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venerdì 15 maggio 2009

Discriminazione omicida

08/05/2009 da PEACEREPORTER

In Guatemala, una donna al giorno viene assassinata. Storie e opinioni su un fenomeno gravissimo strettamente legato a una società misogina e mafiosa

Più di 4300 donne sono state assassinate in Guatemala negli ultimi otto anni, con un aumento nel periodo 2002-2008 del 457 percento. Sono questi i termini della denuncia delle associazioni di donne guatemalteche, riunite a Città del Guatemala nella Plataforma de Mujeres Artistas seguendo lo slogan "Non più femminicidi".

Cifre da capogiro. Con l'occasione, è stato segnalato che l'organismo giudiziario ha ricevuto nel 2008 un totale di 39.400 denuncie di violenza familiare, nel 90-95 percento dei quali erano coinvolte delle donne. Una situazione allarmante, aggravata dal fatto che nel paese centroamericano "il sistema della giustizia non porta in giudizio né castiga i colpevoli. L'impunità negli omicidi delle donne è quasi assoluta, nel 98 percento dei casi non si ha giustizia penale", spiegano in un documento appena stilato.
Secondo il Gruppo guatemalteco delle donne (Gmc) fra gli anni 2007 e 2008 1.414 donne sono decedute per morte violenta, le denuncie sono state 1101 e le sentenze solo 185 (121 condanne e 64 assoluzioni). La relatrice della Commissione internazionale contro l'impunità, (Cicig), Susana Villarán, uno degli elementi che favoriscono l'impunità "è la debolezza imperante nelle istituzioni pubbliche incaricate di portare avanti le indagini". Uno dei fatti più preoccupanti, secondo lei, è la chiusura del Ministero apposito responsabile dell'unità delle indagini nei casi di femminicidio e in temi legati ai diritti umani.
Nonostante nel paese sia stata recentemente approvata una legge contro questo crimine e altre forme di violenza contro le donne, le associazioni femminili denunciano "vuoti" enormi, come la scarsa coordinazione tra la Polizia nazionale civile e la Giustizia, o la creazione di un pool che indaghi sui delitti contro la donna o anche l'organizzazione di giornate per informare. Per il Govenro guatemalteco la sicurezza della donna "non è una priorità".

Ma che tipo di violenza si scatena contro le donne? "Si tratta di forme di violenza diversificate. Si verificano episodi di vessazioni come violenza carnale, torture ai genitali, squartamenti, tutti da catalogare sotto la voce ‘intimidazione'. C'è comunque sempre crudeltà, ferocia e odio.
"Molte di queste donne sono morte in circostante brutali - spiegano Patricia Masip Garcia e Sandra Pla Hurtado di Amnesty International - Ad accomunare la maggior parte di questi delitti è comunque la violenza sessuale e le mutilazioni trovate sul corpo delle vittime ricordano molto quelle commesse durante la guerra civile". Secondo Amnesty, comunque, la vera dimensione dei femminicidi in Guatemala resta sconosciuta, da qui il dito puntato, ancora un volta, sulle forze dell'ordine e le autorità tutte. La maggioranza di queste donne ammazzate sono casalinghe, studentesse e professioniste. Molte vengono dai settori poveri della società, lavorano sottopagate come donne di servizio, o in negozi o in fabbrica. Alcune sono immigrate in Guatemala dai paesi limitrofi, altre erano membri o ex membri di bande giovanili e coinvolte in giri di prostituzione. La maggioranza sono tra i 13 e i 40 anni. "Al centro della crisi dei diritti umani che affrontano le donne guatemalteche c'è la discriminazione di genere, insita anche nella scarsa risposta delle autorità di fronte a tali crimini - spiega .... - Alcuni funzionari qualificano le vittime come membri di bande o prostitute, facendo trapelare un'attitudine discriminatoria contro di loro e le loro famiglie, che condiziona anche le indagini e la maniera di documentare i casi, includendo persino la decisione se indagare o documentare. E, a quanto dichiarato ufficialmente, nel 40 percento dei casi si archivia punto e basta". Cifra che si trasforma in un 70 percento secondo il Procuratore dei diritti umani del Paese.

La storia di Clara Fabiola è esemplificativa di quello che è il connubio donne-violenza-impunità in Guatemala. Ventisei anni, fu ammazzata il 4 luglio 2005 a colpi di pistola in pieno centro a Chimaltenango, nel sud del paese. Morì poco dopo all'ospedale. Due anni prima, il 7 agosto 2003, Clara Fabiola aveva assistito all'omicidio delle sue due sorelle, Ana Berta ed Elsa Mariela Loarca Hernàndez, di 15 e 18 anni, uccise a Città del Guatemala. Nel febbraio 2005, la sua testimonianza fu chiave per condannare a cento anni di carcere il marero (le maras sono le gang delle zone più malfamate del Centroamerica) Oscar Gabriel Morales Ortiz, alias "El Smol", il quale giurò davanti ai mass media che gliel'avrebbe fatta pagare. Così è stato, ma nessuno mai è stato processato per l'omicidio della testimone scomoda.

"Il Guatemala è intriso di violenza - ci racconta Margriet Poppema, docente all'Università di Amsterdam e ricercatrice sul tema "Educazione e sviluppo in società multiculturali", appena rientrata dal Guatemala - La ferocia è strutturale e fa comodo alla cupola di potere con la quale la stessa politica deve fare i conti, ogni giorno. Anche l'attuale presidente, Colom, che sta smuovendo qualcosa in molti settori del sociale, ha le mani legate davanti a questo. E la questione della misoginia aggrava il quadro. La donna è da sempre l'anello debole in una società impregnata di machismo. E in un paese dove essere violenti è la norma, diventa altrettanto normale abusare, violare, mutilare, uccidere la femmina, che altro non è se non la creatura al servizio del maschio. Quasi fosse una sua proprietà. La cosa più scioccante è che nel paese mai si parla di questo. Non fa notizia, si preferisce ignorare. Tra le donne c'è un casto pudore misto a paura, e l'impunità rende tutto più crudele. È la longa manu del potere parallelo che tutto controlla e manovra, plasmando la società".

Stella Spinelli

domenica 9 marzo 2008

MISSIONE IN GUATEMALA

Il nostro Presidente, Nino Casciaro, è partito ieri per il Guatemala, insieme ad un caro amico di RE.TE. Gerardo Catale, per una missione di monitoraggio nella Valle di Palajunoj, nel Municipio di Quetzaltenango, sul progetto consortile di Sviluppo Rurale Integrato nella Valle del Palajunoj.

martedì 27 marzo 2007

ritorno dal guatemala













Sembra esserci maggiore attenzione recentemente per l’area centroamericana e per il Guatemala, scomparsi per anni dalla scena: lo dimostrano anche le visite di Bush in Guatemala e Chavez in Nicaragua, la cumbre latinoamericana dell’IBD a Guatemala e quella dei popoli indigeni del continente che ha appena avuto luogo, con l’intenzione di “decontaminare” i luoghi della visita di Bush.

Il primo maggio si avvia la campagna elettorale per l’election day, quando il 9 settembre si voterà per il presidente, il parlamento, il parlamento centroamericano e le amministrative. Molti lavori vengono fatti in questo periodo in tutto il paese, bloccandolo, per conquistare voti a favore dei politici in carica.
La partecipazione politica nel paese è molto limitata, in genere moltissimi votano per chi pensano vincerà, indipendentemente dal suo programma politico. Alcuni partiti stanno cominciando a fare le primarie, introducendo un fattore in più di democrazia.
Rigoberta Menchú, nobel per la pace, si candida a presidente; questo è un fattore positivo perché può aprire spazi di partecipazione al potere degli indigeni e un’attenzione maggiore ai diritti umani. Si considera però che non abbia possibilità di vincere, almeno a questo turno, bensì solo di ottenere seggi in parlamento. C’è anche da dire che Rigoberta Menchú non è amata dagli indigeni nel paese, lo è molto di più a livello internazionale; molti sembrano intenzionati a non votarla contro la sua figura, pur essendo molto vicini al suo programma politico di sinistra.

Noi lavoriamo nella valle del Palajunoj, che si apre da Quetzaltenango, la seconda città del paese che tutti chiamano Xela per brevità (il suo vecchio nome maya è Xelajù).
La zona della Valle è complicata: vi hanno fallito molti interventi di istituzioni pubbliche e private. È inoltre sempre utilizzata come cavallo di battaglia in periodo elettorale, essendo la popolazione rurale più influenzabile di quella urbana. Tante promesse e tentativi hanno quindi creato una sfiducia e disillusione diffusa. I risultati sono stati pochi e la zona è stata sempre emarginata.
È in atto una grande trasformazione del Valle da rurale ad urbano, soprattutto nella bassa valle: l’intera area è maggiormente popolata e non si sostenta più solo sull’agricoltura, anche se quasi tutte le famiglie hanno una piccola milpa (campo di mais), qualche animale e un po’ di bosco. Tuttavia moltissimi lavorano nelle costruzioni e l’attività edile è in fermento. I giovani studiano di più e mirano in massa a trasferirsi in città: avviene quindi una separazione generazionale anche tra settori produttivi.

È in atto anche una perdita di identità culturale. La migrazione all’estero è abbastanza diffusa: migrano le persone di profilo medio, i leader comunitari, non i più poveri (servono 4 mila euro per un coyote che faccia “passare dall’altro lato”, gli USA).
I momenti di unione comunitari sono pochi: un’assemblea all’anno, la festa patronale, i comitati per l’acqua. In questo senso il progetto sta iniziando ad avere un ruolo positivo per mezzo della facilitazione di un’istanza comune ancora informale: per ora, questo è il risultato più importante raggiunto.

Le comunità avevano partecipato al progetto in misura limitata, almeno inizialmente. Questo è dovuto alla disgregazione sociale, a sua volta causata da vari fattori:
- La storia irrisolta del conflitto.
- La vicinanza del centro urbano e l’apporto a livello familiare delle rimesse degli emigrati negli USA.
- L’esperienza di troppe promesse ed attese di progetti che ha portato sfiducia e disillusione.

Daniela