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lunedì 18 giugno 2012

A cupola dos povos - il summit dei popoli a RIO+20


Fonte: http://www.globalproject.info/it/mondi/a-cupola-dos-povos-il-summit-dei-popoli-a-rio-20/10813


PER LA GIUSTIZIA SOCIALE ED AMBIENTALE CONTRO LA MERCIFICAZIONE DELLA VITA E DELLA NATURA E IN DIFESA DEI BENI COMUNI PRESENTAZIONE

18 / 2 / 2012

Il summit Rio+20 che si terra' a Rio a giugno 2012 sara' un evento cruciale per le organizzazioni sociali ed ambientali, e deve essere considerato come parte di un processo storico degli ultimi 20 anni, che comprende il Summit della Terra (ECO 92), le mobilitazioni sulla agenda sociale dell'ONU, le lotte contro gli accordi di libero commercio promossi da WTO e ALCA, e più recentemente il Summit dei Popoli di Cochabamba.

Tenendo in considerazione che lo spazio della società civile deve essere autonomo, plurale, democratico, dobbiamo rispettare le diversità e le diverse strategie di azione, e basare le nostre proposte su soluzioni concrete che rafforzino il potere delle organizzazioni sociali e diano voce e leadership ai popoli che sono vittime della globalizzazione ineguale.

Noi affermiamo che Rio+20 deve:

•    Rigettare le soluzioni basate sul mercato della vita e della natura, le false soluzioni con le stesse vecchie tecnologie che approfondiscono l'iniquità e non rispettano il principio di precauzione
•    Denunciare la mancanza di miglioramento nelle politiche ambientali del Brasile e nel mondo dopo la crisi economica
•    Difendere i diritti umani e dare spazio alle esistenti alternative locali sviluppate dalle comunità tradizionali, piccoli contadini, comunità urbane organizzate, come per esempio la permacultura, i progetti agro-ecologici, le iniziative di economia locale, tra le altre, e organizzare campagne affinché queste iniziative possano essere sostenute dalle politiche pubbliche.
•    Promuovere un nuovo paradigma per una economia fondata sulla vita e basata su azioni e decisioni etiche
•    Fare una valutazione delle iniziative a partire dal Summit della Terra ECO 92 analizzando i progressi delle convenzioni firmate durante gli ultimi 20 anni
•    Promuovere campagne e iniziative delle organizzazioni sociali per premere sui governi affinché tengano in conto le proposte della società civile organizzata nel processo ufficiale
•    Promuovere consapevolezza pubblica attraverso campagne e altre forme di educazione popolare, coinvolgendo l'opinione pubblica in questo percorso con differenti gruppi sociali. Per questo, devono essere usati diversi linguaggi e strumenti di comunicazione, come radio comunitari, network sociali, così come media alternativi e tradizionali.

Rio+20 deve anche essere un momento di riflessione per movimenti e organizzazioni in modo che possano valutare come incorporare al proprio interno i nuovi paradigmi. Rio+20 deve mobilitare milioni di persone in Brasile e nel mondo, attraverso migliaia di attività prima e durante l'evento.

Infine, l'evento deve anche lasciare una eredita' per la città di Rio de Janeiro e per il mondo, come un esempio in se stesso del cambiamento che vogliamo vedere nel pianeta.

OBIETTIVI
Le organizzazioni di società civile e i movimenti sociali internazionali stanno cercando di trasformare la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile (UNCSD) in una mobilitazione popolare per affrontare la a seria crisi che stiamo vivendo, come pianeta e come umanità. Stiamo lavorando insieme per costruire un processo democratico verso un forum indipendente chiamato "Summit dei Popoli a Rio+20 per la giustizia sociale ed ambientale", con l'intenzione di promuovere la partecipazione della società civile e proporre le sue proposte politiche a un vasto spettro di personalità e di cittadini.

PROPOSTA SUL PROCESSO
Per assicurare la costruzione collettiva della metodologia del processo verso il Summit del Popoli a Rio+20, affermiamo le seguenti premesse:

Principi generali:
•    Prendiamo come punto di partenza l'aggravarsi, negli ultimi decenni, della situazione sociale ed ecologica nel pianeta e la parallela crescita della miseria e della ineguaglianza sociale -locale, regionale e internazionale- aggravata dalla recente crisi della economia capitalista
•    Crediamo sia molto importante avere una visione integrata sulla giustizia sociale ed ambientale, così come per la sostenibilita' sociale ed ambientale. E' necessario porre i diritti umani al centro dell'agenda globale.
•    Chiediamo il riconoscimento di ciò che le esperienze internazionali dei Social Forum, dei Summit dei Popoli, dei Tribunali Popolari internazionali, degli incontri di base che, dopo il Summit della Terra del 92, hanno costruito spazi di dibattito globale e mobilitazione
•    Teniamo in considerazione le ricche e diverse esperienze in queste reti sociali e di dare visibilità al contributo contro le soluzioni egemoniche
•    Cerchiamo spazi di influenza nel processo ufficiale delle Nazioni Unite e di influenzarlo.
•    Partiremo dal processo intorno a Rio+20 per costruire campagne globali tese a promuovere un nuovo paradigma in azioni popolari per molti milioni di persone.
•    Cercheremo, in sintesi, di affermare la presenza di un paradigma alternativo di società e di rafforzare il suo potere politico con convergenze multiple in tutto il mondo.
•    Il Summit dei Popoli deve anche essere uno spazio per dimostrare le pratiche concrete delle esperienze positive di produzione locale, di economia sociale, e esempi di pratiche che spostano la società verso questo nuovo paradigma durante il farsi di Rio+20.

Processo Organizzativo
Allo scopo di organizzare un processo indipendente di dialogo con le istituzioni internazionali, le aziende capitalistiche e i governi nazionali, cerchiamo di creare uno spazio plurale, tenendo in conto la diversità e trasformandola in una forza popolare; cerchiamo di superare la frammentazione e le divisioni delle diverse lotte, stimolando convergenze e agende comuni.
Vogliamo incorporare nel nostro processo la forza, la energia e le iniziative di migliaia di organizzazioni e movimenti del mondo intero. Per questo, il punto di partenza sono le loro esperienze reali, le loro attività indipendenti e la loro capacita' di coinvolgimento dei cittadini. Dall'altro lato, il nostro processo deve accettare la sfida di superare i limiti e le divisioni che ancora troviamo nella società civile oggi, cercando di costruire reti e coalizioni per affrontare insieme le scommesse e per lanciare azioni comuni.

Questioni strategiche:
Cercheremo di promuovere convergenze intorno alcune questioni strategiche per il superamento del modello corrente di società e per la affermazione di un nuovo paradigma di civilizzazione. Queste questioni hanno bisogno di essere discusse, costruite e presentate in diversi e autonomi spazi che emergeranno da questi processi, organizzati sulla base delle questioni comuni e degli input provenienti dal processo storico di ciascun network.
Proponiamo di cominciare questa convergenza da alcuni input ed concetti formulati da network e comitati di facilitazione incaricati delle diverse tematiche, per costruire il percorso verso Rio+20 a partire da esperienze ricche e lotte comuni.

Le questioni chiave approvate per stimolare un dibattito nei differenti gruppi e network sono:
•    Quali sono le cause strutturali delle multiple crisi e del fallimento nella realizzazione degli accordi internazionali a partire dal 1992?
•    Come costruire una nuova economia basata sulla giustizia sociale ed ambientale?
•    Come dare visibilità alle lotte di resistenza e di difesa dei popoli e dei territori e come promuovere soluzioni concrete a partire dalle esperienze esistenti di produzione, consumo e trasformazione del futuro?
•    Come bloccare la mercificazione della vita, la privatizzazione della natura e dei beni comuni?
•    Come rafforzare le strategie esistenti di lotta e campagne comuni e come promuovere e costruire nuove campagne?
•    Quale governance mondiale vogliamo a fronte della dominazione corrente del potere economico?

Coordinamento Internazionale
Suggeriamo di collegare il processo che stiamo promuovendo alla agenda sociale e ambientale che produrranno alternative comuni:
•    La mobilitazione contro il G20 a Nizza e a Cannes il 3 e 4 novembre
•    La mobilitazione sulla COP 17 a Durban dal 29 novembre al 9 dicembre
•    Il forum tematico a Porto Alegre nel gennaio 2012
•    Il Forum Alternativo Mondiale dell'Acqua a Marsiglia nel marzo 2012

Promotori
La proposta del Summit dei Popoli viene dal Comitato di Facilitazione della Società Civile Brasiliana per Rio+20. E' un gruppo di reti e organizzazioni diverse e plurali della società civile brasiliana. La responsabilità di questo comitato e' facilitare la partecipazione della società civile globale nel processo del summit di Rio+20, la Conferenza delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile che si terra' a giugno del 2012.
Il Comitato di Facilitazione della Società Civile Brasiliana ha un posto nella Commissione Nazionale per Rio+20 ed e' anche considerato dalla Conferenza Onu come un gruppo di collegamento del paese ospitante. Il comitato riunisce un ampio spettro di organizzazioni, fra i più importanti network della società civile brasiliana, attivi in diversi settori come ambiente e sostenibilita', diritti umani, sviluppo sociale fra gli altri. E' guidato da un Gruppo di Coordinamento composto dalle reti più rappresentative:

•    Rede Brasileira pela Integração dos Povos (Rebrip);
•    Rede Brasil sobre Instituições Financeiras Multilaterais (Rede Brasil);
•    Fórum Brasileiro de ONGs e Movimentos Sociais para o Meio Ambiente e o Desenvolvimento (FBOMS);
•    Central Única dos Trabalhadores do Brasil  (CUT);
•    Associação Brasileira de Organizações Não-Governamentais (Abong);
•    Grupo de Reflexão e Apoio ao Processo do Fórum Social Mundial (Grap);
•    Fórum Brasileiro de Economia Solidária (FBES);
•    Via Campesina (VC);
•    Fórum Nacional da Reforma Urbana (FNRU);
•    Rede da Juventude pelo Meio Ambiente e Sustentabilidade (Rejuma);
•    Jubileu Sul;
•    Plataforma Brasileira de Direitos Humanos Econômicos, Sociais, Culturais e Ambientais (Dhesca);
•    Movimentos Indigenas: Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (APIB) e  Kari-Oca;
•    Coordenação Nacional de Articulação das Comunidades Negras Rurais Quilombolas (Conaq);
•    Instituto Brasileiro de Defesa do Consumidor (Idec);
•    Articulação do Semi-Árido (ASA);
•    Articulação de Mulheres Brasileiras (AMB);
•    Marcha Mundial de Mulheres;
•    Movimento negro: Coordenação Nacional de Entidades Negras (Conen);
•    Rede de ONGs da Mata Atlântica (RMA).

venerdì 4 giugno 2010

Le foreste della Fao

da TERRA TERRA, Il Manifesto, 03.06.2010, di GP Polloni

L'ultimo rapporto della Fao sullo stato delle foreste del pianeta nell'ultimo decennio, vede per la prima volta dei risultati positivi: la deforestazione sarebbe calata rispetto al decennio precedente, compensata da una tendenza alla riforestazione, soprattutto in Asia e in Cina. Ma uno studio attento del rapporto della Fao, che è un capolavoro di ambiguità, finisce per far aumentare l'allarme.
Primo, i dati sul calo della deforestazione sono dovuti alla revisione al rialzo del decennio precedente, quando erano mancati dei conteggi in certi paesi. Senza questa revisione, la deforestazione non mostrerebbe nessun segno di recessione. Più inquietante è il paragrafo sulla riforestazione, in cui si dice che «le piantagioni di alberi su vasta scala riducono significativamente la perdita globale di foreste»: in pratica le «foreste piantate» sono aumentate in alcune aree del mondo e questa «afforestazione» compenserebbe le perdite dovute alla deforestazione. Su questi termini - riforestazione, afforestazione, foreste piantate - si gioca una partita tanto cinica quanto cruciale per il pianeta. La Fao infatti considera come foresta il suolo terrestre coperto da alberi: qualsiasi albero, anche le piantagioni di eucalyptus, caucciù o palme da olio. Per le organizzazioni che lavorano alla protezione delle foreste e per i popoli indigeni, il termine foresta designa un'altra cosa, incompatibile con le piantagioni delle grandi imprese di agribusiness: le foreste sono un territorio arboricolo dove crescono specie diverse e dove la biodiversità è sovrana, il ciclo naturale dell'acqua non è manomesso: sono insomma habitat di differenti specie, vegetali e animali - e spesso anche di popolazioni indigene che praticano un uso tradizionale dei prodotti della foresta. La Fao giustifica il suo rifiuto di distinguere fra foreste e piantagioni con l'argomento che «le piantagioni sono un mezzo per controllare la deforestazione e per aiutare a contrastare la pressione esercitata sulle foreste primarie». Eppure salta agli occhi la differenza qualitativa fra un territorio trasformato in piantagione e una foresta primaria: non solo le specie arboricole sono spesso aliene al territorio, ma la monocultura ha perduto qualsiasi caratteristica di biodiversità, sono rare le specie animali, in certi casi i trattamenti chimici e fitoterapici sono costanti, e le popolazioni sono sparite o sono state emarginate. Non solo, pochi mesi fa uno studio pubblicato dalla rivista «Science», mostrava come le piantagioni di caucciù nella Cina del Sud e nel Sud Est Asiatico stiano crescendo esponenzialmente, sostituendosi ad aree forestali primarie e secondarie. Sono piantagioni come queste che la Fao cita nel suo rapporto alla voce «riforestazione». Solo in Cambogia si contano decine di casi di comunità indigene alienate dalle proprie terre a causa di concessioni date a società di agrobusiness. In alcuni distretti del Nord est, il patrimonio forestale si è ridotto della metà, e secondo alcuni ricercatori nel prossimo decennio è destinato a ridursi ancora drasticamente. Al suo posto entrano nelle statistiche della Fao come «foreste» le file monotone di alberi delle piantagioni, senza più un animale o una pianta che non sia quella coltivata, popolate da lavoratori a giornata oppressi da condizioni di lavoro e di vita deprimenti e degradanti. Gli indigeni, veri custodi delle foreste primarie del pianeta, svaniscono insieme ai loro territori.

mercoledì 26 maggio 2010

serata SALVIAMO LA FORESTA



Siete tutti/e invitati a partecipare alla serata “Salviamo la Foresta”, organizzata all’interno di “Piemonte Chiama Mondo 2010”. Appuntamento Lunedì 31 Maggio presso il Caffè Basaglia, via Mantova 34 s Torino, a partire dalle ore 18.


Le tematiche ambientali e la distruzione portata avanti dalle attività umane nei confronti dell’ambiente sono oggi sempre più attuali. La notevole distanza che ci separa dalle zone tropicale non diminuisce l’importanza che le loro risorse naturali hanno anche per noi. Le conseguenze del taglio indiscriminato di foreste che sta avvenendo in America Latina, Centro America ed in tutto il Sud del Mondo si ripercuotono ovunque sul Pianeta e i loro effetti negativi, saranno sempre una delle maggiori cause che modificheranno le nostre vite.
Gli effetti del cambio climatico che potranno sconvolgere interi ecosistemi e popolazioni dipendono anche dalla noncuranza e dall’indifferenza di tutti noi nei confronti della distruzione ambientale che sta avvenendo nella maggior parte dei paesi poveri delle aree tropicali. La cecità del modello economico dominante che si concentra esclusivamente sulla crescita del PIL e del profitto, fa si che le risorse naturali non vengano considerate per il loro valore reale, per la loro importanza nei confronti di migliaia di persone che da secoli le hanno utilizzate in modo sostenibile. Le foreste sono considerate solamente come ostacolo all’industria agroalimentare, all’urbanizzazione e come materia prima da sfruttare indiscriminatamente per ottenerne profitto.



Apertura ore 18 con l’esposizione della mostra “Parchi del Nord, Parchi del Sud”, a cura della Regione Piemonte Servizio Parchi, Ente Parchi Astigiani, RE.TE.ONG, e con la consumazione di un aperitivo per sostenere la Campagna “Compriamo la Foresta”.



Inizio dibattito ore 19, con
• Vanda Bonardo(Presidente Legambiente Piemonte e Valle D’Aosta)

• Giangiacomo Bravo (Professore e Sociologo dell’Università di Torino, esperto di sostenibilità ambientale e di gestione delle risorse collettive)

Parteciperanno inoltre volontari di RE.TE, che illustreranno le attività a salvaguardia delle foresta primaria in Nicaragua, presentando la campagna “Compriamo la Foresta!”, per l’acquisto di parte della foresta primaria nell’Arcipelago di Solentiname (Nicaragua) e per l’appoggio alle popolazioni locali. La serata sarà l’occasione per un confronto ed un approfondimento sul tema della sostenibilità ambientale e la tutela delle risorse naturali.



Successivamente alla conversazione verrà proposta la proiezione del film “Home” (FRA, 1h e 33 min) di Yann Arthus-Bertrand e co-prodotto da Elzévir Films e EuropaCorp, compagnia di Luc Besson.
Il film è stato presentato a Giugno 2009 in occasione della giornata mondiale dell’ambiente. E’ composto da fotografie aeree riprese dai 5 continenti; i cambiamenti e gli impatti delle attività umane sul pianeta vengono raccontate da una voce fuori campo. Il film riesce ad incorniciare la bellezza della nostra casa, “Home” appunto, raccontando i pericoli a cui va incontro ogni giorno, in seguito alla sua distruzione derivante dalle attività umane perpetrate nel tempo. Il progetto è un ottimo lavoro di grande impatto da cui estrapolare spazi di riflessione su fragilità ambientale,sostenibilità e rapporto uomo-natura. E’ utile per aumentare il livello di consapevolezza sui pericoli a cui va incontro il pianeta Terra, la nostra unica casa.


"PIEMONTE chiama MONDO 2010 - Un intero mese dedicato alla cooperazione internazionale e all'educazione per una cittadinanza mondiale" è organizzato per il quarto anno consecutivo dalle Ong che aderiscono al Consorzio delle Ong piemontesi. Sul sito www.ongpiemonte.it è disponibile il programma con il dettaglio degli oltre 50 eventi nelle diverse località piemontesi.

venerdì 26 marzo 2010

Le foreste riprendono fiato ma metà pianeta è a rischio


ANTONIO CIANCIULLO, Repubblica

LA buona notizia è che la deforestazione è diminuita. La cattiva notizia è che si mangia ancora ogni anno una superficie grande quanto la Grecia. Negli anni Novanta sparivano 16 milioni di ettari di alberi all'anno, nel primo decennio del nuovo secolo si è scesi a 13 milioni. Sono le cifre contenute nel rapporto che la Fao ha appena reso pubblico: uno studio condotto ogni cinque anni che ha utilizzato il contributo di 900 specialisti in 178 paesi.
Il mantello verde del pianeta, fino a qualche decennio fa ancora dominante, si è progressivamente ristretto fino ad arroccarsi sul 31 per cento delle terre emerse. Ma questo dato, come tutti quelle precedenti, è destinato a essere rapidamente superato da un'erosione che continua a viaggiare a ritmi alti. Le perdite maggiori si sono registrate in America del Sud (4 milioni di ettari) e in Africa (3,4 milioni di ettari). In rosso anche l'Oceania, dove si continua a pagare lo scotto di un terribile periodo di siccità che ha colpito l'intero decennio. L'Asia invece ha i bilanci in positivo grazie a alla politica di rimboschimento sostenuta da Cina, India e Vietnam, anche se l'attacco alle foreste primarie non si è fermato. Stabile l'America del Centro Nord e in crescita la quota verde dell'Europa.
Il giudizio di Eduardo Rojas, vicedirettore della Fao è complessivamente positivo: "Per la prima volta il tasso di deforestazione mondiale sta scendendo grazie a sforzi condotti sia a livello internazionale che locale. I paesi non hanno solo migliorato le loro politiche di utilizzo delle foreste ma ne hanno anche assegnato l'uso alle popolazioni locali. Il tasso di deforestazione resta comunque alto e gli sforzi vanno raddoppiati".
In particolare vanno salvaguardate le foreste primarie, quelle non ancora intaccate, che costituiscono la roccaforte della biodiversità terrestre: oggi rappresentano il 36 per cento delle foreste totali ma hanno perso 40 milioni di ettari in 10 anni a causa del degrado, del taglio e della riconversione a usi agricoli. L'altro caposaldo della conservazione sono i boschi della rete dei parchi che dal 1990 è cresciuta di 94 milioni di ettari raggiungendo il 13 per cento della superficie complessiva delle foreste.
Nonostante il leggero miglioramento, la situazione dunque resta preoccupante. Gli incendi e gli attacchi dei parassiti colpiscono ogni anno l'1 per cento delle foreste. E, in assenza di un valido piano di intervento, il dato è destinato ad aggravarsi a causa dei cambiamenti climatici che stanno alterando il ciclo idrico. La deforestazione a sua volta accelera il processo del cambiamento climatico: a livello globale si calcola che nel periodo 2000 - 2010 lo stock di carbonio contenuto nella biomassa delle foreste si sia ridotto di 500 milioni di tonnellate.

martedì 26 gennaio 2010

L'Uruguay si adatta


di Marinella Correggia - da TERRA TERRA del Manifesto odierno

Si parla molti della necessità che i paesi si "adattino" ai cambiamenti climatici ormai in atto. Cambiamenti che senza una vera riduzione delle emissioni diventeranno presto devastanti come un terremoto.
In Uruguay, province meridionali si Canelones, Montevideo e San José, è iniziato un progetto di mitigazione e adattamento che, a differenza di progetti condotti in alcuni paesi industrializzati, è partecipativo perché prevede un ampio coinvolgimento della popolazione locale. Non è insomma il solito rapporto di esperti messo in mano a un governo per vedere l'effetto che fa.. Parteciperanno tutti: i rappresentanti politici a livello regionale, le università, le imprese pubbliche, le comunità locali, le imprese e gli esperti. Lanciato solo lo scorso settembre, il progetto promosso dall'Onu è tuttora nella fase di individuazione di strategie da parte di gruppi di lavoro nei diversi settori. Le tre province interessate sono abitate da due dei 3,3 milioni di uruguaiani e hanno un grande peso socioeconomico, producendo i due terzi del Pnl e la gran parte delle emissioni di anidride carbonica del paese. Anche se il principale gas serra prodotto dall'Uruguay non è la CO2 ma il metano, a causa della grande quantità di bovini colà allevati.
Uno degli obiettivi del l'intervento è realizzare uno sviluppo locale a basse emissioni grazie ad alleanze a livello di base. Come riferisce l'agenzia stampa Inter Press Service, il governatore provinciale di Canelones Yamandú Orsi è fiero: si vuole agire in concreto mentre i negoziati si limitano a traccheggiare, come ha dimostrato Copenaghen. Oltretutto, è da decisioni prese e livello regionale e locale, precisa il governatore, che dipende in Uruguay fra il 40 e il 75% delle emissioni di gas serra, legate a trasporti, viaggi, abitudini di consumo energetico e generale. Dunque le decisioni di mitigazione prese a questo livello sono molto importanti.
Al tempo stesso la regione scelta ha anche bisogno di imparare ad adattarsi all'evoluzione climatica. Le sue aree costiere devono temere l'innalzamento del livello dei mari, e 150mila persone abitano in bidonville, a elevata vulnerabilità sociale. Un'altra categoria a rischio sono i piccoli agricoltori, con la relativa insicurezza alimentare. Tanti fronti da «mappare», dunque, per decidere che fare. Ad esempio, l'esondazione del fiume Santa Lucia sarebbe gravissima perché nel suo bacino si trova l'unica stazione di pompaggio di acqua potabile di tutta l'area. Allora, ad esempio si potrebbe pensare di costruire una seconda stazione, pur attualmente ridondante.
Presentato alla Conferenza sul clima di Copenhagen il progetto ha sollevato molto interesse. Molti paesi africani, soprattutto Algeria, Senegal e Uganda, ma anche paesi europei e latinoamericani, hanno annunciato di voler replicare l'idea a casa propria.
E a proposito dell'innalzamento dei mari, in Gran Bretagna (dove vivono in aree costiere dieci milioni di persone) uno studio dell'associazione degli ingegneri civili e quella degli architetti («Facing up to Rising Sea Levels. Retreat? Defence? Attack?»), cerca di misurarsi con il futuro delle città costiere minacciate. Suggerendo che ad esempio Hull potrebbe essere lasciata allagarsi, spostando la popolazione e adottando il modello organizzativo di Venezia (ponti e barche). O invece bisognerebbe costruire nuovi spazi abitabili nelle acque, con piattaforme e piloni. Invece l'Agenzia per l'ambiente ha annunciato un piano di 570 milioni di sterline per costruire e mantenere barriere antiflutti.

venerdì 8 gennaio 2010

Brasile: riprende la caccia agli Indios


Osmair Martins Ximenes, indigeno Guarani del Brasile meridionale, è l'ultima vittima del conflitto tra allevatori e Indios in Brasile. Altri due membri della sua comunità, Kuretê Lopez e Ortiz Lopez, sono stati uccisi nel 2007 da sicari assolti dagli allevatori, nel tentativo di occupare le loro terre ancestrali.
Come previsto dalla Costituzione brasiliana, gli indios Guarani hanno richiesto il riconoscimento delle loro terre tradizionali, ma la burocrazia statale è lenta, mentre gli allevatori sono rapidissimi nell'espandere i propri possedimenti, spesso impiegando permessi falsificati. Nel 2007 la corte federale aveva imposto al governo di demarcare le terre tradizionali degli indios, ma al progetto si sono fieramente opposti gli allevatori, che già occupano gran parte delle terre indigene, e anche il governo ha ostacolato lo sviluppo del progetto.
La sentenza avrebbe dovuto aiutare gli Indios a vedere i propri diritti riconosciuti, ma la reazione degli allevatori ha riacceso il conflitto. Lo scorso dicembre, una ventina di Guarani sono stati torturati mentre tentavano di occupare le proprie terre nel comune di Iguatemi, presso la frontiera col Paraguay. Questo gruppo di Guarani era stato espulso negli anni cinquanta dagli allevatori, e costretto da allora a vivere nelle riserve di Sassoró e Porto Lindo. In quell'occasione i vigilantes hanno legato gli indios sui camion, li hanno sottoposti a percosse e usati per il tiro al bersaglio.
Lo scorso ottobre, nel corso di un attacco a fuoco da parte di sicari degli allevatori presso la città di Paranhos, i maestri di scuola Rolindo Vera e Genivaldo Vera sono scomparsi.

Ferma la caccia agli Indios
Scrivi al Ministro brasiliano per proteggere i Guarani!

martedì 29 dicembre 2009

Madagascar: fermate il saccheggio!


Le foreste del Madagascar sono un patrimonio unico al mondo, caratterizzate da specie animali e vegetali che non si trovano in nessun'altra parte del mondo. Lo sfruttamento delle risorse forestali versa in uno stato di completa anarchia, ed è gestito da gruppi armati che saccheggiano il palissandro e altri legni di pregio, per spedirli in Cina, dove vengo lavorati e smistati in tutto il mondo. Il legname illegale viene caricato nel porto di Vohemar e trasportato dalla compagnia di navigazione Delmas, una sussidiaria belga del gruppo francese CMA-CGM.

Diverse associazioni malgascie hanno richiesto alla Delmas di fermare il traffico di legno illegale. Malgrado le prove circa la provenienza illegale del legname, la Delmas si è rifiutata di fermare le spedizioni, sostenendo di avere tutti i permessi di trasporto.

Ogni giorno 460.000 dollari di legname pregiato viene rubato dai parchi nazionali e da altre aree di foresta nel nord-est del paese. Il legname viene poi trasportato nel sud della Cina: Hong Kong, Dalian, Shanghai, Ganzhou. Tra il 1998 e il 2008, le importazioni cinesi di legname tropicale sono quadruplicate, arrivando a 45 milioni di metri cubi annui.

Un rapporto investigativo sullo sfruttamento illegale delle foreste malgascie è stato recentemente rilasciato da Global Witness e dall'Environmental Investigation Agency.

L'associazione Reganwald ha promosso una petizione per chiedere alla Delmas di fermare il saccheggio in Madagascar.


fonte:www.salvaleforeste.it

mercoledì 23 dicembre 2009

Alberi di natale ecologici?


Senza albero non è Natale. Ma è davvero così? I riti legati agli alberi sono stati diffusissimi in tutta l'antichità, anche nella penisola italica. L'abete natalizio è però una tradizione germanica, osteggiata dalla Chiesa cattolica fino al quindicesimo secolo perché considerata pagana. Con l'arrivo dell'inverno, i popoli germanici piantavano un albero decorato di festini e ghirlande per augurare la rinascita della terra dopo il periodo del gelo. L'albero veniva poi bruciato e la sua cenere, posta sui campi, assicurava la crescita delle messi in primavera e estate.
Anche se tutti ritengono si tratti di una antichissima tradizione delle nostre terre, l'abete natalizio è comparso solo alla fine dell'Ottocento in Italia, e ha iniziato a diffondersi assieme ai prodotti del consumo di massa.Negli ultimi anni si sono poi diffusi gli "alberi ecologici" in plastica colorata, ma come tutti gli oggetti in plastica, non sono molto ecologici, specie quando vengono abbandonati in strada dopo una settimana di utilizzo (peggio ancora se la plastica non è riciclabile).Anche l'albero vivo può rappresentare qualche problema. Per esempio, che farne dopo le feste? Portare un albero nel clima caldo e secco di un appartamento riscaldato gli procura senza dubbio un trauma cui non molte piante resistono. Se l'albero sopravvive, non sempre è una buona idea quella di piantarlo in giardino o, peggio, nel vicino bosco. L'abete rosso, che è il più utilizzato a Natale, è adatto alle zone montane dell'arco alpino, ma nelle regioni più meridionali può essere addirittura nocivo, come ogni specie aliena. Meglio allora cercare in vivaio un corbezzolo, un viburno, un leccio o un alloro, che possono essere piantati nella regione senza danno. Anche se l'abete è una tradizione germanica, riti legati agli alberi e al rinnovo della vita si svolgevano anticamente anche nelle regioni mediterranee, impiegando però specie locali. Un abete natalizio, in una regione litoranea, può essere solo destinato al compostaggio, e non al cassonetto.In ogni caso, l'albero deve sempre venire da un vivaio, in grado di garantire che la pianta non sia stata sradicata nei boschi. Infatti è più difficile verificare se l'albero provenga da sfoltimenti autorizzati, in questo caso fa fede la certificazione Forest Stewardship Council. Purtroppo molte piante (anche senza radici) sono importate dall'est europeo e dalla regione balcanica, dove i tagli illegali sono ancora frequenti.
www.salvaleforeste.it

domenica 20 dicembre 2009

Copenaghen, ballando sul baratro



Clima, emissioni e foreste: accordo al ribasso, o meglio, niente accordo a Copenaghen: il clima e le foreste possono andare a ramengo. Il testo concordato da Stati Uniti, Cina, India, Brasile e Sudafrica, sembra un semplice pacco attorno al nulla: nessun obiettivo vincolante, niente target di emissioni per ciascun paese, nessun serio obiettivo per il 2020 o per il 2050. Unico numero fornito: le temperature globali non dovranno aumentare più di due gradi. Ma senza misure concrete, è come se si volesse intimare al clima di regolarsi da solo. "Fermati o sole", disse Giosuè. Numerosi paesi di Africa, Oceania e America Latina si sono rifiutati di fermare l'accordo, definendolo una vergogna. La formula adottata - "prendere nota" - evidenzia la mancanza di accordo.
Il piano per la protezione delle foreste (Reducing Emissions from Deforestation and Degradation - REDD), è affondato assieme all'accordo sul clima, e ora si dovrà aspettare un altro anno.Nel corso delle negoziazioni, Stati Uniti e Colombia avevano eroso il testo dell'accordo, tentando di escludere i diritti indigeni dalla gestione delle foreste. Ora l'intero pacchetto è stato congelato, in attesa che sia definito il trattato sul clima.Ogni anno vengono abbattuti 13 milioni di ettari di foreste, producendo circa un quinto delle emissioni globali di gas serra. "Il fallimento del processo volto a creare un sistema che finanzi e regoli la protezione delle foreste del pianeta si tradurrà nella prosecuzione del taglio e della conversione delle foreste in piantagioni - ha commentato Stephen Leonard, dell'Australian Orangutan Project - i popoli delle foreste non avranno protezione, e altre specie minacciate si estingueranno".

venerdì 18 dicembre 2009

Tramonto su Copenaghen


Mentre l'ultimo giorno del caotico vertice di Copenaghen lascia il mondo col fiato sospeso, nella speranza di un accordo in extremis, un nuovo avvertimento sottolinea l'urgenza di un'inversione di rotta: un recente studio promosso dalla Air Pollution Climate Secretariat e dal Taiga Rescue Network avverte come le foreste boreali rischiano a breve di essere tagliate fuori dalla crescita delle temperature globali. Ossia, un'altra imprevista valanga di emissioni in atmosfera.

Le maratone notturne nel tentativo di stilare giù un accordo, difficilmente riusciranno a salvare il vertice, che sembra destinato a concludersi con un nulla di fatto, rimandando ogni decisione a un'eventuale summit bis da tenersi il prossimo marzo in Svezia. L'unica cosa certa sono i rapporti scientifici che continuano ad accumularsi sui tavoli di negoziatori, e tutti avvertono che le conseguenze del cambiamento climatico finora sono state sottovalutate.

E' il caso delle foreste boreali, che custodiscono un terzo del carbonio sequestrato dalle foreste in tutto il mondo. Queste foreste sembrano ormai condannate. Infatti la lentezza vegetativa che caratterizza gli ecosistemi boreali, impedirà loro di seguire lo spostamento delle fasce climatiche, e comunque in breve potrebbero non avere più un luogo in cui migrare.
Secondo gli autori di Boreal Forest and Climate Change, alle foreste boreali non resterà che morire. Molte di queste foreste si trovano in aree remote, ancora lontane dallo sfruttamento forestale, ma gli effetti del cambiamento climatico arriveranno ovunque. E il carbonio custodito rischia di tornare rapidamente in atmosfera, alimentando ulteriormente questo circolo vizioso.
Insomma, non resta che sperare nel rush finale. Ma il margine non è ampio. La credibilità del vertice è minata dalla mancanza di trasparenza, dai vertici paralleli, dall'espulsione della società civile, dalla brutale repressione delle proteste, e soprattutto dalla palese mancanza di volontà politica dei paesi che emettono più gas serra.

fonte: www.salvaleforeste.it

giovedì 17 dicembre 2009

Le voci del Klimaforum


da TERRA TERRA del Manifesto, 16.12.2009
di Marina Forti

È un complesso di capannoni ai bordi di Sydhaven, un braccio del porto. La vecchia architettura di mattoni rossi conserva il suo fascino, ora c'è un teatro, un'esposizione permanente di arte contemporanea e grandi spazi aperti. Difficili da usare, nel gelo della Copenhagen invernale: pochi i volontari del Klimaforum, intirizziti, sotto il tendone-cafeteria. Altri sono sparsi nella sala dove ogni mattina alle 8 un gruppo di adepti di filosofie orientali è in seduta di meditazione, o nella casetta dove ha sede logistica l'organizzazione del forum, basato sul lavoro di decine di volontari. Molti sono giovani e vengono da paesi esotici. Altri sono di qui: come Birte Pedersen, capelli grigi e berretto di lana, abitante di Christiania ancora indignata per l'accanimento della polizia («che pensano di fare, di arrestarci tutti preventivamente?»).
Il forum vero e proprio è poco oltre, in un grande complesso moderno d'acciaio e vetrate al limitare di Vesterbro, ex quartiere operaio in via di rinnovamento urbano. Qui il Klimaforum tiene bottega dal 7 dicembre con decine di seminari ogni giorno, incontri «di richiamo» con i grandi nomi del movimenti no-global mondiale, piccoli «scoop» - come quando arriva il presidente delle Maldive, quello che aveva riunito il suo governo sott'acqua per mostrare al mondo cosa rischiano le piccole isole dei mari del sud. Qui aspettano, il 17, la visita di Hugo Chavez e Evo Morales, i presidenti di Venezuela e Bolivia - pilastri dell'Alba, «alternativa bolivariana» dell'America latina. C'è l'auditorium per gli incontri più affollati, ci sono tavolini per sostare sul corridoio sopraelevato che scavalca la piscina - già, perché questo è in tempi normali, un centro sportivo e culturale dalla storia interessante: era un sito occupato, poi la municipalità di Copenhagen l'ha assegnato agli occupanti che hanno formato una specie di cooperativa di gestione, oggi funziona egregiamente e si autofinanzia. Quel che resta della socialdemocrazia scandinava.


Ieri nell'auditorium del Klimaforum si discuteva di Redd, uno degli aspetti più criticati dei negoziati in corso alla conferenza dell'Onu sul clima: sta per «ridurre le emissioni (di gas di serra) da deforestazione nei paesi in via di sviluppo», e ruota attorno all'idea di assegnare un valore finanziario all'anidride carbonica sequestrata dalle foreste e avviare un meccanismo in cui paesi ricchi paghino quelli in via di sviluppo perché proteggano le foreste medesime. Ieri Camila Morena, del Friends of the Earth Brasile, parlava di Redd visti da chi vive in Amazzonia: «Così trasformano un bene comune, la foresta di cui le nostre popolazioni contadine e indigene sopravvivono, in un bene commerciabile». I progetti Redd, si chiede, «saranno esempi di gestione forestale comunitaria o una gestione commerciale?». A chi resterà il controllo, sarà garantita la sovranità degli abitanti sulle foreste che hanno sempre gestito in modo sostenibile in una piccola economia locale? «A giudicare da esperienze viste in Africa temiamo la corsa a «vendere» lotti di foresta da gestire in modo «sostenibile» si risolverà in ulteriore espropriazione delle popolazioni locali. Nelle altre sale si discute di piccola agricoltura sostenibile, dei rischi delle «energie verdi» su larga scala, di cambiamento di clima in Africa, di progetti eco-sostenibili in Germania. A volte discorsi generici, rischio dei forum alternativi che si limitano alla testimonianza. Altre volte molto concreti e di fondo, con studi e cifre. Ma non c'è nulla da fare: le voci del Klimaforum non arrivano al Bella Centre, il centro congressi dove è riunita la conferenza dell'Onu.

mercoledì 16 dicembre 2009

Foreste e clima: roulette africana

Il Bacino del Congo è la seconda foresta pluviale del pianeta, 1,8 milioni di chilometri quadrati di foreste, e l'habitat di tre dei grandi primati: gorilla, scimpanzè e bonobo. Questo patrimonio è ora minacciato da i termini dell'accordo discusso in questi giorni a Copenaghen sul legame tra clima e foreste (REDD). Secondo uno studio, presentato dalla Fondazione Heinrich Böll, il meccanismo REDD, volto a finanziare la protezione delle foreste per ridurre le emissioni, rappresenta un'occasione unica per affrontare i problemi annosi della deforestazione in africa: governance, corruzione, proprietà dei terreni, diritti dei popoli indigeni. Ma se questi problemi non saranno affrontati e risolti, li stesso REDD rischia di trasformarsi un un boomerang, un ulteriore incentivo alla deforetazione.
Politiche sul clima nel Bacino del Congo: un gioco d'azzardo? La domanda è posta dal rapporto redatto da Korinna Horta of International Finance, di Development and Environment, per conto della Fondazione Heinrich Böll(Global Climate Politics in the Congo Basin: Unprecedented Opportunity or High-risk Gamble?).
Secondo lo studio il meccanismo REDD, volto a finanziare la protezione delle foreste per ridurre le emissioni, rappresenta un'occasione unica per affrontare i problemi annosi della deforestazione in africa: governance, corruzione, proprietà dei terreni, diritti dei popoli indigeni. Ma se questi problemi non saranno affrontati e risolti, li stesso REDD rischia di trasformarsi un un boomerang, un ulteriore incentivo alla deforetazione.
Il taglio illegale ancora caratterizza molte delle operazioni forestali su scala industriale, in cui prevale un sistema di saccheggio che premia elite corrotte e imprese straniere, a svantaggio degli ecosistemi e delle comunità locali. Gli esperimenti fin'ora avviati dalla Banca Mondiale nell'area, con il Forest Carbon Partnership Facility sembrano andare proprio nella direzione sbagliata. Due anni fa una stessa indagine interna della Banca Mondiale riconosceva come le politiche dell'Istituzione nella Repubblica Democratica del Congo avessero incoraggiato lo sviluppo dell'industria del legno, ai danni della salvaguardia dell'ambiente e dei popoli indigeni. E proprio in questi giorni, a Copenaghen, la Banca Mondiale si vede riconoscere la gestione finanziaria del REDD.
fonte: www.salvaleforeste.il

martedì 15 dicembre 2009

Pagati per deforestare? I paradossi da "REDD"

All'inizio dell'anno Norvegia e Guyana hanno firmato un accordo da 250 milioni di dollari, volto a ridurre le emissioni di gas serra riducendo la deforestazione nella regione amazzonica. La scorsa settimana, nel corso di una visita a Londra, il Presidente della Guyana ha ammesso che ai sensi dell'accordo, il tasso di deforestazione del paese potrebbe crescere invece che diminuire.
Infatti il piano prevede che la deforestazione del paese resti al di sotto dello 0,5 per cento. Ossia, la soglia prevista è più alta di quella attuale (0,45 per cento). Marte Nordseth del Norway International Climate and Forests Initiative ha commentato con stupore: da parte norvegese c'era la convinzione che l'accordo, firmato mesi fa, prevedesse la riduzione della deforestazione, non un suo aumento.Ulteriori dettagli sul sito di REDD Monitor

sabato 12 dicembre 2009

Attenti ai brooker del carbonio!


Si chiamano carbon brooker. Sono veri e propri agenti commerciali, ma non trattano merci, e neppure titoli di borsa, ma un nuovo prodotto finanziario basato sul nulla: i crediti di carbonio.
Il REDD è lo schema Onu in via di definizione volto a ridurre le emissioni di gas serra provenienti dalla deforestazione e dal degrado delle foreste. Ben accolto per l'opportunità di fermare la deforestazione, il REDD è ora oggetto di contesa tra diverse impostazioni.

L'industria vede il REDD come un sistema basato sul mercato: è possibile emettere gas serra, a patto di acquistare "crediti" di carbonio. Per gli ambientalisti invece, questa rischia di diventare una scappatoia per continuare ad emettere, dato che un programma di protezione forestale costa molto di meno degli investimenti necessari a sviluppare le tecnologie per la riduzione delle emissioni. Conseguentemente, preferirebbero uno schema REDD affiancato - e non integrato - al mercato dei crediti di carbonio.
Intanto un mercato truffaldino dei crediti di carbonio si è già sviluppato. Il ministro delle foreste indonesiano Wandojo Siswanto ha recentemente messo in guardia verso la nuova falange di brooker del carbonio, che già commercializzano i crediti legati a progetti REDD (reducing emissions from deforestation and forest degradation). Lo schema REDD non è ancora definito, e già un esercito di piazzisti vende opzioni basate sul nulla: "offrono progetti che promettono laute entrate a governatori e sindaci di Sumatra e Kalimantan, ma non ci sono programmi, e ad oggi nelle casse dell'amministrazione non è finito un solo centesimo" ha spiegato il ministro. L'amministrazione della provincia di Aceh ha annullato uno di questi progetti pochi minuti prima della cerimonia della firma: si erano accorti in tempo che il progetto era una scatola vuota.

fonte: www.salvaleforeste.it

Danimarca, prime proteste a Copenaghen

La polizia ha arrestato 68 persone durante le manifestazioni ambientaliste di ieri.
7 sono italiani.
Sessantotto arrestati. E' questo il bilancio della prima manifestazione organizzata dai gruppi ambientalisti a Copenaghen nella giornata di oggi. Le proteste sono iniziate intorno alle 10 del mattino quando circa 250 protestanti hanno attraversato Nytorv Square secondo quanto previsto dal piano d'azione pubblicato fin dall'inizio di questo mese dal sito internet notyourbusiness.hacklab.dk. Testimoni hanno raccontato che fra la folla circolavano alcune fotocopie con indicazioni precise riguardanti 15 bersagli da colpire durante le proteste. "L'obiettivo - riportava il volantino - non è tenere una dimostrazione di strada ma individuare i punti nevralgici e distruggerli". La polizia danese, dispiegata con centinaia di uomini, ha controllato i disordini anche grazie all'ausilio degli elicotteri. Per sabato prossimo è prevista una seconda marcia che dal centro della città raggiungerà il palazzo che ospita la conferenza delle Nazioni Unite.
fonte: www.peacereporter.net

mercoledì 9 dicembre 2009

Foreste, non alberi da taglio


di Marinella Correggia
DA TERRA TERRA - Il Manifesto

Il taglio di 13 milioni di ettari di foreste ogni anno nel mondo provoca oltre il 17% delle emissioni di gas serra antropiche. Le compagnie forestali sostengono che la riforestazione possa giocare un ruolo nel mitigare il riscaldamento globale assorbendo anidride carbonica; alberi di piantagione dunque come pozzi di carbonio, in grado di compensare le emissioni. Secondo i critici, invece, in Brasile, Uruguay, Argentina le dette compagnie stanno tagliando foreste naturali e trasformando praterie in piantagioni di eucalipto, pini e altri alberi non autoctoni a crescita elevata, per sviluppare la produzione di legno, polpa di pegno e carta su larga scala.
Nelle scorse settimane organizzazioni di donne rurali e gruppi ambientalisti (fra cui il World Rainforest Movement-Wrm) nella regione hanno cercato senza successo di farsi ascoltare, con una dichiarazione presentata al Tredicesimo congresso forestale mondiale tenutosi a Buenos Aires sotto gli auspici della Fao con settemila partecipanti da 160 paesi. Le «soluzioni verdi al cambiamento climatico» sono state ovviamente al centro dei dibattiti. I gruppi industriali hanno sostenuto che le foreste naturali non possono più coprire la crescente domanda di legno e che occorre aumentare le «harvested forests» (potremmo tradurre con «foreste da raccolto»). E la causa della distruzione delle foreste naturali non sarebbe questa espansione di alberi coltivati bensì l'espansione della frontiera agricola. Il Congresso forestale si è concluso con un consenso intorno a due obiettivi: zero deforestazione entro il 2020, e ricerca di alternative per aumentare la produzione di legname.
Ma gli attivisti non sono d'accordo; nel loro documento, come riporta Inter Press Service, dichiarano: «Noi rifiutiamo le piantagioni monocolturali e i progetti di pasta di legno e cartiere, per il loro impatto negativo sulle vite delle famiglie rurali, spinte a vendere le loro terre agricole e a migrare in città, per i pochissimi e precari lavori che vengono creati, per l'esaurimento delle risorse idriche (anche se in effetti dipende dalla pluviometria delle aree interessate), il degrado della fertilità dei suoli e anche il degrado del tessuto sociale». Il documento è stato ignoato dai partecipanti al Congresso forestale.
Lo studio «Brasile: donne ed eucalitpi, storie di vita e resistenza» stima che in Brasile le piantagioni da taglio coprano già oltre cinque milioni di ettari. Nello stato di Espírito Santo, la compagnia Aracruz Celulosa ha piantato 128.000 ettari su terre di indios e di quilombola (le comunità di afrodiscendenti); c'erano in quell'area 40 villaggi, ora ne sono rimasti sette e delle 10mila famiglie quilombola ne sono rimaste 1.200.
L'Uruguay ha circa un milione di ettari di foreste da raccolto. Rispetto alla superficie totale del paese, di 17,6 milioni di ettari, non sembrerebbe tanto, ma l'impatto sugli ecosistemi e sulle donne rurali non è indifferente. In Argentina le monocolture arboree sono cresciute di oltre un milione di ettari e se ne prevede un forte aumento nei prossimi anni; il governo accetta l'idea che così si combatte il cambiamento climatico. Ma le attiviste e il Wrm sostiene che puntare su questo tipo di «pozzi di carbonio» è uno al solito uno degli escamotages per non tagliare drasticamente le emissioni.
Rimane l'impasse: se si dà per scontata e irriformabile la domanda globale di legname da carta e da costruzioni, e al tempo stesso occorre proteggere le foreste naturali anziché tagliarle, dove si troverà la materia prima?