lunedì 25 giugno 2007
L'FK Rudar si gioca la promozione
18 maggio 2007
La squadra di calcio di Breza si chiama “rudar”, che significa minatore. La miniera é importantissima a Breza: mezza città ha lavorato o lavora tuttora nella miniera di carbone all’inizio del paese. Il suo simbolo occhieggia anche nello stemma del comune. E’ una delle più grandi, se non la più grande di tutta la Bosnia e rifornisce la ciclopica centrale elettrica di Kakanj. A Breza metà popolazione si scalda a legna, presa dai boschi, l’altra metà a carbone. Arriva un camioncino, scarica in mezzo alla strada davanti a casa uno o due quintali di carbone. Il padrone pian pianino lo spala in cantina. Per mezza giornata la strada é bloccata. Nessuno se la prende, é normale. La squadra nasce dalla miniera, un pò come la Juventus con la fiat credo. Ricorda un po’ gli “isotopi” di Springfield. Quest’anno ricorrono cent’anni della miniera: quando é sorta in Bosnia c’era l’Impero Asburgico.
Comunque mercoledì la squadretta, che milita dignitosamente in serie C, si giocava la promozione: 1 a 2, e sogni di gloria all’anno prossimo. Mi son fatto coinvolgere volentieri. Sono andato a fare il tifo per il Rudar credendo, da bravo fedelissimo, che potessero fare l’impresa (James mi aveva assicurato di sì). E in effetti la squadra inizia all’attacco, aggressiva, e nonostante il ritorno degli avversari riesce a chiudere in vantaggio il primo tempo. Poi purtroppo un autogol carambolesco annulla il vantaggio.
Le grida selvagge
Infine uno svarione difensivo concede un rigore agli avversari prontamente trasformato. Disdetta! “Mancò fortuna non mancò valore” si dice in gergo militaresco. Il registro non é così fuori luogo. I tifosi, categoria che rispetto ma fatico a capire, sono più simili a una tribù in battaglia che non a sostenitori, pur coinvolti, che assistono una semplice manifestazione sportiva. Quelli di qui non sono in fondo né più brutti, né più cattivi, né tanto meno più ubriachi che altrove. I cori approfondiscono pressappoco quelle due o tre tematiche classiche tipicamente al centro della speculazione ultrà: la nascita del tifoso con la maglia della propria squadra, l’invito a unirsi nella nobile causa di fare un culo così all’avversario e, immancabile, l’antico mestiere della madre o delle sorelle degli avversari. Per le madri uno zelo particolare. Del resto in Bosnia già di suo le orecchie di mamma fischiano di continuo, quasi più che in Abruzzo.
Sono andato tra i più sfegatati, in quella che in uno stadio sarebbe la curva. A Breza ci son gli spalti solo di lato, di cemento sgarrupato. Niente curva. Devo dire che é divertente cantare i cori, che alcuni personaggi sono pittoreschi e che l’iperbolica retorica ultrà smuove gli animi. Alzare la voce e le braccia viene da sé, al gol ti senti esplodere e qualche fischio all’arbitro scappa. Ma perché, mi chiedo, deve essere sempre necessaria tutta quella polizia? Perché un avversario che distrattamente guarda verso la tribuna deve essere minacciato di pestaggio, se non bersagliato con qualsivoglia oggetti? Perché la squadra avversaria, venuta sportivamente ad applaudire la tribuna, deve scappare sotto una pioggia di lattine? Mi hanno parlato del bisogno identitario, della competizione, dello sfogo dell’aggressività, ma diavoloporco continuo a non realizzare come non si possa avere qualche ambizione più elevata che non pestare l’avversario a fine partita. Eppure lo schema si ripete uguale in ogni città del mondo, con ogni squadra. Breza non fa eccezione. A Breza, realtà piccola, si avverte in special modo il paese più frizzante dalla mattina, calmo ma in qualche modo inquieto, teso, all’erta. Bandiere e magliette escono presto per la città. E’ difficile non accorgersi dell’evento. Nessun luogo in città é davvero lontano dallo stadio, e pochi hanno faccende più importanti. Tifosi, anche anziani, già ubriachi quattro ore prima, si compiacciono che un italiano prenda parte alla loro nobile causa, e non mettono in dubbio la gloriosa vittoria del Rudar. Si respira un fermento particolare, un’attesa, una specie di strana laboriosa quiete prima della tempesta. Tutti hanno il biglietto e me lo mostrano, non fatico a trovare chi vien con me sugli spalti. Vado con Haris, trovo Lejla, Alen, James, qualche papà e mamma e un sacco di bambini. Dino, ragazzino che bazzica al Desnek, fa il raccattapalle. Tutte le età e le categorie di persone son rappresentate. I cori iniziano timidi poi più decisi. Oggi a Breza tutti ritrovano nel Rudar un pò del loro orgoglio. La loro promozione forse é sentita come un riscatto per una cittadina che crede poco in se stessa, che guarda Sarajevo come una bambina guarda una signora elegante e raffinata, che vede futuro solo altrove. Il Rudar é forse l’occasione di dimenticare i problemi quotidiani, che qui non di rado vuol dire pane e companatico in tavola, trovare lavoro, o per i giovani cosa fare della propria vita. Nel Rudar forse ognuno vede la propria battaglia con la vita? Come in tutto il mondo per molti sarà anche così. Per qualcuno é solo un gioco.
Cerco di partecipare alla loro “battaglia”, di sentirmi anche oggi un po’ uno di loro anche se sia io che loro sappiamo di appartenere a mondi diversi. Non può che essere così, pur con tutta la buona volontà, l’affetto e l’amicizia che cerco di metterci. E va bene, giochiamo a tifare Rudar. A Breza oggi non c’é Sarajevo, non si pensa al futuro, non c’é altrove: c’é solo il rudar.
Juan Saavedra
http://www.cooperativaisola.org/blog2006
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