mercoledì 17 ottobre 2012
mercoledì 10 ottobre 2012
giovedì 27 settembre 2012
“La trappola”: l'odissea dell'emigrazione, il respingimento, la rinascita
CLARISTE SOH MOUBE INCONTRA GLI STUDENTI
DELL'IIS GALILEO FERRARIS DI SETTIMO TORINESE
In arrivo dal Mali Clariste Soh Moube,
autrice del libro La trappola e giovane voce dell'altermondialismo africano
Una giovane donna, africana, calciatrice. Un sogno, l'Europa, che chiama
Mbeng. Il racconto di un viaggio che è una vita – settemila chilometri
in otto anni. Un percorso lungo e tortuoso nel tempo e nello spazio, aggrappata
al football per avvicinare l’Europa. La storia di un inganno, di un sogno – la
fortezza Mbeng – che è illusione. E la narrazione di una rinascita, ritornando
all’Africa.
E' la sintesi del libro-testimonianza La Trappola, scritto dalla
camerunese Clariste Soh Moube nel 2009 e di recente pubblicato in Italia da
Infinito edizioni con le prefazioni di Aminata Traoré, Dagmawi Yimer e Giulio
Cederna.
Dalla fine della sua odissea Clariste vive a Bamako, in Mali, dove a
fianco di Aminata Traorè – una delle grandi voci dell'altermondialismo africano
- lavora come assistente ricercatrice presso il Centro Amadou Hampaté Ba.
In Italia in questi giorni per un tour di presentazioni del libro che
la porterà anche a Ferrara ospite del Festival d'Internazionale, Clariste
consentirà anche di inquadrare l'attuale situazione e le prospettive del Mali,
suo paese d'adozione, dopo il colpo di stato di marzo e la successiva divisione
tra il sud del paese e il nord in mano ai gruppi jihadisti Aqmi (Al Qaida nel
Maghreb Islamico) e Ansar Dine (Difensori della Fede).
Tra le numerose iniziative organizzate in diverse località italiane in
collaborazione con le associazioni Il Mondo nella Città di Schio, Cuamm
Piemonte e Apertamente di Biella, patrocinatrici del libro, e Infinito
Edizioni,
Clariste
sarà a Torino 3 ottobre 2012 per incontrare dalle 11.00 alle 13.00 gli studenti
dell'Istituto Istruzione Superiore Tecnico e Professionale "Galileo Ferraris"
di Settimo Torinese (TO), presso la Sala Levi della Biblioteca Archimede
(Piazza Campidoglio, 50 – Settimo Torinese) che in collaborazione con l'Ong
RETE stanno partecipando al progetto promosso dal Consorzio Ong Piemontesi e
intitolato "DIARI DI VIAGGIO - Educare ad una cittadinanza mondiale
condividendo a scuola le esperienze di migrazione" cofinanziato
dall'Unione Europea e dal Ministero dell'Interno nell'ambito del Fondo Europeo per
l’Integrazione di cittadini di Paesi terzi 2011 .
Nella
serata della stessa giornata, in collaborazione con il Museo Nazionale del
Cinema di Torino e con il Consorzio Ong Piemontesi, Clariste presenterà il suo
libro alle ore 20.30 presso la Bibliomediateca “Mario Gromo” in Via Matilde
Serao 8/A a Torino.
Seguirà
dibattito e visione del film Aspettando la felicità regia di Abderrahmane
Sissako, Francia/Mauritania, 95’, col.
lunedì 24 settembre 2012
Mali : Un accordo tra Bamako e la CEDEAO sull’invio
d’un contingente militare africano.
Il Mali e la Comunità Economica
dei paesi dell’Africa Occidentale ( CEDEAO) domenica hanno finalmente trovato un accordo sulle condizioni d’invio d’un
contingente militare africano in vista di un’eventuale operazione volta a riconquistare il Nord, da sei mesi sotto il
controllo degli islamici.
“Dovremmo apprezzare quest’accordo, ottenuto con i
nostri fratelli maliani. Possiamo finalmente dire che il Mali e la CEDEAO sono d’accordo a operazioni militari sul territorio maliano” ha
dichiarato il rappresentante della Comunità Economica dell’Africa Occidentale, l’ivoriano
Paul Koffi Koffi.
Per concludere quest’accordo è
attesa in Bamako una delegazione della CEDEAO nei prossimi giorni, come
annunciato all’AFP (Agence FRance-Presse) dai Ministri della Difesa del Mali e
della Costa d’Avorio, dopo un incontro con il presidente ad interim del Mali,
Dioncounda Traoré.
I dettagli di quest’accordo
non sono ancora disponibili ma almeno un elemento essenziale è stato chiarito: se gli eserciti della CEDEAO interverranno
in Mali, la loro sede sarà ‘naturalmente’ in Bamako, ha preciso il ministro
maliano della Difesa, Yamoussa Camara.
‘Quando si parla di truppe , si intende truppe
della CEDEAO e non di stranieri. E su
questo, il Mali è d’accordo”, ha aggiunto Koffi Koffi , venuto d’Abidjan a Bamako
con il Ministro Ivoriano dell’Integrazione Africana, Ally Coulibaly.
Al l’inizio di settembre,
Dioncounda Traoré aveva ufficialmente chiesto aiuto alla CEDEAO, accorgendosi
che il Mali non era in grado di riconquistare da solo i due terzi di suo
territorio occupato dai gruppi armati islamici collegati ad’Al-Qeada magrebina
(Aqmi)
Ma la CEDEAO, irritata da
alcune richieste maliane, aveva chiesto a Bamako di rivedere la sua posizione.
Il presidente maliano si era
apertamente opposto all’invio dei truppe armate e pronte a combattere nella
sola Bamako.
‘Qualsiasi forza militare inviata ha bisogno di
una base’, ha commentato Koffi Koffi, aggiungendo che fosse di comune accordo.
Sabato ad Abijan, Yamoussa
Camara ha incontrato il presidente Alassane Quattara, a capo dell’esercito della CEDEAO.
Il ministro maliano aveva assicurato
che l’invio di truppe dell’Africa Occidentale a Bamako era possibile a
condizione che fosse eseguito con discrezione per non scioccare la popolazione.
Il contingente dell’Africa
Occidentale potrà installarsi nella capitale maliana ma non avrà il compito di
assicurare la sicurezza delle istituzioni del governo ad interim.
Un accordo da “rendere lindo”
‘Bisognerebbe armonizzare le posizioni. Tale
visita veloce è stata utile”, ha dichiarato all’AFP una fonte vicina al governo
maliano. Secondo quest’ultima, una delegazione della CEDEAO è attesa nei
prossimi giorni a Bamako per mettere insieme tutto quello che è stato accettato
dalle varie parti.
La CEDEAO che da mesi prepara l’invio di 3.300 soldati in
Mali, aspettava di avere un accordo con Bamako per inviare all’Unione Africana un progetto risolutivo della situazione, che
dovrà essere esaminato anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti.
A seguito del colpo di stato
militare del 22 Marzo, che a causato la caduta del presidente Amadou Toumani Touré, il nord del
Mali è da aprile sotto il controllo dei fondamentalisti islamici, che con le
armi impongono alla popolazione la loro interpretazione della legge islamica “shar’ia”.
Venerdì il Consiglio di Sicurezza
dell’ONU ha espresso la sua profonda
preoccupazione sulla violazione dei diritti
umani che i fondamentalisti islamici stanno commettendo nel Nord del paese,
dove aumentano le brutalità, dall’esecuzione
tramite lapidazione di una coppia non sposata, alle amputazioni di sospettati
per furto.
Nel suo messaggio alla
popolazione, il presidente maliano aveva auspicato la liberazione del Nord ‘ o
attraverso la negoziazione o con la forza’.
Il presidente Diouncounda aveva chiesto ai gruppi armati di
iniziare delle ‘negoziazioni chiare’, senza tralasciare che ci si sta
preparando alla guerra in cui si è disposti a incorrere se non vi sono altre
alternative”.
L’articolo è di Serge DANIEL dell’AFP e la traduzione in Italiana è stata
fatta da Mariale –Colette MEFFIRE
mercoledì 22 agosto 2012
Il Mali cerca disperatamente la pace
Un nuovo governo di unità nazionale è stato formato in Mali
in un ultimo sforzo per riportare la stabilità dopo il colpo militare in Marzo.
Il cabinet è composto di 31 ministri, includendo cinque che sembrano vicini
al capo del colpo di stato , Capitano Amadou Sanogo.Il capo del governo traballante esistente ad interim, Cheick Modibo Diarra . rimane come primo ministro.
Lo scorso mese, l’ente regionale ECOWAS, aveva minacciato di espellere il Mali se non si formava un governo di unità.
La composizione d’un nuovo cabinet è stata annunciata in una dichiarazione letta alla Televisione Nazionale.
Il Mali è in continuo cambiamento da quando il colpo di stato di marzo ha permesso agli islamisti ed ai Tuareg di accaparrarsi tutto il nord di paese.
In Aprile, a seguito delle pressioni internazionali e regionali, la giunta militare in Bamako aveva nominalmente consegnato il potere ad un governo ad interim, mantenendo però il potere reale .
Afflitto da lotte intestine, il cabinet provvisorio non è riuscito a ristabilire l’ordine e organizzare le elezioni volte a riportare le regole costituzionali.
In Luglio, il presidente ad interim Dioncounda Traore è stato in ospedale dopo essere stato picchiato dei sostenitori del colpo di stato
In seguito alla rottura dell’alleanza con le forze laiche Tuareg, nel nord del Mali, i guerrieri islamisti hanno presso le città principali.
Da allora, i tentativi per imporre la visione radicale della sharia, ha aumentato la paura che questa zona diventi un rifugio per gli islamisti radicali. Qualche giorno fa,la mano d’ un uomo accusato di furto è stata tagliata e anche una coppia accusata di adulterio è stata lapidata.
IL testo originale è della BBC e la traduzione in italiano è di Mariale-Colette Meffire
venerdì 17 agosto 2012
Il Mali in difficoltà
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Prima del colpo di
stato in Mali e la caduta di Presidente democraticamente eletto, Amadou Toumani
Toure, nel marzo 2012, il Mali è stato
considerato un esempio di democrazia e stabilità in Africa. L’ex leader aveva
vinto due volte di seguito le elezioni presidenziali, avvallate dalla comunità
internazionale, e aveva in progetto il miglioramento economico e sociale del
paese. Nonostante sia uno dei paesi più poveri di mondo, il Mali ha vissuto un
notevole sviluppo durante la presidenza di ATT, come era popolarmente conosciuto.
Ma gli oppositori politici lo accusavano
di corruzione e inettitudine a risolvere soprattutto i problemi del nord
del paese.
Gli
esperti economici avevano apprezzato le misure di sviluppo in corso, affermando
che il Mali era sulla buona strada verso la prosperità economica. Con la crisi
economica mondiale, la crescita del prodotto interno lordo ha visto un calo dal
5,8% nel 2010 al 2,7% nel 2011, secondo la Banca Mondiale. Con i tantissimi
progetti in corso e con i finanziamenti e gli aiuti di alcune grandi
istituzioni mondiali, la popolazione avrebbero potuto avere l’aspettativa di
giorni migliori. Questo sogno di sviluppo e di pace si è volatilizzato a causa
della guerra e la divisione in atto tra il nord e il sud. Il sud è sotto il
controllo della giunta militare in seguito al colpo di stato di marzo, mentre
nel nord alcune frazioni estremiste islamiche stanno dettando legge nelle aree
desertiche abitate in maggioranza dai Tuareg, che dopo cicliche ribellioni sono
riusciti a rivendicare l’autonomia della regione.
I gruppi
ribelli non si sono accordati su come gestire il territorio e la paura è molto
diffusa. Una delle controversie riguarda l’applicazione della “sharia”, la legge
islamica. Gli estremisti di gruppi terroristi Ansar Dine e Al Quaida del Magreb
Islamico (Aqmi) sono per un’applicazione letterale ed estrema, contro
la volontà dei ribelli Tuareg del Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad
(MNLA) che avrebbero voluto promuovere un Islam moderato. Inoltre, questi
ultimi, occupando l’Azawad subito dopo il colpo di stato a Bamako, avevano come
obiettivo principale la creazione di una nazione Tuareg. Molti Tuareg avevano
collaborato come mercenari con l’ex dittatore libico Muammar Khadafi, e dopo la
caduta del suo regime sono tornati armati per chiedere la secessione e la
formazione d’uno stato Tuareg nel nord. Con l’aiuto logistico dei due gruppi
terroristi (Ansar Dine e Al Quaida del Maghreb Islamico), installati in Sahel
da anni, i nomadi Tuareg sono riusciti ad occupare il nord dopo feroci battaglie
con l'esercito maliano, ma ora l’MNLA ha difficoltà ad imporre
i suoi piani. I suoi alleati sono diventati il suo ostacolo maggiore e
impediscono l’istituzione di uno stato laico. I rapporti conflittuali tra
questi gruppi hanno gravi conseguenze: uccisioni arbitrarie, distruzioni, paura, emigrazione forzata, a cui si
aggiungono la fame e la miseria causate dalla prolungata siccità.
La
popolazione maliana sta vivendo una triste e dolorosa pagina della sua storia.
Una situazione desolata che sicuramente sta
facendo regredire drasticamente l’economia di questo paese già molto povero. La
comunità internazionale ha descritto la situazione in Mali come tragica e ha
chiesto alle differente fazioni in conflitto di dialogare ed accordarsi, ma malgrado
la condanna delle Nazioni Unite, l’Unione Africana e l'ente regionale dell'Africa occidentale,
CEDEAO, il Mali rimane diviso e instabile.
La
Banca Mondiale, l’African Devolopment Bank, governi ed Ong, prima della crisi,
supportavano progetti agricoli, nei trasporti, per la salute e l’istruzione. La
maggiore parte delle iniziative, soprattutto nel Centro-nord del paese, sono
sospese o rallentati per motivi di sicurezza. Un esempio è il progetto di RE.TE
a favore delle filiere orticole nei Paesi Dogon. Con la forte presenza dei
ribelli in questa zona, la vita dei cittadini è diventa precaria.
Mentre i cittadini di
nord di Mali stanno subendo queste forme di violenza e barbarie, la comunità
internazionale moltiplica le riunioni sulla crisi politica maliana e prende
decisioni che non applica nessuna parte in conflitto. La CEDEAO aveva deciso
d’inviare una forza militare d’intervento di circa 3.000 persone, ma il governo militare ad
interim ha rifiutato il piano perché l’intervento non sarebbe stato limitato al
nord del paese. Anche se sembra che ci sia una relativa pace nel sud, non c’è
la sicurezza rivendicata dalla giunta militare che ha organizzato il colpo di
stato di marzo. L’ex presidente dell'assemblea nazionale che ha assunto il
ruolo di presidente ad interim, Dioncounda Traore, è stato aggredito e
ferito dentro il suo ufficio da parte dei
sostenitori del colpo di stato, che lo consideravano come un alleato dell’ex
Presidente Amadou Toumani Toure.
Con il passare dei
giorni la situazione politica, economica e sociale diventa sempre più complessa
e problematica. Sul piano politico, il governo centrale è inattivo perché non
c’è coesione e fiducia interna. Questa mancanza grave impedisce lo sviluppo
economico e sociale e quindi favorisce la miseria, la fame ed il disordine
sociale. Il Programma Alimentare Mondiale ha espresso preoccupazione riguardo allo spostamento in
massa di maliani verso i paesi confinanti. Le statistiche delle
organizzazioni internazionali come la Commissione delle Nazioni Unite per i
Rifugiati e Amnesty International indicano
che circa 100 persone sono morte e tante altre hanno lasciato le proprie case e
trovato rifugio nei paesi vicini. L’ufficio delle Nazioni Uniti per il
Coordinamento degli Affari Umanitari indica che circa 436.000 persone sono
scappate dalla guerra in Mali e sono minacciate dalla fame già segnalata nel
Sahel. Inoltre, il colera si diffonde nel nord; ad oggi ci sono circa 12 morti
e 147 ammalati.
Un'altra grave preoccupazione
è data dall’occupazione progressiva del Sahel da parte dei gruppi islamici
radicali. Qualche giorno fa, una coppia accusata di avere
avuto relazioni extraconiugali è stata lapidata pubblicamente nel villaggio di Aguelhok, nel nord, malgrado la
protesta della popolazione. Ad un uomo accusato del furto di una bicicletta è
stata tagliata una mano in un paesino vicino la città di Gao
da parte dei ribelli di Movimento
Islamico per l’unicità e la jihad nell’Africa Occidentale. I danni materiali sono grandi: soprattutto la distruzione
degli antichi santuari
e
moschee nella città storica di Timbuctu da parte del gruppo islamico Ansar Dine, che considera questi patrimoni mondiali
dell’Unesco come un sacrilegio contro la Sharia, che vieta la venerazione dei santi. Il gruppo islamico del
nord della Nigeria BOKO HARAM, responsabile del conflitto interreligioso nell’area
di origine, si è installato anche nel nord del Mali. C’è una paura profonda di
contaminazione con i paesi vicini, come il Camerun, che ha una grande popolazione
musulmana.
Alcuni osservatori
politici credono fermamente che la crisi
maliana sia la conseguenza diretta della caduta del regime dell’ex presidente
libico. Il popolo Tuareg in Mali ha sempre avuto la simpatia ed il sostegno
finanziario di Muhammar Khadafi; fino all’inizio di quest’anno la questione
dell’indipendenza non era una priorità. Ucciso Khadafi, i ribelli Tuareg armati
sono tornati nel nord del Mali per ricominciare la lotta di liberazione,
lasciata anni fa. Approfittando della sconfitta di regime di Khadafi, i gruppi radicali
islamici nel Sahel come Al Quaida del Magreb Islamico (Aqmi) hanno conquistato terreno
ed ora stanno imponendo le loro legge e procedendo gradualmente ad altri paesi.
Mentre i maliani del nord stanno soffrendo nelle mani degli islamisti radicali,
il loro governo a Bamako e la comunità internazionale riflettono sulle
soluzioni possibili alla crisi maliana; la domande è: chi sarà la prossima
vittima di questa aggressione?
Mariale-Colette MEFFIRE
venerdì 3 agosto 2012
Pace, giustizia e ambiente: Tre parole chiave per avere un mondo migliore.
Mariale-Colette Meffire è il mio nome e vengo
dal Camerun, un paese di circa 20 milioni abitanti nell’Africa Centrale.
Facciamo questa semplice riflessione: circa
sette miliardi di persone vivono sulla terra
dalla quale dipendono per vivere.
I contadini coltivano questa terra da tanti anni e danno da mangiare a tutti.
Immaginate un momento se questa terra
diventasse arida: tutti noi moriremmo di
fame. E quando c’è la fame c’è l’instabilità politica, economica e sociale nel
mondo. E’ anche vero però che quando c’è instabilità e
ingiustizia politica, economica e sociale, c’è fame; forse è ancora più vero
che il contrario. Pace, giustizia sociale , sicurezza e sovranità alimentare
sono legate a filo doppio. Penso sinceramente che non abbiamo bisogno
che succeda questa tragedia e dobbiamo veramente proteggere questa preziosa
terra madre. Quindi, c’e un collegamento tra pace, giustizia e ambiente. Se noi vogliamo la pace, abbiamo
bisogno della giustizia e della
protezione dell’ambiente.
Viviamo in un contesto molto complesso con la
crisi economica mondiale, ma la gente ha
un gran desiderio di sviluppare e aumentare la propria ricchezza. Ora, il sud e il nord
hanno bisogno di lavorare insieme con
trasparenza su diversi aspetti.
Il sud ha il terreno fertile e le risorsi
naturali, ma ha bisogno di aiuto finanziario e tecnologico dall’estero per
andare avanti. Dall’altra parte, il nord ha un disperato
bisogno di questa ricchezza proveniente dal sud per ingrandire i suoi diversi
settori. Quindi, dovranno collaborare e
lavorare per gli interessi delle loro popolazioni. Tutti
noi siamo convinti che il mondo è diventato un villaggio planetario a causa delle
meraviglie di internet e dell’alta
tecnologia. Malgrado questo notevole progresso
, il nostro pianeta rimane ancora diviso in due parti: i paesi più poveri (la maggioranza in Africa)
e quelli più ricchi( In Europa, Stati Uniti e L’Asia). È anche vero però che ci sono dei paesi nel sud del mondo che possiamo definire
ora come emergenti(il Sud Africa e in America Latina, il Brasile). La domanda è:
quanti sono questi paesi in Africa che
sono riusciti a crescere come alcuni
altri paesi in Asia? Pochissimi! Una collaborazione onesta e
trasparente tra il Nord ed il Sud del
mondo potrà condurre alla pace, allo
sviluppo ma soprattutto alla protezione dell’ambiente che secondo me, rimane lo
strumento principale per l’avanzamento economico, sociale, politico e umano.
Il conflitto tra i paesi, le
tribù e le persone, ha avuto sempre gravi conseguenze negative su di loro e i
sui loro vicini. L’ambiente ha sofferto e continua a soffrire per questo.
Quindi, l’utilizzazione dei terreni dovrà essere ripensata. Ovviamente questa collaborazione è auspicabile e le
premesse per favorirla potrebbero essere : una maggior collaborazione tra le
organizzazioni contadine locali, un maggior ruolo delle istituzioni
multinazionali come l’Onu, che sembrano al contrario indebolite negli ultimi
anni, e piattaforme di confronti delle grandi organizzazioni regionali come
l’UE, il Mercosur, l’Asean.
Il Camerun è un paese nel
centro dell’Africa dove si trova questa
disuguaglianza . La maggiore parte della popolazione camerunese dipende dall’agricoltura
per vivere ma questo settore ha difficoltà
a svilupparsi e ovviamente a dar loro una vita migliore. Ora, la maggioranza dei
contadini usa ancora le zappe e il
machete per scavare e coltivare la terra, inoltre devono camminare per tanti
chilometri su strada asfaltate per arrivare ai loro campi. Nonostante i loro
prodotti naturali facciano vivere tante
persone la loro situazione economica e
sociale rimane deplorevole. Sapendo che il
Camerun è un paese agricolo, il primo presidente Ahmadou Ahidjo ha applicato
una riforma agraria all’inizio degli anni ’80, che ha avuto un successo incredibile.
Durante il suo regime, gli agricoltori avevano accesso a prestiti bancari con interessi molto bassi e per tale scopo era
stata creata la banca CREDIT AGRICOLE . A l’epoca, il settore agricolo Camerunese
aveva conosciuto un boom e la produzione dei prodotti: cacao, caffè,
cottone, banane, mais, manioca ecc...era cresciuta in modo considerevole.
Con quella riforma gli agricoltori avevano accesso a
sovvenzioni statali che aiutavano la produzione su grande scala che ovviamente, per l’epoca, poteva coprire tutti i fabbisogni alimentari. L’applicazione
della riforma non è stata più possibile dal 1990 con la presa di potere di Paul
Biya, che di conseguenza ha costretto la
popolazione a ritornare a coltivare la terra in modo tradizionale.
Ora, il risultato di questa
nuova politica agricola è che al nord
del Camerun si soffre la fame. Secondo il Programma alimentare mondiale,
centinaia di persone sono ora minacciate dalla fame, in questa parte del paese, soprattutto per la
mancanza d’una politica duratura sulle filiere agricole. Nel febbraio 2008, il
Camerun ha vissuto un momento di grande mobilitazione sociale che ha portato ad
una manifestazione contro la fame, con circa cento morti e tanti feriti. Per gli
osservatori era quasi una rivoluzione ma
anche un appello al governo per chiedere
una nuova riforma agraria.
Purtroppo non solo in Camerun
la situazione è precaria. È così anche in tanti altri paesi Africani dove i governi al potere non
hanno un progetto di una moderna riforma
agraria e di agricoltura sostenibile. Anche dov’è c’è un programma agricolo ben definito, la
sua applicazione è disastrosa a causa
della corruzione e dell’incompetenza dei lavoratori. Nel 2009, Il ministro camerunese dell’agricoltura fu accusato
d’avere rubato fondi provenienti dell’estero e destinati a finanziare il
settore produttivo del mais nel sud Camerun. Il Ministero dell’epoca
Augustin Federick Kodock fu licenziato e poi trascinato in tribunale accusato
di corruzione. Inoltre, la Banca Credit
Agricole fallì a causa della corruzione e della mancanza di trasparenza sulla gestione dei
fondi. Come risultato, purtroppo, i contadini camerunesi continuano ancora ora a usare metodi antichi per coltivare.
I disastri di queste politiche sono visibili: la guerra, la fame,
l’inquinamento dell’ambiente… E quando l’ambiente subisce distruzione , la pace nel mondo diventa veramente un sogno
lontano.
Volendo portare un esempio,
vi posso raccontare di un progetto dell’ONG RE.TE. con cui collaboro. RE.TE ONG è un ONG che opere nel campo della
cooperazione internazionale da più de 25 anni. RE.TE è un’associazione non governativa che da anni
si occupa di progetti agricoli in Africa, America Latina ed Europa e opera
nel campo dell’economia sociale, ma anche in ambito agroecologico e dei
servizi, con progetti importanti nei quali la formazione risulta essere un
elemento sempre presente. RE.TE promuove i soggetti organizzati del SUD del
Mondo mirati a realizzare alternative economiche e politiche, promuovendo il
lavoro, l’autoimpiego e le competenze, in particolare di giovani e donne delle
periferie urbane e delle aree rurali, e le organizzazioni di base dei piccoli
produttori, in uno spirito di solidarietà comunitario.
Le loro esperienze e conoscenze sui diversi
settori hanno contribuito e continuano a portare la crescita e l’armonia alle
popolazioni che hanno veramente bisogno. Per me è un esempio di tipo di
relazione che dovrebbe esistere tra il Nord e il Sud. Una relazione basata
sulla condivisione e lo scambio di conoscenze e ricchezza con obbiettivo principale, fare crescere un
mondo di pace, giustizia e un ambiente sano. Questa esempio e il know-how di
RE.TE, li porto alla conferenza internazionale sulla pace e l’ambiente.
Ad esempio, la Bosnia è un
paese che ha vissuto molti anni di guerra, che ha lasciato la gente sofferente,
senza lavoro e senza istituzioni.
Dal 1995 Re.Te. ha iniziato
un progetto in Bosnia per mobilitare gli enti locali attraverso il Tavolo di
coordinamento piemontese. A Breza, dove si sono
incentrati più progetti, la guerra ha ucciso il 20 per cento della
popolazione.
Qui RE.TE ha
sostenuto una cooperativa agricola, Behar, aiutandola ad acquisire mezzi di
produzione (serre, trattori) e commercializzazione (furgone, banco al mercato)
comuni.
In due zone della
Bosnia, Usora e Stolac, Re.Te. ha creato un progetto di cooperazione sulla
coltivazione della vite e la produzione vinicola di alcune cooperative in collaborazione
con il Comune di Caluso. La coltivazione della vite, con l’aiuto di Re.Te., ha permesso di ridare lavoro
e possibilità alla gente del posto. Una delegazione del comune di Caluso è andata in visita per condividere le tecniche di
coltivazione.
La Bosnia
presenta buone potenzialità agricole, ma importa la maggior parte dei prodotti
alimentari che consuma dai paesi vicini, dove la produzione è maggiormente
sovvenzionata. Prima della guerra, era un’area di industria mineraria e di
armamenti, ma oggi è costretta a ripensare la sua identità anche da questo
punto di vista. Le cooperative sono strutture che permettono alle persone, con
un obiettivo economico comune e a piccoli passi, di accantonare almeno in parte
le forti diffidenze reciproche ereditate dalla guerra.
Questa
collaborazione è l’esempio di come l’agricoltura possa essere utile a
ricostruire la vita delle persone che hanno sofferto una guerra e a portare
speranze di pace per il futuro. L’agricoltura permette di generare reddito e di
valorizzare i prodotti locali.
Oltre a questo,
Re.te. ha lavorato per migliorare i servizi comunali, appoggiare le
associazioni di giovani e donne, formare gli insegnanti, offrire opportunità di
credito, rifare i sentieri della regione, organizzare scambi internazionali di
giovani, e molto altro.
martedì 31 luglio 2012
La sharia nel nord del Mali
Una coppia sposata è stata lapidata a
morte per adulterio nel villaggio d’Aguelhok, nel nord-est del Mali, dagli
islamisti d’Ansar Dine . La notizie ci è giunta attraverso il portavoce di
questo gruppo alleato all’Al Qaida del Magreb Islamico (Aqmi).
Questa coppia, accusata d’avere avuto
delle relazioni extraconiugali, è stata pubblicamente giustiziata domenica, ha
detto a Reuters il portavoce d’Ansar Dine, Sanda Ould Bounama, raggiunto al
telefono lunedì.
“Queste due persone erano sposate e avevano relazioni extraconiugali. I nostri uomini in Aguelhok hanno applicato la Sharia”, ha detto. “Essi sono morti
istantaneamente(…) . Non possiamo rispondere alle domande legate
all’applicazione della Sharia”.
Approfittando della confusione che ha
seguito il colpo di stato militare del
22 Marzo, gli islamisti si sono impadroniti del nord del Mali con l’aiuto dei
ribelli Tuareg del Movimento Nazionale di Liberazione, l’Azawad (MNLA).
Ansar Dine, raggiunto da altri gruppi Islamisti come
Al Quaida del Magreb Islamico(Aqmi), ha spodestato gli insorti e preso il controllo della
metà del territorio, ovvero Gao, Kidal e
Timbouctou.
Articolo scritto da Adama Diarra a Bamako e Cheick
Dioura a Gao e Marine Pennetier per la
redazione francese di REUTERS. Foto: Guardian.
Un ricordo di Enrico Luzzati
Università degli
Studi di Torino, Facoltà di Scienze Politiche, CISAO e Centro Piemontese di
Studi Africani
presentano il seminario:
CON I PIEDI PER TERRA. MOVIMENTI CONTADINI, RICERCA‐AZIONE,
COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO.
UN LIBRO PER ENRICO LUZZATI.
Mercoledì 9 maggio 2012, ore 16‐19
Sala Principi d’Acaja, Rettorato
Via Verdi 8, Torino
A nome di tutta la famiglia ed in particolare di mio cognato
Michele, a cui dispiace molto di non poter partecipare, ringrazio chi ha reso
possibile la realizzazione del seminario di questo pomeriggio;
ringrazio la facoltà di Sc.Po. per aver intitolato ad Enrico
la cattedra di Cooperazione allo Sviluppo;
ringrazio Federico e Riccardo per la dedica del libro.
Penso che non ci potesse essere miglior modo per ricordare
mio marito:
è importante il significato simbolico del dedicare una cattedra ad una persona che si è impegnata molto nella formazione dei giovani e sentiva come un dovere aiutare gli studenti a formarsi in senso completo e non solo nella trasmissione di contenuti. Lo faceva con atteggiamento simpatico, coinvolgente. Spesso faceva venire anche a casa i laureandi, molti gli erano rimasti amici e molti, chi per un verso e chi per un altro, si sono occupati di cooperazione. Mi capita spesso di incontrare persone che l’hanno avuto come insegnante e che ne parlano con affetto e riconoscenza. Cercava da trasmettere la passione per lo studio e la ricerca coniugata con l’impegno nel sociale che era proprio quello a cui aveva dedicato la sua vita.
è importante il significato simbolico del dedicare una cattedra ad una persona che si è impegnata molto nella formazione dei giovani e sentiva come un dovere aiutare gli studenti a formarsi in senso completo e non solo nella trasmissione di contenuti. Lo faceva con atteggiamento simpatico, coinvolgente. Spesso faceva venire anche a casa i laureandi, molti gli erano rimasti amici e molti, chi per un verso e chi per un altro, si sono occupati di cooperazione. Mi capita spesso di incontrare persone che l’hanno avuto come insegnante e che ne parlano con affetto e riconoscenza. Cercava da trasmettere la passione per lo studio e la ricerca coniugata con l’impegno nel sociale che era proprio quello a cui aveva dedicato la sua vita.
È significativo per ricordare Enrico anche la presentazione di un libro scritto da due persone con cui aveva spesso collaborato. E’ significativo anche il titolo stesso del libro: “Con i piedi per terra”, gli autori ci racconteranno come lo intendono, penso comunque che gli sarebbe piaciuto, proprio lui, che ben convinto delle sue idee di obiettivi elevati, ha sempre dovuto mediare con la realtà: i piedi per terra Enrico li metteva costretto e ne era ben conscio.Non mancava mai di incitare chi lavorava nella cooperazione a continuare a studiare e a fare ricerca, a non adagiarsi nella gestione quotidiana dei progetti: mi sembra che questo libro vada proprio in questa direzione.
Ci tengo a dire qualcosa su quello che era il suo background su cui ha costruito direi tutta la sua vita. Il primo contato con l’idea di “comunità” avvenne verso i primi anni ’50, quando un suo cugino decise di andare a vivere in Israele per partecipare alla fondazione di un kibbuz nell’Alta Galilea. In una riunione di famiglia in cui tutti si espressero negativamente lui fu l’unico a schierarsi dalla sua parte. Enrico non era certo interessato al sionismo, ma fu per una spontanea ed immediata adesione all’idea del kibbuz; a suo dire, fu in quel momento che scoprì di essere, per la sua stessa natura, socialista e verso quell’ambito cominciò ad indirizzare le sue letture.
Enrico ha creduto nel socialismo fin da
giovanissimo, era lombardiano, iscritto alla sezione Ogliaro di cui conservava
ricordi di rapporti di fratellanza ed egualitarismo.
Non era né marxista né comunista e ci
teneva a precisarlo, era sinceramente anticapitalista e antiliberista. Ha sempre criticato aspramente il socialismo
reale dell’Urss e diceva che bisognava ripartire dallo studio ( e lui l’ha
fatto) di Proudhon, Owen, Tocqueville.
Ancora aveva ripreso in mano Mazzini; nella sua biblioteca c’era molto
materiale su Adriano Olivetti.
E’ comunque indubbio che la vicinanza al
movimento cooperativo, inteso anche in senso allargato di servizi alle comunità
locali, era il suo modo concreto di essere socialista.
Oggi penso che avrebbe seguito con grande
interesse l’evoluzione di questa crisi economica.
Sono venuti al pettine dei nodi che un
economista come lui non poteva che analizzare con molta attenzione: era
profondamente convinto che è lo stato che deve comandare la finanza e non
viceversa.
Sono anche sicura che avrebbe seguito con
molta attenzione in Argentina la trasformazione di alcune imprese in fallimento
in cooperative gestite da chi ci lavora.
Ancora un grazie a tutti.
Nadia Yedid Luzzati
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