martedì 29 dicembre 2009

Il Nord Mali e le profezie auto-realizzate


28 dicembre 2009, Jean-Christophe Servant – Le Monde (estratto)

Nel 1995, Howard French, del New York Times diceva da Bamako: «I diplomatici parlano di questo paese isolato come di un bastione contro l’islam militante che si estende a partire dalle frontiere del nord con l’Algeria». Quindici anni dopo, la situazione è sempre più complessa e offuscata, come dimostra la scoperta a Tarkint della carcassa di un Boeing 727, verosimilmente latinoamericano e che avrebbe potuto trasportare cocaina ed armi ; il rapimento di Pierre Camatte a Menaka e poco dopo di tre membri spagnoli di Accio Solidaria. A maggio, dopo la liberazione di due diplomatici canadesi rapiti alla frontiera tra Mali e Niger, un altro ostaggio, il britannico Edwyn Dyer, è stato assassinato.

La complessità dei fattori geopolitici, umani ed economici di quest’area non permetterebbe che delle ipotesi. Ma i media occidentali previlegiano una sola spiegazione: la minaccia globale di Al-Qaida, incarnata in Sahel dall’AQMI (Al-Qaida nel Maghreb Islamico).

L’intensificazione dell’aiuto militari al Mali da parte degli USA di Barack Obama si appoggia su questa lettura: l’ultimo caso che attesta la crescente implicazione militare americana in Sahel. Il sottosegretario americano agli affari africani, M. Johnny Carson, ha dichiarato in proposito : «Il Mali è una delle democrazie più stabili d’Africa, ma i suoi sforzi per scongiurare l’insicurezza nel nord del paese sono gravemente ostacolati dalla povertà delle sue infrastrutture e dalla sua incapacità di fornire i servizi e le opportunità in materia di educazione alle zone più isolate

Niente prova tuttavia, che Al-Qaida nel Sahara sia davvero Al-Qaida. Leggendo le analisi dell’antropologo britannico Jeremy Keenan, ci si potrebbe perfino domandare se le potenze occidentali non abbiano contribuito, con l’appoggio dei servizi segreti algerini e maliani e di certi baroni del Nord Mali, a scrivere una profezia auto-realizzatrice.

Nel 2008 scriveva al riguardo: «Sono rari i luoghi al mondo altrettanto soggetti a disinformazione quanto il Nord Mali e la sua frontiera con l’Algeria. È vero che si tratta del punto focale dell’amministrazione Bush riguardo alla fabbricazione di un secondo fronte sahariano nella cosiddetta guerra al terrorismo.»

Prima sigla a comparire: il GSPC, gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento, ribattezzato AQMI nel gennaio 2007. Primo Bin Laden saheliano: Amari Saïfi, El-Para, ex-ufficiale delle forze speciali algerine, ma addestrato dal 1994 al 1997 a Fort Bragg dai berretti verdi americani. El-Para non avrebbe mai smesso di lavorare per gli algerini, con il duplice obiettivo di permettere all’Algeria di stringere i legami con gli Stati Uniti nella guerra al terrorismo e di offrire a Washington l’occasione di rafforzare il controllo militare sul Sahel.

La nebulosa AQMI, alimentata da alcuni franchi tiratori islamici e contrabbandieri di sigarette, si sarebbe trasformata in un ibrido di gruppi attivi dalla Mauritania al Niger, permettendo alle potenze occidentali di dispiegare le proprie forze speciali sul corridoio sahariano, oggetto di avidità internazionali per le sue ricchezze in uranio (Niger), petrolio, gas e oro (Mali).

«La teoria del complotto che vede i servizi segreti algerini (DRS) dietro l’AQMI non è nuova, afferma Alain Rodier, ex-ufficiale direttore di ricerca su terrorismo e criminalità organizzata al CF2R francese. La mia opinione è che sia normale che i servizi algerini tentino di penetrare i movimenti islamici radicali al fine di combatterli. Non è normale invece che gestiscano la situazione pilotando dei gruppi estremisti. Molto spesso i loro agenti sono totalmente incontrollabili. Nel Sahel vagano varie bande. Le principali sono la «9° regione » dell’AQMI, diretto da Yahia Djouadi, e il gruppo di Mokhtar Belmokthar i cui obiettivi sembrano totalmente mirati al lucro. Queste due bande sono obbligate a negoziare con le tribù tuareg che solcano tradizionalmente il Sahel. È in questo quadro che bisogna capire la vendita di ostaggi rapiti nella regione. Persino la direzione di Al-Qaida in Pakistan ha riconosciuto a giugno 2009 che la situazione non è soddisfacente in Sahel. Evidentemente, agli occhi del nocciolo duro di Al-Qaida, l’apertura di un vero fronte saheliano tarda a venire. Come in passato, i traffici continueranno, forse con una crescita dei legami tra i narcos sudamericani e le bande locali.»

Fino a dicembre, nulla provava che l’inquietante intensificazione del narcotraffico in Africa occidentale, lungo la costa che va dalla Guinea Bissau alla Nigeria – si compisse con la complicità di criminali appartenenti all’AQMI. Grazie a due agenti della DEA americana, infiltrati come narcotrafficanti colombiani, tre maliani « autoproclamatisi » di Al-Qaida furono arrestati ed estradati, riconoscendo di fornire regolarmente carburante e cibo ai commandos di Al-Qaida nella regione di Gao.

Jeremy Keenan commenta : «Sospetto che gli Stati Uniti utilizzeranno questo stratagemma per allargare il loro discorso in Sahel e la profondità strategica sul continente. L’Algeria farà finta di considerarlo un problema specifico del Sahel di cui non ha alcuna responsabilità. E nazioni europee come la Francia e la Spagna useranno questo pretesto che protendere un po’ di più le mani, militarmente parlando, sul Sahel, e specialmente sulle zone minerarie del Nord Niger. Assisteremo a un processo di ricolonizzazione. I Tuareg potranno anche ribellarsi di nuovo, ma non subito: le tribù sono stanche e divise. Il Sahara non è mai stato così frequentato.»

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