aprono grandi mercati all’aperto con tutto quello che possiate immaginare, dei fumi si alzano da qualche baracchino che fa da mangiare e la gente passeggia tra un telo e un altro, perché questo è il nostro stand, in un via vai interrotto solo a tardi.
Questo quartiere è uno dei più popolari e popolosi di tutta Marrakech anche se a detta di molti non è poi così vero. Dicono che esiste di peggio, ma credo che qui si possa respirare la vera aria calda che spira dal deserto portando con se sogni, speranze e tanta tanta sabbia.
A Daoudiat molte persone sono partite per quel sogno che si chiama Europa, molti non ne fanno più ritorno, il motivo sceglietelo voi, altri invece, tornano per l’estate a trovare i loro parenti e soprattutto per raccontare del loro sogno. Tornano parlando di un posto favoloso di una terra promessa dove chiunque può realizzarsi, chiunque può aspirare a una vita migliore, mentre qui la dittatura o se preferite monarchia costituzionale riduce all’osso. Forse il sogno resta tale perché chi l’ha visto trasformare in incubo non ha fatto più ritorno in questa terra.
Perciò qui si trova di tutto, dalla ragazza velata a quella che i veli li ha solo per coprire quel poco che deve, il tanto basta…si incontra il mendicante, il ragazzino che cerca di fare il teppista con chiunque soltanto per attirare un po’ di attenzione; qui quando termina la scuola non c’è molto da fare o la piscina o la strada che poi molto non cambia.
Inoltre, si incontra avvolte quelle persone che come dire…si mettono tanto fondo tinta in faccia da camuffare la propria pelle…ebbene si perché dovete sapere che qui il colore della pelle vuol dire molto. Ci sono i neri, ex schiavi venuti dal sud e come tali non contano poi molto, infondo il nero è il colore del male, il colore delle tenebre o almeno è questo che ci insegnano da piccoli. Poi ci sono i bianchi, pochi a dir la verità, forse un retaggio dei colonialisti francesi che qui hanno portato poco e preso molto come anche oggi infondo. Infine, ci sono quelli di mezzo perché come ogni storia narra c’è sempre chi cavalca quella linea sottile tra di qua e di là. E allora ecco che c’è chi orgoglioso delle sue origini del sud non si cura a prendere un po’ di sole e passare dalla linea del nero mentre chi preferisce appartenere all’altra linea fa bene attenzione a coprirsi per non prendere il sole o magari mettersi un po’ di trucco per sembrare più bianca, nonostante il caldo non fa durare poi molto perché come ogni truffa che si rispetti non può passare alla luce candida del sole.
Ecco allora che si abbandona il quartiere, dove ogni sera è una festa, un matrimonio, un motivo per uscire di casa e festeggiare. Perché poi qui se non lo si trova il motivo di festeggiare non viene poi cosi tanto spesso.
Ci si avvicina al centro per prendere il bus che ci accompagnerà al nostro villaggio. Si arriva alle mura della città, dove ancora si intravede i fasti della città imperiale tanto ammirata nei secoli scorsi. Una città di confine, un confine impalpabile ma reale, tra il nord e il deserto. Marrakech è stata da sempre quel porto di mare o meglio oasi che per chi veniva dal lungo viaggio per il deserto appariva meravigliosa con i suoi giardini, le sue case in argilla fresca, il suo souk in cui potevi rifornirti per il prossimo viaggio e vendere quello che avevi trasportato con tanto ardore tra le dune impervie del Saharah. Come ogni città di confine che si rispetti, come ogni porto, Marrakech era un’incontro di persone, identità, culture, merci, una città fatta di fasto, divertimento e riposo per i molti che vi approdavano.
Oggi di tutto questo è rimasto ben poco. Il deserto è avanzato, l’acqua è andata altrove, l’argilla si è trasformata in cemento e gli avventurieri dal sud…beh ormai nessuno viaggia più nel deserto. I nuovi avventurieri sono i turisti…che come ogni buon vacanziero crede di sapere tutto della città, di catturarne l’anima in pochi giorni!!! Invece, porta via poco e lascia tanto meno, forse qualche dirham, perché ormai l’unica fonte di sostentamento è il turismo.
L’unica cosa rimasta intatta per anni è la piazza, Djemaa El-Fna. Resta ancora quella di una volta con i suoi giocolieri, cantastorie, incantatori di serpenti, musicisti, qualche saltimbanco e alcuni tipi stravaganti; qui il turista viene lasciato ai margini come uno spettatore inerme davanti alla maestà della serata.
Si scende dal gran taxì, principale mezzo di spostamento a Marrakech, che di grande ha solo gli energumeni all’interno; 6 persone a bordo di un Mercedes avveniristico con un clima interno di circa 50 gradi, 45 esterni quando fa freddo, e ci si incammina verso la stazione dei bus. Si passa attraverso i bar, luogo tanto amato dagli uomini. Qui la gran parte dei marocchini passano la loro intera giornata a bere caffè e giocare a “carta”. Spesso ci si domanda perché in questi bar non sono presenti le donne e allora si pensa alla religione, alla cultura e invece la verità è che le donne vanno nei bar, a bere il tè ed incontrare amiche, ma non certo in quelli dove l’uomo omofobo viene tuttavia attratto dal proprio sesso.
Poi si parte alla volta di Tamesloht, si esce da Marrakech e subito ci si immerge nel deserto. All’ultima porta, ad attendere per il saluto c’è una cicogna con il suo nido che forse porta in grembo quella speranza dove qui avvolte lascia il tempo che trova.
Per andare al villaggio ci si avvicina alle montagne, con questo sfondo immenso, intorno il nulla e davanti, imponente, si erge l’Atlas. Per questa via ci si accorge subito cos’è oggi Marrakech o meglio cos’è oggi il Marocco. Si costruisce ovunque, in qualsiasi modo e qualsiasi cosa. Perché l’importante è costruire, poi chi compra forse qualche avventuriero straniero o qualche marocchino abbiente in cerca di fama e di denaro. Per ora non resta soltanto che quartieri fantasma, cattedrali di cemento in mezzo al nulla…perchè l’importante per i governanti marocchini non è creare qualcosa di sostenibile, che duri nel tempo, che porti benefici alla popolazione ma qui si guarda a chi porta più soldi senza prestare attenzione a cosa realizzare. La fame di denaro porta avvolte a fare scelte sbagliate, ad accettare finanziamenti stranieri di miliardi di dollari per costruire case, country club e tutto quello che una vera vacanza prevede, perché è di questo che si tratta. Senza però accorgersi che i nostri divertimenti, perché se non l’avete capito i turisti siamo noi, hanno bisogna d’acqua; quell’acqua che ogni giorno viene tolta alla terra, lasciando i campi aridi e i contadini senza i loro raccolti…e se qui l’agricoltura non funziona…beh conclude voi la frase!!!
Poi si arriva a Tamesloht o meglio si passa per le sue campagne , quelle che una volta erano coltivate ad olivi. Perciò il deserto avanza, gli olivi spariscono e i contadini….beh forse troveranno lavoro nel turismo o forse inizieranno anche loro a sognare la terra promessa.
Ad un tratto si intravede il villaggio o meglio, si vede all’orizzonte un conglomerato di cemento perché ormai l’argilla non va più di moda e la modernizzazione fa parte di ogni paese che si rispetti, inoltre, fumi neri si alzano dai forni perché qui l’unica cosa che hanno da bruciare sono gli scarti, la plastica…tutto quello che la società non vuole più viene riutilizzato come combustibile.
L’autobus ci lascia nella piazza del villaggio…ah l’autobus, unico mezzo di collegamento tra Marrakech e i dintorni, perché qui la macchina non è poi un bene così comune, dove si scopre la bellezza dell’unità del viaggio.
In cima alla piazza spicca l’unico edificio esterno al contesto, una specie di casa coloniale a due compartimenti, oggi adibito a bar, con la struttura che ogni buon architetto francese rispetti.
Alla sinistra c’è l’ensemble, il luogo dove si svolgono i corsi, dove il progetto nasce e prende vita ogni giorno. Ti aspetti anche lì un ambiente angusto, torrido perché dopo il viaggio non hai visto altro che cemento e deserto, e invece la sorpresa all’interno: un cortile nel quale si affacciano i vari atelier, grandi giare e un po’ di verde a fare da arredo. Ci si aspetta di vedere artigiani intenti in stile manovali e invece, il lavoro qui è come un passatempo, si sorseggia tè, si chiacchiera con gli amici si scherza e si ride. La fabbrica che tutti immagino in quel sogno non è altro che una prigione che per 8 ore usura l’uomo e la sua mente.

Allora ad un tratto riscopri il Marocco, riscopri questo popolo perché qui i valori sono ancora quelli, come dire, di una volta. Il rispetto, l’amicizia, la comunità sono ancora valori forti dove si cresce si in mezzo ad una strada giocando tra le fogne e i rifiuti ma anche in mezzo a quei valori che noi abbiamo lasciato ai libri di storia.
Qui il pasto viene fatto tutti insieme facendo la colletta per un pezzo di montone e un po’ di verdura…ma alla fine il risultato è ottimo…chi prova il tajin di Tamesloht non torna più indietro. E cosi le giornate passano tra una chiacchiera e l’altra, lavorando continuamente a mano i vari pezzi dell’artigianato. Qui qualsiasi cosa è fatta a mano…le macchine sono soltanto quelle con quattro ruote e un motore….per poi rivendere il tutto a pochi dirham al souk dove qualche turista si farà ripulire il portafoglio dal commerciante di turno.
Intanto il caldo aumenta e a Tamesloht non c’è nulla per ripararsi, né un albero né altro…ma qui all’ensemble dopo il tajin ci si rilassa su un tappeto steso in terra fino l’ora della preghiera perché qui Allah è più Akbar che altrove. Intanto in attesa che il sole tramonti, il pullman arrivi e si faccia l’ora di tornare a Marrakech si sorseggia il tè del deserto come tradizione vuole sotto una luce rossastra che il sole si lascia alle spalle tramontando dietro le montagne.
Questo è il mio Marocco, una terra di sognatori e grandi viaggiatori dove le tradizioni lottano sulla modernità, dove il tempo ha sbiadito sogni e persone ma anche dove regna grandi valori di un tempo che fù e la gente vive fieramente con il proprio passato e con la speranza di un domani migliore.
bismillah



lunedì 24 settembre 2007

Alluvione a Bandiagara



Purtroppo le pioggie non sembrano mai amiche del Mali; gli anni scorsi, i coltivatori hanno sofferto la siccità. Quest'anno, le piogge violente hanno invece fatto molti danni nel Paese Dogon, tra cui la distruzione del ponte per Sevaré e Mopti, le città di riferimento, dei ponti tra i villaggi e molte piccole dighe utilizzate per le coltivazioni.
A causa della situazione sul posto, abbiamo rimandato il viaggio di turismo responsabile previsto per la fine di ottobre, e cercheremo nel frattempo di contribuire alla ricostruzione.

mercoledì 29 agosto 2007

torniamo in piazza, anzi al parco



eccoci tornati dalle meritate vacanze e dai viaggi di lavoro fatti al posto delle vacanze.

dal 30 agosto al 16 settembre saremo presenti - per quanto riusciamo - alla festa di liberazione, al parco ruffini di torino.
(precisazione: abbiamo chiesto ospitalità anche ad altre feste, ma questa è l'unica che ci ha aperto le porte).

http://www.liberafesta.it/torino/

venerdì 6 luglio 2007

Alluvione in Mali

Il nostro responsabile locale in Mali, Mamadou Guindo, ci ha comunicato dei gravi danni causati dalle forti piogge a Bandiagara: circa 150 case sono state spazzate via dalla pioggia e le famiglie sono restate senza casa, le vie di comunicazione sono interrotte, i ponti sono crollati. La città permane senza corrente e acqua potabile (by Katia)

lunedì 25 giugno 2007

L'FK Rudar si gioca la promozione


18 maggio 2007

La squadra di calcio di Breza si chiama “rudar”, che significa minatore. La miniera é importantissima a Breza: mezza città ha lavorato o lavora tuttora nella miniera di carbone all’inizio del paese. Il suo simbolo occhieggia anche nello stemma del comune. E’ una delle più grandi, se non la più grande di tutta la Bosnia e rifornisce la ciclopica centrale elettrica di Kakanj. A Breza metà popolazione si scalda a legna, presa dai boschi, l’altra metà a carbone. Arriva un camioncino, scarica in mezzo alla strada davanti a casa uno o due quintali di carbone. Il padrone pian pianino lo spala in cantina. Per mezza giornata la strada é bloccata. Nessuno se la prende, é normale. La squadra nasce dalla miniera, un pò come la Juventus con la fiat credo. Ricorda un po’ gli “isotopi” di Springfield. Quest’anno ricorrono cent’anni della miniera: quando é sorta in Bosnia c’era l’Impero Asburgico.

Comunque mercoledì la squadretta, che milita dignitosamente in serie C, si giocava la promozione: 1 a 2, e sogni di gloria all’anno prossimo. Mi son fatto coinvolgere volentieri. Sono andato a fare il tifo per il Rudar credendo, da bravo fedelissimo, che potessero fare l’impresa (James mi aveva assicurato di sì). E in effetti la squadra inizia all’attacco, aggressiva, e nonostante il ritorno degli avversari riesce a chiudere in vantaggio il primo tempo. Poi purtroppo un autogol carambolesco annulla il vantaggio.



Le grida selvagge


Infine uno svarione difensivo concede un rigore agli avversari prontamente trasformato. Disdetta! “Mancò fortuna non mancò valore” si dice in gergo militaresco. Il registro non é così fuori luogo. I tifosi, categoria che rispetto ma fatico a capire, sono più simili a una tribù in battaglia che non a sostenitori, pur coinvolti, che assistono una semplice manifestazione sportiva. Quelli di qui non sono in fondo né più brutti, né più cattivi, né tanto meno più ubriachi che altrove. I cori approfondiscono pressappoco quelle due o tre tematiche classiche tipicamente al centro della speculazione ultrà: la nascita del tifoso con la maglia della propria squadra, l’invito a unirsi nella nobile causa di fare un culo così all’avversario e, immancabile, l’antico mestiere della madre o delle sorelle degli avversari. Per le madri uno zelo particolare. Del resto in Bosnia già di suo le orecchie di mamma fischiano di continuo, quasi più che in Abruzzo.

Sono andato tra i più sfegatati, in quella che in uno stadio sarebbe la curva. A Breza ci son gli spalti solo di lato, di cemento sgarrupato. Niente curva. Devo dire che é divertente cantare i cori, che alcuni personaggi sono pittoreschi e che l’iperbolica retorica ultrà smuove gli animi. Alzare la voce e le braccia viene da sé, al gol ti senti esplodere e qualche fischio all’arbitro scappa. Ma perché, mi chiedo, deve essere sempre necessaria tutta quella polizia? Perché un avversario che distrattamente guarda verso la tribuna deve essere minacciato di pestaggio, se non bersagliato con qualsivoglia oggetti? Perché la squadra avversaria, venuta sportivamente ad applaudire la tribuna, deve scappare sotto una pioggia di lattine? Mi hanno parlato del bisogno identitario, della competizione, dello sfogo dell’aggressività, ma diavoloporco continuo a non realizzare come non si possa avere qualche ambizione più elevata che non pestare l’avversario a fine partita. Eppure lo schema si ripete uguale in ogni città del mondo, con ogni squadra. Breza non fa eccezione. A Breza, realtà piccola, si avverte in special modo il paese più frizzante dalla mattina, calmo ma in qualche modo inquieto, teso, all’erta. Bandiere e magliette escono presto per la città. E’ difficile non accorgersi dell’evento. Nessun luogo in città é davvero lontano dallo stadio, e pochi hanno faccende più importanti. Tifosi, anche anziani, già ubriachi quattro ore prima, si compiacciono che un italiano prenda parte alla loro nobile causa, e non mettono in dubbio la gloriosa vittoria del Rudar. Si respira un fermento particolare, un’attesa, una specie di strana laboriosa quiete prima della tempesta. Tutti hanno il biglietto e me lo mostrano, non fatico a trovare chi vien con me sugli spalti. Vado con Haris, trovo Lejla, Alen, James, qualche papà e mamma e un sacco di bambini. Dino, ragazzino che bazzica al Desnek, fa il raccattapalle. Tutte le età e le categorie di persone son rappresentate. I cori iniziano timidi poi più decisi. Oggi a Breza tutti ritrovano nel Rudar un pò del loro orgoglio. La loro promozione forse é sentita come un riscatto per una cittadina che crede poco in se stessa, che guarda Sarajevo come una bambina guarda una signora elegante e raffinata, che vede futuro solo altrove. Il Rudar é forse l’occasione di dimenticare i problemi quotidiani, che qui non di rado vuol dire pane e companatico in tavola, trovare lavoro, o per i giovani cosa fare della propria vita. Nel Rudar forse ognuno vede la propria battaglia con la vita? Come in tutto il mondo per molti sarà anche così. Per qualcuno é solo un gioco.

Cerco di partecipare alla loro “battaglia”, di sentirmi anche oggi un po’ uno di loro anche se sia io che loro sappiamo di appartenere a mondi diversi. Non può che essere così, pur con tutta la buona volontà, l’affetto e l’amicizia che cerco di metterci. E va bene, giochiamo a tifare Rudar. A Breza oggi non c’é Sarajevo, non si pensa al futuro, non c’é altrove: c’é solo il rudar.

Juan Saavedra

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venerdì 22 giugno 2007

il gruppo gite


Il gruppo gite

venerdì 11 maggio 2007

Sabato scorso abbiamo radunato alcuni amici del Desnek. Vogliamo continuare con le gite per i bambini, ma non vogliamo che sia cosa solo nostra. Gli abbiamo così proposto di collaborare con noi. Abbiamo in cantiere ideuzze semplici: una grigliata sulle colline, e qualche gioco coibambini, per il sabato successivo. Più a lungo termine ci aiutano a organizzare i campi di lavoro che vorremmo fare per l’estate. Molti giovani bazzicano il Desnek senza farci granché. Play Station, videogiochi vari, chat e cazzeggio ti risucchiano anche qui. Un paio d’ore alla settimana possono concedercele.

Le riunioni coi bosniaci sono una prova di pazienza. Ci si trova puntualissimi, ma ognuno per i fatti suoi. Ci sono, voglio dire, sono lì, ma uno gioca alla Play, uno controlla ”solo un attimo la posta”, uno beve il caffé ... in una decina di minuti li raduniamo. Si prendono abbastanza a cuore i temi discussi, sono coinvolti, pensano e propongono come risolvere i problemi. Poi ogni tanto uno prende e sparisce per un pò. Il primo che sparisce di solito é andato a cercare un portacenere: oltre il quarto d’ora qualcuno deve per forza fumare. Gli altri che via via si 1 dileguano non si capisce, comunque dopo poco ritornano. Sono molto dispersivi. Cambiano discorso saltando di palo in frasca. Discutono, discutono. A volte sembrano quasi litigare, poi si sorridono e si danno una pacca sulla spalla, o si offrono da fumare. Ogni tanto dichiarano di aver preso una decisione con enfasi, come fossero pronti a scriverlo sul marmo. Basta poco per rimettere in discussione tutto. Il caffè aiuta, ma non fa' miracoli. Sembrano sempre girare attorno alle cose senza mai arrivare al punto. Si concentrano su dettagli trascurabili per un sacco di tempo. Faccio fatica: sono abituato a finire un discorso prima di iniziarne un altro, a chiudere in fretta eventuali parentesi. Il loro modo mi stanca, in capo a un’ora so che avrò mal di testa.



Cambio tattica, cerco di adattarmi. “Sparisco” anch’io qualche minuto a prendere un po’ d’aria, ascolto e contribuisco alle loro infinite parentesi: diciamo una ritirata strategica. Polako, polako (pian piano) come usano dire da queste parti, cerco di ottenere qualche decisione, di dividere i compiti e dare delle scadenze. Loro non sembrano infastiditi dal mio intervento così occidentalmente efficientista. Sembrano quasi docili quando cerco di tornare al punto. Mi prendono un po’ in giro, ma mi seguono. Faccio molta fatica a non sentirmi un po’ “superiore”, un po’ “arrivato ad aiutare i poveri bosniaci poveri e inesperti”. E loro forse fanno a volte fatica a non sentirsi i “poveri e inesperti bosniaci”. Difficile scrollarsi di dosso questa “missione civilizzatrice dell’uomo bianco”, pur con tutte le migliori intenzioni e lo spreco di virgolette. Certe idee sono radicate molto in profondità di quanto. La razionalità per quanto educata fatica ad arrivarci. E’ forse una delle sfide della cooperazione internazionale, una missione scritta nel suo stesso nome “cooperazione”, guardare a chi a bisogno d’aiuto non da maestro, non da padre o da tutore, ma alla pari. Delle relazioni forse, più che degli aiuti.

Juan Saavedra

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giovedì 21 giugno 2007

Ultim'ora: SENTINELLI, IL 50% DEI FONDI IN PIU' A COOPERAZIONE

(AGI) - Roma, 21 giu. - Nel Dpef in discussione bisogna prevedere "un aumento di almeno il 50% dei fondi per la cooperazione allo sviluppo". A chiederlo e' stata la vice ministra degli Esteri con delega alla Cooperazione, Patrizia Sentinelli, all'incontro con la stampa di bilancio sul primo anno della delega.
Nel riconoscere "l'importante inversione di tendenza nella Finanziaria 2006" che ha aumentato gli stanziamenti dell'anno precedente di quasi il doppio portandoli a 600 milioni di euro, la vice ministra non ha usato mezzi termini: "Se non ci sara' un aumento progressivo dei fondi per la cooperazione - ha detto - l'Italia non riuscira' a raggiungere gli obiettivi del millennio e ad arrivare al famoso 0,7 Aps/Pil nel 2015". Per la Sentinelli e' altrettanto "evidente che per rispettare gli impegni presi in sede Onu e Unione europea e fra crescere rapidamente la percentuale di Aps sul Pil (ossia dell'Aiuto pubblico allo sviluppo sul Prodotto interno lordo) "e' necessario l'impegno di tutti i soggetti della cooperazione, compreso il ministero dell'Economia che gestisce i due terzi dei fondi". Per questo la vice ministra chiede anche la costruzione, condivisa tra le Istituzioni, di un "calendario per il recupero del progressivo raggiungimento degli impegni", un'esigenza importante su cui, ha insistito, "occorre iniziare a lavorare da subito per raggiungere la tappa intermedia dello 0,51% Aps/Pil nel 2010". (AGI)

RE.TE si unisce all'appello dell'ARCI



Shaadi, palestinese,è morto ieri a Gaza,
ucciso dal fuoco di cecchini del suo stesso popolo.

Aveva percorso le vie di una città terrorizzata e attonita per chiedere la fine delle violenze in una manifestazione pacifista che ha osato sfidare il dominio delle fazioni armate.

Aveva 20 anni.

Lavorava con il REC, associazione palestinese che da anni sta a fianco dei bambini di Gaza costretti a sopravvivere nell’inferno di una città occupata, assediata, isolata, ridotta alla miseria estrema.

Quaranta anni di occupazione israeliana uniti alla complicità e all’ignavia di una comunità internazionale che è riuscita a deludere tutte le speranze di pace e di giustizia, hanno prodotto l’unico risultato possibile: sulla devastazione sociale ha attecchito la devastazione politica, etica e morale.

Shaadi faceva il clown.

Ogni giorno, provava a regalare un sorriso a i bambini e le bambine a cui è negato da generazioni il diritto all’infanzia.

Noi, che sosteniamo il REC con l’impegno quotidiano dei nostri circoli e dei nostri soci, inchiniamo le nostre bandiere arcobaleno davanti alla vita e alla morte di un vero partigiano della pace.

Ricorderemo Shaadi nelle nostre sedi e nelle nostre iniziative.

Anche in suo nome, chiediamo all’Europa di svegliarsi finalmente dal sonno che genera mostri e di muoversi per fermare il disastro in Palestina.

Al Governo del nostro paese chiediamo di dare ora un segnale forte e inequivocabile che rompa il silenzio assordante del mondo.

Non c’è più tempo. Il tempo è ora.


L’Arci

lunedì 18 giugno 2007

...e mocciosi


venerdì 4 maggio 2007

Gita al lago. Si inizia con un bel ritardo cronico, mi affanno. Due minuti sono già ritardo, venti? mi costeranno una bella ammonizione per me,gli italiani usi e costumi in blocco.

Ma poi no li ritrovo tutti sereni davanti al Desnek. Si sono già abituati, meno male, l’incontro fra culture e la comprensione reciproca: che bella cosa.

Ore 9.30: Partiamo. Pochi ma buoni? Forse. Siamo tre grandi bambini e cinque scatenati sotto il metro e 20 e ben tre quadrupedi a segnare il passo. Ventiquattro piedi in direzione del lago, beh non sono pochi alla fine. Ma soprattutto quel lago non è segnato su nessuna cartina. Perchè? Non vedo l’ora di svelare l’arcano. Andiamo.


A cento metri dalla partenza realizzo che la palla non ce l’ha nessuno. Dietrofront: per fortuna il minimarket ha di tutto e riusciamo a recuperare un supertele. Purtroppo non arriverà neanche a metà strada, l’unico cespugli di 1 rovi è stato bersagliato e colpito. Ovviamente. La truppa cammina allegra e motivata verso le colline. La salita dura un’oretta e qualche, si suda e si ride. Il paesaggio si svela pian piano ma dopo l’ennesimo tornante il sipario si apre del tutto: Le colline a panettone come piace chiamarle a me si perdono a vista d’occhio. Solo boschi. E’ bellissimo. La contemplazione è animata dal vociferare dei piccoli gitanti che mi hanno ormai superata di gran lunga. “Lisa ce la fai?” “Vabbè che sei la più vecchia..” Etc..Ok, fine della contemplazione. Raggiungo con corsetta i piccoli spiritosi e mi metto davanti alla carovana. giusto per smentirli.

Il sentiero si perde e tagliamo due colline e due greggi: inizia la discesa,pendenza 10% e si fa di corsa, per forza.

Quindi al lago ci arriviamo quasi con tuffo di testa. Il lago.

ecco appunto. il mistero del perché non fosse segnato. Lo intuisco dal gran vociare di rane ancora prima di vederlo. E vabbè era uno stagno , alla fine. Incomprensione linguistica o approssimazione infantile? comunque sono tutti soddisfatti della meta. i quadrupedi si lanciano in acqua. anzi uno si lancia e gli altri vengono lanciati! Inutile protestare, il linguaggio animale non è stato ancora codificato del tutto e nel gruppo c’è chi sostiene che ai cani piacciano i tuffi con lancio. Le rane si zittiscono, e sì siamo arrivati. i bambini iniziano a chiedermi se sono contenta che siamo arrivati in mezzo alle rane e a chiedermi perché non mi metto ad acchiapparle. Non capisco. Ma poi sì. Gli italiani qui son soprannominati mangiarane. Ah bene, ma io no le mangio. Comunque ci mettiamo a cercale, vogliono essere sicuri che se le vedo resisto e non le sbrano. Evviva la fantasia. comunque le piccole anfibie, si son nascoste. “Hanno paura di te, che te le mangi..” e beh certo. Mi viene in aiuto una bella biscia d’acqua che con una codata sulla riva fa battere tutti in ritirata. E’ ora di ripartire. e’ stata una bella gita, speriamo in una replica.

Juan Saavedra

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venerdì 15 giugno 2007

TANTI AUGURI!!!!!


Debora Bilò e Salvatore Messineo, soci di RE.TE, il 21 giugno coronano il loro amore e si sposano...

RE.TE. augura loro tanta felicità e gioia..

AUGURI!!!

ottime notizie

Ieri il Ministero ha approvato due nostri programmi presentati da tempo in cerca di un finanziamento: il progetto integrato a BREZA, in Bosnia (da cui scrivono Silvestro e Lisa), e il progetto a sostegno delle comunità quilombolas (originate dagli schiavi neri fuggiti nelle foreste in cerca di libertà) nel Vale do Ribeira, Stato di San Paolo, Brasile!

foto


27 Aprile 2007

Armina ha fatto una cosa stupenda. Nel palazzo abbandonato che la Lotteria Nazionale le ha concesso in uso, ha organizzato una mostra: opere realizzate con foto. Mi spiego meglio ... ogni artista esponeva le foto che voleva, come voleva. Disponendole, montandole liberamente e usando i supporti che meglio credeva. Una, ad esempio, appariva come un albero, fatto di pezzi di legno attaccati al muro e dipinti. A mo’ di frutti, alcune fotografie in A4. Le opere erano molto semplici, e quasi sempre fatte con materiali di recupero. Oppure erano attaccate a qualche parte dell’edificio, o disposte in una sua stanza. L’edificio e le sue parti divenivano così parte delle opere. Quasi sfumava il confine tra le opere e il loro contenitore.





Le opere, molto curate e originali, non sembravano certo fuori luogo
tra sporcizia, calcinacci e muri semicrollati, anzi erano tanto più
interessanti perché “integrate” nell’edificio, che si trovava così
trasformato col suo squallore e il suo abbandono, con la sua decadenza,
in un’opera d’arte. Gli artisti son riusciti in pieno a sfruttare la
forza evocativa dell’edificio. Forse era difficile pensare questo posto
come location per mostre ed esposizioni, eppure questa mostra qui é
stata proprio azzeccata. Avevamo promesso ad Armina di aiutarla, se non
con opere d’arte, almeno a sistemare e a preparare il rinfresco. Armina
ha questa abitudine di accogliere chi visita le mostre o le iniziative
nel suo spazio, offrendo qualcosa da bere. Un gesto ospitale. Portiamo
quindi “il materiale” e ci mettiamo a sbucciare mele per la sangria.
Vengo inviato a comprare insalatiere di plastica. In centro a Sarajevo?
La missione si rivela impossibile, com’era facile immaginare. A mostra
iniziata diamo qualche cambio al tavolo bevande: precedenti esperienze
di ospiti troppo “assetati” consigliano che qualcuno stia al tavolo a
servire da bere. Intanto giriamo la mostra. E’ pieno di gente piuttosto
varia e tutti sembrano apprezzare il lavoro. Piano piano questo strano
luogo prende forma e vive. Ogni volta qualcosa é diverso, qualcosa
migliora.

Silvestro e Lisa

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giovedì 14 giugno 2007

Fiori


Venerdì 20 aprile 2007

L’altra settimana Irfan ha avuto un’idea, di quelle geniali per la loro semplice ovvietà. Avevamo coinvolto un paio di giovani del Desnek per vedere cosa si poteva combinare con i bambini, e per proporre un programma di gite.

Il Desnek sarebbe rivolto a giovani dai 16 ai 30 anni, ma la sua sala computer é affollata di bambini. Aspettano che i computer siano liberi per giocare ai videogiochi. Oppure aspettano di avere il mezzo marco per pagarsi mezz’ora di computer, e intanto guardano gli altri, ficcano il naso mentre leggiamo la posta o parliamo via skype, corrono qua e là. A volte si fanno troppo “animati, e vengono cacciati malamente dal responsabile della sala computer.



Qualcuno é più “teppistello” di altri e a volte cerca di venderci oggetti di qualunque tipo, di provenienza quantomeno sospetta. Questa situazione di “sbando” ci piace poco, soprattutto considerato che molti giovani del centro hanno energie e tempo libero. Così l’altra settimana ci trovavamo in “cancelarija”, ufficio, con Irfan ed Edin, a parlottare di cosa si può fare. Qualcuno mi chiede 1 Dzenan Irfan chi finanzierà: é una domanda abbastanza frequente. Sembra che per qualunque cosa servano soldi, anche per tirarsi dietro quattro ragazzini. Rispondo seccamente che non servono. La domanda non é del tutto ingiustificata in un paese dove il volontariato non é molto diffuso: un pò non c’é la cultura di fare qualcosa per gli altri senza soldi, un pò la gente deve prima portare a casa la pagnotta. Irfan propone di risistemare i vasi di fiori davanti al Desnek. Perfetto: poco costoso, semplice da organizzare e realizzare, vario, perché bisogna andare a prendere la terra, riempire i vasi, zappare e piantare, ma soprattutto remunerativo, perché alla fine si vede e si apprezza il frutto del proprio lavoro.
Domenica mattina arriviamo puntuali, ma i bambini sono già al lavoro. Alla squadra si é aggiunto Dzenan, personaggione forte e atletico (olimpiadi, giochi del mediterraneo, mondiali ...), zappa come una macchina. Ride e scherza sempre, e i bambini lo adorano.
Mi metto al lavoro, ma per ogni cosa che cerco di fare un ragazzino mi strappa di mano gli attrezzi. “jacciu, jacciu”, “faccio io, faccio io”. Ripiego sulla documentazione. Fotografo tutto. Con la macchina digitale non c’é più ritegno. Zappiamo in profondità, poi partono varie spedizioni a prendere la terra, si mischia la terra, si bagna. Al momento di mettere i fiori fa troppo caldo, diciamo ai bimbi di tornare più tardi. Finito il corso di italiano (di cui siamo i temutissimi professori) ci ritroviamo. Fatichiamo a frenare i bambini, e a imporre un ordine estetico dei fiori. Cinque o sei persone lì per caso si prodigano in consigli, come se i fiori fossero il loro mestiere. Ne emergono varie scuole di pensiero. Prevale quella di un ubriacone, esagerato ma innocuo. Vuol fare tutto lui. I bambini ridono, riusciamo più o meno a limitarlo.
I fiori sono piantati. Ora vedremo se resistono al sole, ai temporali, a mani misteriose che strappano o rubano, alla spazzatura lasciata nelle aiuole. Riceviamo i complimenti del presidente, e di alcune signore al balcone. Regaliamo ai bambini mezz’ora di computer gratis, e loro si gettano subito all’arrembaggio.

Silvestro e Lisa

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mercoledì 13 giugno 2007

Sretan Uskrs, Pasqua a Sarajevo


venerdì 13 aprile 2007
Oramai é più d’un mese che siamo in Bosnia. Enrico, venuto in “missione”, ci ha aiutato a fare il punto. Pur assolvendo a tutti i nostri compiti, avevamo l’impressione di essere poco impegnati rispetto alle otto ore giornaliere di contratto.
Ci siam fatti una lista di idee e cose da fare:

1. combinare qualcosa con i bambini che affollano il centro giovani. Sono un po’ abbandonati a se stessi ... cercheremo di tirare in mezzo un po’ altri volenterosi al centroggiovani.
2. cercare di mettere in piedi dei progetti con alcune realtà sportive di Breza, una squadretta di calcio femminile, e il Rudar FK, che milita in serie B.
3. collaborare con Eko Drustvo, un’associazione ecologista di Breza, e con il suo carismatico presidente, Masa.
4. seguire alcuni progetti di percorsi turistici con Jozo, a piedi e in macchina. - cercare possibili fonti di finanziamento per progetti futuri.


Lista lunga, ma non poi impegnativa come sembra. Solo fà un po’ venire “mal di testa” il fatto di avere tante cose, pur piccole, a cui star dietro. imparerò a usare bene l’agenda.



Domenica scorsa era Pasqua. Mi ha colpito come tutti ci tenessero a fare gli auguri, anche, anzi soprattutto, i musulmani. Molti amici e conoscenti mi sorridono, mi stringono la mani, a volte chiedono 1 quale festa sia per noi e infine augurano “sretan Uskrs”, buona Pasqua.
Io ed Enrico siamo andati a messa. Abbiamo evitato la chiesa di Breza. Meglio risparmiarsi gesti che possano essere interpretati: in Bosnia andare a messa può significare prendere parte con i cattolici, quindi con i Croati. Andiamo dunque a Sarajevo, nella cattedrale. Chiesa gremita e illuminatissima. La messa verrà trasmessa in televisione e in chiesa ci saranno 6 o 7 telecamere con cavalletto rotabile. La chiesa é piccola, fa un po’ strano chiamarla cattedrale. Il cardinale comincia, si felicita della presenza della televisione, saluta e augura buona Pasqua ai fedeli, anche a casa. Si rivolge poi ai musulmani, e agli ortodossi. Per questi ultimi la Pasqua quest’anno coincide con quella cattolica. Di solito sono sfasate di qualche settimana perché son calcolate in base a due calendari diversi: quello gregoriano e quello giuliano. Della predica colgo solo qualche parola, e la passione dialettica del cardinale. Verso la fine si infervora, ma conclude con un largo sorriso, bonario e accogliente. Alla fine il coro ci delizia dell’Halleluja di Haendel e usciamo sotto la pioggia.
Prima di tornare dobbiamo passare da Armina, a consegnare un CD. In Bosniaco mi da indicazioni per una vietta dietro la Banca Centrale, piena di ambasciate e di polizia. Mi trovo di fronte a un palazzo abbandonato da molti anni. Dentro é abbastanza disastrato. Esco pensando di aver sbagliato indirizzo, di non aver capito le indicazioni al telefono, invece é proprio questo. Trovo all’interno Armina, con Claudio e Carmela. Sul tavolo un cumulo di stracci, che taglia e cuce per farne di nuovi: un laboratorio di riciclo vestiti usati. Ci racconta un po’ la sua storia: si é da poco laureata in architettura con una tesi su di un edificio abbandonato di Sarajevo. In uno di questi ha chiesto e ottenuto di poter mettere in piedi delle iniziative come piccole esposizioni, spettacoli, laboratori ... piccoli eventi di ogni tipo.
Tutto questo senza un soldo, aiutata da amici e simpatizzanti della causa e attirando anche un certo interesse di radio e televisioni (in Bosnia più accessibili che in Italia). Siamo tornati oggi. Ci siamo messi a dipingere i corrimano delle scale, Lisa, e ad attaccare al muro pezzi di vestiti tipo tappezzeria, io.
Ci piace quest’idea. Ci piace la paziente determinazione di Armina. Ci piace come fa le cose senza molte risorse. In Bosnia tante volte le persone si lamentano, ma non fanno nulla. Aspettano senza prendere iniziative che il governo, il comune, l’organizzazione o gli “italiani” di turno facciano. Ad ogni proposta chiedono chi la finanzierà, senza pensare che non per tutto servono soldi. Armina (nella foto inizio pagina) va avanti, con l’aiuto dei suoi amici o dei volenterosi che passano di lì.

Silvestro e Lisa

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martedì 12 giugno 2007

a Mostar


venerdì 6 aprile 2007
A Mostar piove. Un po’ piove un po’ no, ma abbastanza da sventare i nostri piani turistici. La conferenza per cui siamo venuti si tiene nella parte croata, di fronte all’ambasciata croata. Purtroppo si parla di parte croata e musulmana: la città si trovò nel 1993 al centro del conflitto croato-musulmano. All’inizio croati e musulmani combatterono assieme, vittime dell’aggressione serba. Nel ’93, dopo circa un anno di scontri, si aprì un secondo fronte, sanguinosissimo: croati e musulmani, fino ad allora vissuti assieme in pace si combatterono accanitamente. Nel ’94 firmarono una tregua, ma solo dietro forti pressioni degli stati uniti. L’Erzegovina, e in particolare Mostar, suo capoluogo, rimasero però divise, lacerate in quartieri croati e musulmani.





Storie del genere sono purtroppo la norma in Bosnia: pochissimi
territori avevano prima del conflitto una chiara maggioranza etnica, e
quasi nessuno era abitato da un’unica etnia. Applicare un criterio
etnico di divisione oltre che crudele e insensato, era impossibile.

Conseguenza prevedibile il genocidio, o la fuga in massa. La tradizione
di convivenza etnica qui e’ millenaria, ma talvolta episodi di violenza
e ampiezza sconcertante hanno luogo. È successo durante la seconda
guerra mondiale, è successo negli anni’ 90.

La definizione di “incubo collettivo”, che ho sentito dal nostro coordinatore, Enrico, suona tragica e calzante.

Breza da questo punto di vista è un’isola “quasi” felice. Non si può
dire sia del tutto immune da risentimenti etnici, ma non ci sono
tensioni. Certo Breza è stata bombardata, e pochi riescono a non odiare
chi ti ha bombardato la casa. Nei balcani (ma non solo) la
responsabilità si allarga con molta facilità al gruppo etnico:
responsabili non sono solo esecutori materiali e mandanti, ma l’intero
loro popolo. Molti serbi, o croati, hanno quindi perso il lavoro, o
fanno più fatica a ottenere sussidi, permessi o lavori pubblici dal
comune, ma resta una situazione tranquilla e via via migliore. Nel
complesso qui sembrano poco interessati all’etnia, sembrano voler stare
bene e in pace. Chi gli sta attorno, chiunque sia, alla fin fine gli
interessa poco.



Con i ragazzi del centro giovani, con le donne al centro donne, o con
la nostra padrona di casa capita di parlare della guerra. Non è un
discorso proibito come pensavamo, molti ne parlano spontaneamente. In
effetti è impossibile evitare l’argomento: la guerra è una presenza
invadente in Bosnia.



Usciamo un po’ prima dalla conferenza.



Ha smesso di piovere. Il cielo s’avvia al tramonto tra nubi dense e
scorci azzurri. La luce promette molto bene. Le moschee di pietra
bianca sono illuminate della luce chiara e tenue del tardo pomeriggio,
lavata dalla pioggia. L’aria è fresca. Camminiamo sulle strade
lastricate e luccicanti della città vecchia. Scivolo ad ogni passo sui
ciottoli levigati. Sembra di essere nel ‘500.



Scendiamo finalmente al belvedere sul ponte.



Mi interesso della ex Jugoslavia da diversi anni, e il ponte di Mostar
era ed è la più inflazionata immagine turistica della jugoslavia prima
e della Bosnia poi. Lo hanno celebrato scrittori, artisti, viaggiatori
e architetti. In cinquecento anni di storia ha visto passare acqua,
sangue, cadaveri. Ha visto re, imperi ed eserciti, ma anche anziani
scalzi che vanno a prendere il pane. Ha visto lanciarsi dal suo
parapetto i suoi tuffatori e custodi, che sfrecciano per 22 mt fino
alle acque gelide della Neretva. Ne ho sentito parlare tantissimo,
tantissime le foto che ho visto. Non ho nessuna aspettativa perché so
perfettamente com’è. Solo sono emozionato perché ora ho di fronte un
ponte che non è solo bello da mozzare il fiato, ma che si è anche tanto
riempito di significato da diventare non il simbolo, ma il simbolo dei
simboli di questa terra e delle sue vicende, che han toccato i più
raffinati splendori e le più rozze infamie.



Il ponte non è quello vero. L’originale cinquecentesco fu abbattuto nel
’93 dalle granate dell’esercito croato. Il suo crollo è stato anche
filmato. Questa copia perfetta è stata realizzata nel 2000 con
finanziamenti di vari paesi occidentali.

Silvestro e Lisa

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lunedì 11 giugno 2007

da Breza: U VARDISTU


Venerdì 23 marzo 2007
Vardiste si legge pronunciando la s come sc in sciare. Si scriverebbe Vardište, con la “s” col cappellino. “U” introduce lo stato in luogo, e la “u” finale e il caso locativo. Il serbo-croato, o Croato-Serbo, o Bosniaco, oppure serbo, oppure Croato, o ancora Montenegrino si declina. Già di suo é una lingua “infame”, esagerata di consonanti, e ogni volta devi pensare come finirà la parola che non stai riuscendo a pronunciare. Sette casi, anche cinque consonanti di fila.

In ogni caso Vardiste é un villaggetto che vi consiglio, perso in fondo alle colline intorno a Breza. Accompagna vecchie stalle e fienili di architettura tradizionale a bruttarelle case appena costruite o, peggio, appena ristrutturate: l’edilizia privata in Bosnia è peggio, che in Brianza. Rimane comunque luogo ameno: campagna, agnellini che saltellano, camini fumanti, boschi e colline. Oltre a questo alcune donne ci stanno avviando una cooperativa di accoglienza turistica. Aiutate da prestiti del microcredito hanno ristrutturato alcuni spazi delle loro case per accogliere turisti. Ora Jozo, personaggio di cui si é parlato, tiene un breve corso di introduzione al turismo “village life”. Noi andiamo in visita pastorale alle prime lezioni. Sorridiamo, beviamo caffé, approfittiamo di un dolcetto fatto in casa.



Seguire una lezione in Bosniaco, per quanto parlato chiaramente e con proprietà di linguaggio, non é impresa facile. Per capire (quattro anni di studio ma non sono molto portato) devo rimanere concentratissimo e non perdere una parola. Appena mi distraggo un attimo devo riprendere faticosamente il filo del discorso. Non mi é proponibile perdurare due ore di lezione, per di più alle tre del pomeriggio. Inizio a turbinare di pensieri, a osservare minuziosamente la stanza, ammetto di abbioccarmi un attimo, mi riprendo adrenalinico quando dalla finestra vedo fioccare. La neve, la neve ... per noi che a Natale vogliamo la neve un anno decisamente deludente, frustrante se si somma la passione per la montagna. C’é un bambino che si risveglia dentro quando fiocca di quei fiocchi, grandi, vaporosi, lenti ma inesorabili. Verrebbe voglia di correre fuori, saltare, sorridere della neve che copre veloce il cappotto e pestare le macchie bianche che si allargano in terra. Le colline in fondo si imbiancano, il bianco sfuma sugli alberi spogli. A scendere in macchina fa un pò paura, Jozo va a passo d’uomo. Le strade sulle colline son sporche, e di un asfalto viscido.

A Breza é già pioggia, e il mio entusiasmo finisce. Ci spariamo due kifle (una specie di pane morbido molto salato) e ci infiliamo al Desnek. Internet e cazzeggio. E’ pieno di ragazzi e star con loro significa anche chiacchierare, prendersi in giro, sfidarsi alla play, bere un caffé. Dentro c’é la solita cortina di fumo. Lotteremo per vietare il fumo, visto che ci sono anche bambini. Ogni cosa a suo tempo. Edin, ragazzone diciottenne ben rasato, ingellato e con felpina trendy, scopre la webcam e le foto deformate: ne fa 115. Un’ora a spaccarsi dal ridere col suo amico metallaro. Riesco a farlo smettere e a guadagnare l’uscita. Mi avvio con Lisa verso casa. Soliti 20 minuti a piedi. Fa umido e freschino. Nevicherà? Mi sveglio al mattino seguente. Mentre faccio distrattamente il caffé (alla turca ovviamente) vedo fuori dalla finestra i tetti imbiancati.

Silvestro e Lisa

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giovedì 7 giugno 2007

atterraggio morbido


venerdi 9 Marzo 2007

A Malpensa troviamo ad attenderci un aereo piccolo, sottile e lontano parecchi minuti di pulman dal check-in. Dentro è addirittura claustrofobico, non so dove appoggiare borsa e cappotto, ma tanto ci addormentiamo in pochi minuti. Mi sveglio in tempo per vedere il mare.


Il mare dall’aereo non offre grande spettacolo, se non la sua immensità. Ci vuole però una certa inclinazione speculativa per coglierne aspetti e significati. Valli e montagne, magari innevate, sono più immediate. Aspetto la dalmazia, che ha una storia complessa e interessante. Dopo gli Illiri e la lunga dominazione romana vi si stanziarono popolazioni slave dal VI sec. d.C. Fu poi conquistata dai Veneziani che la controllarono fino all’arrivo di Napoleone. L’impronta italiana é molto forte, e fino alla II guerra mondiale Zara, come l’Istria più a nord, era territorio italiano. Le città sono ricche di monumenti, chiese e opere d’arte, realizzate dall’elite culturale e sociale italiana. Questa abitava nelle città sulla costa. Dominò le popolazioni locali ma senza mai mischiarsi ad esse. Al conflitto città dominante- campagna dominata si sovrappose quindi il risentimento etnico, e questo fu uno dei motivi che rese tanto accanita l’uccisione e la cacciata di centinaia di migliaia di italiani dall’Istria nel dopoguerra.

Poi la Bosnia, che invece non dice nulla: colline e vegetazione rada, in triste giallastra veste invernale, case sparse di cattiva edilizia, qualche colosso industriale abbandonato. Pare disabitata: dall’alto diventa evidente una densità abitativa meno della metà di quella italiana. Impos Poi la Bosnia, che invece non dice nulla: colline e vegetazione rada, in triste giallastra veste invernale, case sparse di cattiva edilizia, qualche colosso industriale abbandonato. Pare disabitata: dall’alto diventa evidente una densità abitativa meno della metà di quella italiana.

Tito vi aveva fatto concentrare una fetta importante di produzione industriale, ma soprattutto quasi tutta la produzione militare: in caso di attacco esterno, della Nato o del patto di Varsavia, si sarebbe arroccato in Bosnia, dove già aveva combattuto la resistenza. La Bosnia nel 1992 era quindi piena di fabbriche d’armi, ma anche di depositi, caserme, aeroporti, bunker antiatomici, basi militari d’ogni sorta. Cerco di ricordare qualche luogo, magari letto su qualche libro di storia … in un modo o nell’altro si è combattuto dappertutto, in una guerra o nell’altra: in Bosnia battaglie e sangue a fiumi, da sempre. Osservo cosa c’è ora, raduno i miei pochi ricordi: ho viaggiato poco in Bosnia, cercherò di farlo ora. Se si hanno bei ricordi c’è da rimanere incollati al finestrino a cercare i luoghi vissuti.

All’aeroporto ci vengono a prendere Alen, con la faccia simpatica e amichevole di sempre, e Leila. Lui é il presidente del centro giovani “Desnek”, uno dei progetti portati avanti qui a Breza. Il Desnek è in centro, occupa un edificio rossastro rimesso a nuovo. Ora dispone di sala internet con cinque computer e una play station, di un ufficio/sala riunioni, e di una sala conferenze/teatro/palestra/un po’ tutto. È sempre animato. Frotte di ragazzini si accalcano davanti alla play agli orari più diversi (a scuola fanno i turni), e pro evolution soccer 6 va per la maggiore. Code di genitori accompagnano per mano i figliuoli al corso di Tae kwon doo in sala conferenze (che funge ora da palestra). Crocchi di giovani si danno il cambio attorno al tavolino, fumando e bevendo caffè, mentre prendono in giro i nuovi arrivati (noi) in slang semi-incomprensibile. Qualcuno più coraggioso, o forse solo più curioso si fa avanti e si presenta. Chiacchieriamo con alcuni di tanto intanto. Iniziano a diventare familiari e ci salutano con pacche sulle spalle. I bambini sono molto interessati a noi: uno mi sorride e mi stringe la mano. Sembra quasi emozionato. Qualche giorno dopo mi mostra fiero la sua scheda di iscrizione al corso di Tae kwon doo, che non mollerà di mano tutta la sera. Altri più sbruffoni: “buonassera, como stai?”, “Milan, inter, juventus”, parolacce varie. I più grandi ridono, continuano a fumare e bere caffè. A volte passano una sigaretta ai bambini: nulla di strano in un paese dove non è vietato fumare da nessuna parte e le Marlboro costano meno di un euro.

Andiamo a bere un caffè … domani andremo in missione al centro donne, e alla cooperativa per l’accoglienza turistica a Vardiste. Poi cercherò di infilarmi in un partita alla Play … Lisa già s’è fatta un nome giocando a pallina nello spiazzo fuori coi ragazzini. Per ora tutto bene …

Silvestro e Lisa

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mercoledì 30 maggio 2007

APPELLO per un biologo / ematologo


A Breza, in Bosnia, sono in crescita i casi di leucemia infantile. Vorremmo capire se sono correlabili con l'uranio impoverito che resta nell'area. Facciamo appello a chi, a rimborso spese molto limitato, potesse occuparsi con competenza di analisi delle acque per trovarvi elementi radioattivi.

mercoledì 23 maggio 2007

Venerdì incontro sulla formazione professionale



Da non dimenticare!
Il pomeriggio di venerdì, dalle 14 alle 18, presso la Provincia di Torino. Previsto aperitivo finale con il contributo della COOP.

Ne discutono Alberto Tridente, Aurora Tesio, Franco Ruo Roch, Nicola Covella, Ugo Tinuzzo, Corrado Borsetti,Franco Zabaldano e Mara Cecchetti.

lunedì 7 maggio 2007

GRIGLIATA 9 GIUGNO


Ciao a tutti,

abbiamo deciso di promuovere tra tutte le RETINE e i RETINI una grigliata che avrà luogo sabato 9 giugno 2007 presso la nostra sede.

Siete tutti invitati a venire a mangiare braciole e costine, innaffiate di buon vino; per favore, confermate la vostra adesione presso Giuliano, in modo da calibrare i metri di salsiccia.

Sarà un'occasione per passare un po' di tempo insieme e per affrontare una sfida: riusciremo a non parlare di lavoro?!?!?!?

ACCORRETE NUMEROSI!!!!

Per RE.TE., Katia


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lunedì 30 aprile 2007

prossimi appuntamenti



Martedì 8 maggio
Katia Medeot a Rete (via di Vittorio 11 a Grugliasco, TO) parlerà di Mali, Burkina Faso e Marocco e dei nostri progetti in corso in quei paesi in seguito alla sua lunga missione sul posto. sarà presente anche un rappresentante dell'associazione italo-maliana. alle 17.30, segue aperitivo.

Domenica 13 maggio
Saremo presenti all’iniziativa CASCINE APERTE di Grugliasco, per tutto il giorno, alla Cascina CASCINOTTO in Strada Antica di Grugliasco 90.

Venerdì 25 maggio
Abbiamo organizzato, nell’ambito di “Maggio, mese della cooperazione”, un convegno sulla FORMAZIONE PROFESSIONALE: Ore 14.30, Provincia di Torino.
Parleranno:
Aurora Tesio Assessore Pari opportunità e Relazioni Internazionali
Nino Casciaro RE.TE. ONG
Franco Ruo Roch RE.TE. ONG
Nicola Covella RE.TE. ONG
Ugo Tinuzzo Dirigente Scolastico I.I.S. G. Ferraris, Settimo T.se.
Corrado Borsetti Comune di Torino
Franco Zabaldano CISL
Mara Cecchetti CGIL
Sergio Salvatore Ordinario di Psicologia Dinamica, Università di Lecce.


LINK: http://www.ongpiemonte.it/maggio.htm

martedì 3 aprile 2007

5 per mille anche quest'anno

Ecco come destinare anche quest’anno il 5 per mille per i progetti di RETE

Nei modelli CUD 2007, 730-1 bis redditi 2007 o UNICO persone fisiche 2007
c’è un apposito allegato dedicato al 5 x mille.
Dovrai semplicemente apporre la tua firma e scrivere il numero di codice fiscale di RE.TE.

97521140018

nella prima delle tre caselle (quella riservata al sostegno del volontariato, delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni e fondazioni).

se non presenti la dichiarazione
cioè sei titolare di redditi certificati dal modello CUD e decidi di non presentare alcuna dichiarazione, basterà recarti presso qualsiasi banca, ufficio postale o CAF (Centro di Assistenza Fiscale) e consegnare l’intero allegato relativo alla destinazione del 5 x mille. Ricordati di inserirlo in una busta seguendo le istruzioni che trovi in fondo all’allegato stesso.

se invece presenti la dichiarazione
cioè sei tra coloro che presentano il 730 o il modello UNICO, basterà comunicare al tuo commercialista o al tuo CAF di fiducia, il nostro codice fiscale e firmare, sulla copia cartacea, l’apposito allegato riferito al 5 x mille.


Questa operazione non ha nessun costo per te contribuente, ma aiuterà moltissimo RE.TE. a realizzare i suoi progetti in favore delle popolazioni svantaggiate dei Balcani e del Sud del mondo.

E RICORDA: OGNI CONTRIBUTO A RETE ONG È FISCALMENTE DEDUCIBILE:

La legge 49 del 26/2/1987 e il DLG del 4/12/1997 riconoscono il valore sociale dei contributi per la solidarietà internazionale consentendone la deducibilità fiscale, tanto alle persone fisiche che alle persone giuridiche. Essendo RETE una Organizzazione Non Governativa (ONG) e una Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (ONLUS), tutti i contributi possono essere detratti dalle imposte in sede di dichiarazione dei redditi. In base alla legge 49 sulle ONG si può dedurre dal reddito imponibile fino al 2% del reddito complessivo dichiarato. In base al DLG 460 sulle ONLUS si può detrarre il 19% del contributo fino ad un massimo di 4 milioni di lire.

PER CONTRIBUIRE AI PROGETTI:
C/c postale 42852111 int. Associazione tecnici solidarietà e cooperazione
C/c n° 116874 Banca Etica abi 05018 cab 12100 cin F (piazzetta forzaté 2, 35137 Padova)

Se vuoi sapere di più sulle attività di RE.TE. ONG clicca su:
http://www.reteong.org http://www.retecoop.blogspot.com
Noi siamo in via di Vittorio 11 a Grugliasco (TO). Tel 011-7707388, email rete@arpnet.it.

AIUTACI FACENDO CIRCOLARE LA VOCE
TRA AMICI PARENTI, COLLEGHI E CONOSCENTI!

Un grazie di cuore da noi e da tutti i partecipanti ai progetti di RETE.

venerdì 30 marzo 2007

alluvione a Santa Fe



Sembra che negli ultimi tempi dai nostri amici sparsi per il Sud del mondo non vengano che cattive notizie. Ecco le ultime nuove dai compagni di CANOA in Argentina.

Hoy 28 de marzo de 2007 grandes sectores de la ciudad de Santa Fe, y de toda la provincia, se ven nuevamente inundados. Esta vez no es el río Salado. Si no que las ya precarias redes de desagües pluviales no dan abasto. Entonces las imágenes de siempre. El agua en la calle, en el patio, en la pieza, en la cocina. Camiones juntando las mujeres y los chicos para trasladarlos a lugares secos. Los varones se quedan cuidando las pocas pertenencias. Mientras otros sacan la heladera, la cama, los colchones.


A un mes de cumplirse cuatro años de la inundación, la catástrofe social y política más grave de la provincia de Santa Fe, los y las habitantes de la ciudad volvemos a sufrir las consecuencias de una política que no responde a las necesidades y problemas de la ciudad en su integralidad. Las continuas inundaciones por lluvia son el resultado de la falta total y absoluta de una planificación urbana que incluya a las problemáticas de todos y cada uno de los barrios de Santa Fe.


La anunciada obra de los Lagos del Oeste, que vendría a resolver los problemas de canalización de agua pluvial fue la única, de las tres obras anunciadas en el 2004 por el gobernador Obeid, que no se llevó adelante. Hoy ese mega proyecto ni siquiera tiene un presupuesto y la situación en el borde oeste se agudiza cotidianamente. La única respuesta que se le da desde el Estado son obras aisladas que poco apuntan a una planificación integral.


Si bien el temporal y la lluvia afecta a toda la ciudad, haciendo colapsar todos los servicios, los más afectados son los barrios que diariamente viven la exclusión, o en su versión paternalista, una inclusión clientelar. Privados de sus derechos a una vivienda, al agua y a los servicios sanitarios, a una infraestructura vial que permita habitar el barrio de un modo digno, se suma la “inexistencia” del tan mentado “Plan de Contingencia”.


Después de las sucesivas inundaciones vividas, los/as santafesinos/as reconocemos que Santa Fe es una ciudad en riesgo. Pero si las políticas públicas implementadas para ir reduciendo esa vulnerabilidad son ficticias lo único que estamos produciendo es más riesgo ante la presencia de “viejas amenazas” (crecida extraordinaria de los ríos, lluvias torrenciales en pocas horas).


Si las grandes obras urgentemente necesarias no se realizan, la ciudad no se prepara ni para eventos particulares (como puede ser un gran temporal) ni tampoco para la cotidianeidad. Y si las políticas sociales tienden a ser cada vez más fragmentadas, nuestra vulnerabilidad se acrecienta porque seguimos sin saber qué hacer ni a quien recurrir.


Luego de haberse creado una Secretaría de Riesgo Hídrico en el ámbito municipal, con especialistas en la materia a la cabeza; luego de haberse publicado e intentado instalar el supuesto plan de contingencia en los barrios hoy queda evidenciada la inexistencia de dicha política.

Como siempre los centros de evacuados son creados una vez que el agua ingresó a las viviendas; los vecinos se ven obligados a autoevacuarse; los canales a cielo abierto se tapan por el depósito de basura que contienen; las bombas extractoras no dan abasto; las obras de infraestructura necesarias no están realizadas. Hoy, Santa Fe sólo depende de algunas bombas de extracción… ¿Quién no aprendió la lección?


El horizonte de una ciudad que nos incluya a todos está cada vez más lejos. Si existiera la voluntad política de considerarnos a todos ciudadanos de esta ciudad otras medidas se tomarían. Cada vez que llueve y la gente tiene que volver a salir de sus viviendas, el Estado aparece operando como si fuese la primera vez que sucede algo similar. Y en Santa Fe se vuelve a repetir la misma historia.

Digan lo que digan, hagan lo que hagan, el rey está desnudo. Y la gente, sola.

mercoledì 28 marzo 2007

Marakesch


Ciao!!!
volevo scrivere sul blog e dal momento che non vi ho raccontato nulla del mio viaggio in Marocco, ne approfitto per scrivere due righe!!!Ho fatto una salto dove ha lavorato Katia come molti sapete.Visitato il centro degli artigiani che oltre alle attività per cui è finalizzato è usato anche per un un corso di teatro per ragazzi e lezioni di francese a delle giovani donne!! E'stato molto divertente assistere al corso teatrale di questi bambini, sembrava di essere in una delle mie varie attività scolastiche. E la vicinanaza dei meccanismi bambini- animatore è stata sorprendente. Loro sono più vivaci e incontenibili, i nostri spesso più spenti. Ma è stata una bellissima e breve esperienza! volevo comunicarvela!!! Secondo da quando lavoro ad Idea Solidale e mai niente è a caso....vi tempesterò ancora di più sulla proposta di fare l'associazione dei volontari!!!!!!!!!! Dai...perchè più avanti non si potrà più aderire... da quello che percepisco!!!! Ciao buon Lavoro Valeria!

CONCORSO FOTOGRAFICO "il colore della musica"

Le tre Organizzazioni Non Governative, DI-SVI, MAIS e Re.Te, riunitesi in Associazione Temporanea di Scopo per la realizzazione del Progetto di Educazione allo Sviluppo cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri “Il Colore della Musica”, promuovono la realizzazione di un concorso fotografico, avente come tema:
“IL COLORE DELLA MUSICA”.
Il Concorso è parte integrante di un progetto più ampio che intende promuovere la musica, il canto e la danza, nei loro vari aspetti, come strumenti di avvicinamento fra le varie etnie e culture presenti sul territorio nazionale. Questo concorso vuole quindi stimolare tutti coloro che amano la fotografia a “vedere” la musica, il canto e la danza e gettare quindi un ponte fra queste arti.

Ai partecipanti viene richiesto un portfolio fotografico composto da un numero minimo di 5 ad un numero massimo di 10 immagini inedite che illustrino il tema del concorso. Le immagini dovranno essere accompagnate ciascuna da una breve presentazione (non superiore alle righe predisposte per ogni foto dal modulo di partecipazione, oppure da un’unica presentazione dalla lunghezza non superiore ad una cartella in formato A4).

Richiedeci via mail il regolamento, ve lo invieremo all'istante: rete@arpnet.it

continua il ciclo di formazione "cooperare? sì grazie!"


Il ruolo della cooperazione tra nuove politiche di sviluppo, tutela dei diritti e commercio nord – sud

Corso di formazione

Sede IAL, Torino, Via Adorno 4
7 marzo - 16 maggio ore 14/16


28 marzo Per un commercio equo: tra il libero mercato e la tutela del produttore

30 marzo Gruppo di rielaborazione

4 aprile Il diritto del lavoro nei paesi del terzo mondo

11 aprile I diritti delle donne e dei minori: alfabetizzazione e salute

13 aprile Gruppo di rielaborazione

18 aprile Primo studio di caso: il progetto DISVI

2 maggio Secondo studio di caso: il progetto MAIS

9 maggio Terzo studio di caso: il progetto ReTe

11 maggio Gruppo di rielaborazione

16 maggio Gruppo di rielaborazione

A questi incontri se ne aggiungeranno altri in data da definire per completare l’attività di rielaborazione e l’organizzazione del materiale che verrà successivamente pubblicato.

La partecipazione è gratuita, mettetevi in contatto con noi se volete maggiori informazioni:

RE.TE. ONG 011/7707398 rete@arpnet.it
DISVI ONG 0141/593407 italia@disvi.it MAIS ONG, 011/657972 info@mais.to.it

esplosioni a Maputo



Ciao a tutti,

Per vostra informazione e, immagino curiosita’ e interesse, vi mando qualche “frammento” (da noi erano invece schegge!) di quanto accaduto a Maputo il giorno 22 Marzo 2007 con l’esplosione del deposito principale di munizioni pesanti di Maputo. Il materiale bellico risaliva al periodo coloniale e post coloniale della guerra tra FRELIMO e RENAMO, ammucchiato chissa’ come in vari depositi.

Le esplosioni sono cominciate verso le 15 e sono andate avanti ininterrottamente fino a verso le 18:30, ma ci sono state anche esplosioni sporadiche fino alle 22:00.

Per una ora e mezza circa sono esplose le munizione di minore potenza, forse granate, obici di cannoni, ecc..., le cui detonazioni arrivavano comunque fino alla zona centrale di Maputo (circa 9 km di distanza dai depositi!), dando l’impressione di un bombardamento continuo e senza sosta eseguito da bazooka o cannoni.

Verso le 17 sono invece cominciate le vere bombe pesanti, dando l’impressione che esplodessero a poche centinaia di metri, lanciate da invisibili e silenziosi caccia, mandando in frantumi i vetri in molte parti della citta’ e creando panico tra la popolazione. Alcune bombe rimosse poi dai quartieri limitrofi erano delle dimensione di piu’ di un metro di lunghezza e 50 cm di larghezza, altre invece erano dei veri e propri missili piu’ sottili ma di circa due metri di lunghezza.

Sopra il campo sanitario della Cooperazione Italiana e’ passato con un gran sibilo un oggetto che si e’ andato ad insabbiare sulla spiaggia esattamente di fronte, fortunatamente senza esplodere, percorrendo quindi una distanza dall’origine di circa 10 km!

Ovviamente, sui popolosi quartieri vicino al deposito munizioni, c’e’ stata un pioggia di esplosivi seminando morte, distruzione e terrore. Nel nostro Centro di Formazione Professionale, nel quartiere “25 di Junho” dell’UGC, sono crollati i tetti falsi di due sale corsi, che erano fatti di pannelli di gesso mantenuti da una struttura di profilati di alluminio. Alcuni vetri sono andati in frantumi.

Nella sede della radio dell’UGC, nel quartiere Bagamoio, 1,5 km piu’ vicino al deposito di munizioni, sono andate in frantumi tre grosse vetrate di circa 3mx4m con uno spessore di oltre un cm.

Severamente colpito e’ stato invece l’ospedale di Infulene che si trova lungo la strada nazionale, ad una distanza di circa 1,5 km dal deposito munizioni. L’ospedale sembra come se fosse stato intenzionalmente attaccato con colpi di bazooka, avendo aperto due grosse falle nelle pareti di due edifici. In una delle due sale colpite funzionava una infermeria piena di malati. La decisione di un infermiere di far evacuare l’infermeria alle prime esplosioni sentite, dato che si affacciava alla strada, e’ stata provvidenziale, salvando tutte quele vite. La sala e’ andata completamente distrutta dopo essere stata centrata da un obice.

Il bilancio della tragedia e’ stato molto pesante, essendoci stati circa 100 morti, 400 feriti tra gravi e meno gravi, centinaia di case distrutte o danneggiate.

La versione del Ministro della Difesa sulle cause dell’incidente e’ stata quella dell’eccessiva temperatura registrata il giorno 22 di Marzo. Ovviamente, nessuno ci crede!

Quello che invece e’ emerso chiaramente e’ la irresponsabilita’ del Governo su un aspetto che gia’ aveva creato seri problemi in passato. Lo stesso deposito era esploso creando vittime nel 1985, mentre nel Gennaio di quest’anno ci sono state altre esplosioni senza vittime, creando pero’ danni alle case vicine. In entrambe le occasioni si era detto che si sarebbero presi provvedimenti (quello piu’ ovvio sarebbe di ritirare il deposito dall’attuale posizione in mezzo alla popolazione!) ma, come al solito, sono state solo chiacchiere.

Tonino Archetti

martedì 27 marzo 2007

ritorno dal guatemala













Sembra esserci maggiore attenzione recentemente per l’area centroamericana e per il Guatemala, scomparsi per anni dalla scena: lo dimostrano anche le visite di Bush in Guatemala e Chavez in Nicaragua, la cumbre latinoamericana dell’IBD a Guatemala e quella dei popoli indigeni del continente che ha appena avuto luogo, con l’intenzione di “decontaminare” i luoghi della visita di Bush.

Il primo maggio si avvia la campagna elettorale per l’election day, quando il 9 settembre si voterà per il presidente, il parlamento, il parlamento centroamericano e le amministrative. Molti lavori vengono fatti in questo periodo in tutto il paese, bloccandolo, per conquistare voti a favore dei politici in carica.
La partecipazione politica nel paese è molto limitata, in genere moltissimi votano per chi pensano vincerà, indipendentemente dal suo programma politico. Alcuni partiti stanno cominciando a fare le primarie, introducendo un fattore in più di democrazia.
Rigoberta Menchú, nobel per la pace, si candida a presidente; questo è un fattore positivo perché può aprire spazi di partecipazione al potere degli indigeni e un’attenzione maggiore ai diritti umani. Si considera però che non abbia possibilità di vincere, almeno a questo turno, bensì solo di ottenere seggi in parlamento. C’è anche da dire che Rigoberta Menchú non è amata dagli indigeni nel paese, lo è molto di più a livello internazionale; molti sembrano intenzionati a non votarla contro la sua figura, pur essendo molto vicini al suo programma politico di sinistra.

Noi lavoriamo nella valle del Palajunoj, che si apre da Quetzaltenango, la seconda città del paese che tutti chiamano Xela per brevità (il suo vecchio nome maya è Xelajù).
La zona della Valle è complicata: vi hanno fallito molti interventi di istituzioni pubbliche e private. È inoltre sempre utilizzata come cavallo di battaglia in periodo elettorale, essendo la popolazione rurale più influenzabile di quella urbana. Tante promesse e tentativi hanno quindi creato una sfiducia e disillusione diffusa. I risultati sono stati pochi e la zona è stata sempre emarginata.
È in atto una grande trasformazione del Valle da rurale ad urbano, soprattutto nella bassa valle: l’intera area è maggiormente popolata e non si sostenta più solo sull’agricoltura, anche se quasi tutte le famiglie hanno una piccola milpa (campo di mais), qualche animale e un po’ di bosco. Tuttavia moltissimi lavorano nelle costruzioni e l’attività edile è in fermento. I giovani studiano di più e mirano in massa a trasferirsi in città: avviene quindi una separazione generazionale anche tra settori produttivi.

È in atto anche una perdita di identità culturale. La migrazione all’estero è abbastanza diffusa: migrano le persone di profilo medio, i leader comunitari, non i più poveri (servono 4 mila euro per un coyote che faccia “passare dall’altro lato”, gli USA).
I momenti di unione comunitari sono pochi: un’assemblea all’anno, la festa patronale, i comitati per l’acqua. In questo senso il progetto sta iniziando ad avere un ruolo positivo per mezzo della facilitazione di un’istanza comune ancora informale: per ora, questo è il risultato più importante raggiunto.

Le comunità avevano partecipato al progetto in misura limitata, almeno inizialmente. Questo è dovuto alla disgregazione sociale, a sua volta causata da vari fattori:
- La storia irrisolta del conflitto.
- La vicinanza del centro urbano e l’apporto a livello familiare delle rimesse degli emigrati negli USA.
- L’esperienza di troppe promesse ed attese di progetti che ha portato sfiducia e disillusione.

Daniela

traslochi

carissimi tutti, per problemi dovuti al passaggio di blogger a una versione beta ed alla nostra incompetenza informatica, ci siamo trasferiti qui. spero ci seguirete.