martedì 27 marzo 2007

ritorno dal guatemala













Sembra esserci maggiore attenzione recentemente per l’area centroamericana e per il Guatemala, scomparsi per anni dalla scena: lo dimostrano anche le visite di Bush in Guatemala e Chavez in Nicaragua, la cumbre latinoamericana dell’IBD a Guatemala e quella dei popoli indigeni del continente che ha appena avuto luogo, con l’intenzione di “decontaminare” i luoghi della visita di Bush.

Il primo maggio si avvia la campagna elettorale per l’election day, quando il 9 settembre si voterà per il presidente, il parlamento, il parlamento centroamericano e le amministrative. Molti lavori vengono fatti in questo periodo in tutto il paese, bloccandolo, per conquistare voti a favore dei politici in carica.
La partecipazione politica nel paese è molto limitata, in genere moltissimi votano per chi pensano vincerà, indipendentemente dal suo programma politico. Alcuni partiti stanno cominciando a fare le primarie, introducendo un fattore in più di democrazia.
Rigoberta Menchú, nobel per la pace, si candida a presidente; questo è un fattore positivo perché può aprire spazi di partecipazione al potere degli indigeni e un’attenzione maggiore ai diritti umani. Si considera però che non abbia possibilità di vincere, almeno a questo turno, bensì solo di ottenere seggi in parlamento. C’è anche da dire che Rigoberta Menchú non è amata dagli indigeni nel paese, lo è molto di più a livello internazionale; molti sembrano intenzionati a non votarla contro la sua figura, pur essendo molto vicini al suo programma politico di sinistra.

Noi lavoriamo nella valle del Palajunoj, che si apre da Quetzaltenango, la seconda città del paese che tutti chiamano Xela per brevità (il suo vecchio nome maya è Xelajù).
La zona della Valle è complicata: vi hanno fallito molti interventi di istituzioni pubbliche e private. È inoltre sempre utilizzata come cavallo di battaglia in periodo elettorale, essendo la popolazione rurale più influenzabile di quella urbana. Tante promesse e tentativi hanno quindi creato una sfiducia e disillusione diffusa. I risultati sono stati pochi e la zona è stata sempre emarginata.
È in atto una grande trasformazione del Valle da rurale ad urbano, soprattutto nella bassa valle: l’intera area è maggiormente popolata e non si sostenta più solo sull’agricoltura, anche se quasi tutte le famiglie hanno una piccola milpa (campo di mais), qualche animale e un po’ di bosco. Tuttavia moltissimi lavorano nelle costruzioni e l’attività edile è in fermento. I giovani studiano di più e mirano in massa a trasferirsi in città: avviene quindi una separazione generazionale anche tra settori produttivi.

È in atto anche una perdita di identità culturale. La migrazione all’estero è abbastanza diffusa: migrano le persone di profilo medio, i leader comunitari, non i più poveri (servono 4 mila euro per un coyote che faccia “passare dall’altro lato”, gli USA).
I momenti di unione comunitari sono pochi: un’assemblea all’anno, la festa patronale, i comitati per l’acqua. In questo senso il progetto sta iniziando ad avere un ruolo positivo per mezzo della facilitazione di un’istanza comune ancora informale: per ora, questo è il risultato più importante raggiunto.

Le comunità avevano partecipato al progetto in misura limitata, almeno inizialmente. Questo è dovuto alla disgregazione sociale, a sua volta causata da vari fattori:
- La storia irrisolta del conflitto.
- La vicinanza del centro urbano e l’apporto a livello familiare delle rimesse degli emigrati negli USA.
- L’esperienza di troppe promesse ed attese di progetti che ha portato sfiducia e disillusione.

Daniela

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