lunedì 6 luglio 2009

Dall'assemblea della federazione: quale cooperazione delle Ong

Dalla relazione del Presidente del COCIS Giancarlo Malavolti sono emersi i seguenti punti.

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Il mondo sta attraversando una crisi che oltre ad essere finanziaria ed economica con tutti i suoi drammatici risvolti sociali, rappresenta anche uno spartiacque oltre il quale nulla sarà più come prima. Anche la Cooperazione non potrà non risentirne e già ne risente.

Di fronte alla crisi, alla scarsità delle materie prime e delle fonti di energia potrebbero aumentare le occasioni di conflittualità fra i popoli e nei singoli stati. L'opinione pubblica europea sta già pericolosamente scivolando verso questo atteggiamento difensivo e conflittivo. Basti pensare all'atteggiamento verso gli immigrati in caso di disoccupazione o di difesa protezionistica di fronte alle importazioni dei paesi emergenti.
L'individualismo prevale largamente sul solidarismo. E' la lezione del neoliberismo e del darwinismo sociale che ovviamente nulla può avere a che vedere con la cooperazione internazionale. Dovesse prevalere questo atteggiamento la cultura della cooperazione internazionale sarebbe totalmente emarginato... come di fatto fa il nostro governo.

Un altro esito possibile è quello implicitamente indicato dai leader politici del centro e del centro sinistra, prevede il ripristino con qualche aggiustamento (più o meno radicale secondo gli indirizzi) del meccanismo che consentiva la crescita senza soste, magari con una presenza regolatrice e stimolatrice dello stato e una maggiore attenzione all'ambiente. Ciò rimanderebbe di qualche anno il confronto sulla limitatezza delle risorse e sulla sempre più iniqua ripartizione delle risorse mondiali. Con il ritorno alla crescita, qualche briciola per la cooperazione ritornerebbe ad esserci, rivolta per lo più alle crisi umanitarie, senza strategia dunque sempre condizionata all'esistenza di avanzi di gestione

Esisterebbe però anche la possibilità di lavorare per un altro esito. Gestendo la crisi a livello mondiale come un'occasione per uscirne con un mondo più giusto. Non è pericoloso estremismo. Lo hanno chiesto il Presidente della Repubblica e il Papa all'inizio di questo durissimo 2009. Questo è l'impegno a cui sarebbe chiamata l'Italia dalla stessa costituzione che all'art.11 ci invita a costruire “la pace e la giustizia fra le nazioni”, ma è anche la mission della cooperazione come la intendiamo noi. In questo scenario la cooperazione (come modalità di relazione internazionale), è centrale e opera per la crescita dei consumi la dove c'è né bisogno e per ridurre le distanze e le iniquità sociali ed economiche.

Dal 1989 l'occidente ha abbandonato la Cooperazione a vantaggio dell'emergenza e dell'umanitario. Ci era stato detto che il neoliberismo avrebbe risolto portando il benessere dappertutto e che la cooperazione era destinata a lasciare il posto al mercato limitandosi a svolgere interventi umanitari per situazioni di crisi. Ora siamo alla piena smentita di quel modello e si aprono diversi scenari:
Per chi persegue consciamente o inconsciamente lo scenario dei conflitti, la cooperazione non serve, sono soldi spesi dalla parte sbagliata, quelle risorse vanno usate per bisogni interni.
Per chi vuole rimettere in piedi la macchina e farla ripartire, la cooperazione serve per alleviare i fenomeni di povertà estrema.
Solo chi crede in un altro mondo possibile può pensare sia utile occuparsi e destinare risorse alla cooperazione. Si tratta di una quota importante dell'opinione pubblica, ma si tratta in questo momento sono solo una minoranza, in Italia e in Europa, e forse la crisi ne ha addirittura ridotto il numero. Lo dimostra il fatto che nessuno ha il coraggio di sostenere pubblicamente che i fondi alla cooperazione non devono essere tagliati, e tanto meno che una politica di cooperazione è utile e necessaria, oltre che giusta.

E' dunque il tempo di dare concretezza e coerenza a quanto stiamo dicendo da vari anni e sostenere un'altra cooperazione: quella del partenariato e della costruzione di un mondo più equo per tutti (al Nord ed al Sud). Una cooperazione che riconosce pienamente la interdipendenza assoluta creata dalla globalizzazione e lavora in mille modi per costruire un altro mondo possibile.
Non dobbiamo cambiare quanto ci siamo detti e abbiamo scritto in questi anni, dobbiamo crederci e comportarci con coerenza.
Non possiamo adagiarci sulla pura gestione dei progetti, perchè ne sappiamo i limiti, e perchè rischiamo di guardare il dito invece che la luna. Nè possiamo indugiare a fare progetti di pura assistenza umanitaria, concentrandosi sull'assistenzialismo.
Dobbiamo fare progetti che abbiano un respiro e un riferimento ai temi globali.
Dobbiamo fare progetti per sostenere il cambiamento per tutti.
Dobbiamo dare il massimo di respiro e risonanza ai progetti per ricondurli e usarli per la battaglia generale

Ogni Ong da sola può dare degli ottimi progetti, ma avrà sempre scarso peso nel determinare le scelte e gli indirizzi generali. Lavorare insieme, in rete e in collaborazione è il solo modo di fare bene il nostro lavoro, e produrre qualche risultato.
La federazione, il Cocis, può essere un'occasione e uno strumento, può essere una delle prime alleanze fra soggetti che condividono gli stessi ideali. Non esaurisce la dimensione delle alleanze che invece devono prevedere le più ampie e variate geometrie. Ma in qualche caso può favorirne di nuove e più efficaci. La federazione ci consente di fare la prima massa critica che va oltre la gabbia del quotidiano che i progetti spesso ci costruiscono intorno, ci permette di creare sinergie e usare strumenti che non tutti potrebbero permettersi."..."

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