giovedì 27 settembre 2012

“La trappola”: l'odissea dell'emigrazione, il respingimento, la rinascita


CLARISTE SOH MOUBE INCONTRA GLI STUDENTI
DELL'IIS GALILEO FERRARIS DI SETTIMO TORINESE



In arrivo dal Mali Clariste Soh Moube, autrice del libro La trappola e giovane voce dell'altermondialismo africano

Una giovane donna, africana, calciatrice. Un sogno, l'Europa, che chiama Mbeng. Il racconto di un viaggio che è una vita – settemila chilometri in otto anni. Un percorso lungo e tortuoso nel tempo e nello spazio, aggrappata al football per avvicinare l’Europa. La storia di un inganno, di un sogno – la fortezza Mbeng – che è illusione. E la narrazione di una rinascita, ritornando all’Africa.
E' la sintesi del libro-testimonianza La Trappola, scritto dalla camerunese Clariste Soh Moube nel 2009 e di recente pubblicato in Italia da Infinito edizioni con le prefazioni di Aminata Traoré, Dagmawi Yimer e Giulio Cederna.

Dalla fine della sua odissea Clariste vive a Bamako, in Mali, dove a fianco di Aminata Traorè – una delle grandi voci dell'altermondialismo africano - lavora come assistente ricercatrice presso il Centro Amadou Hampaté Ba.

In Italia in questi giorni per un tour di presentazioni del libro che la porterà anche a Ferrara ospite del Festival d'Internazionale, Clariste consentirà anche di inquadrare l'attuale situazione e le prospettive del Mali, suo paese d'adozione, dopo il colpo di stato di marzo e la successiva divisione tra il sud del paese e il nord in mano ai gruppi jihadisti Aqmi (Al Qaida nel Maghreb Islamico) e Ansar Dine (Difensori della Fede).

Tra le numerose iniziative organizzate in diverse località italiane in collaborazione con le associazioni Il Mondo nella Città di Schio, Cuamm Piemonte e Apertamente di Biella, patrocinatrici del libro, e Infinito Edizioni,
Clariste sarà a Torino 3 ottobre 2012 per incontrare dalle 11.00 alle 13.00 gli studenti dell'Istituto Istruzione Superiore Tecnico e Professionale "Galileo Ferraris" di Settimo Torinese (TO), presso la Sala Levi della Biblioteca Archimede (Piazza Campidoglio, 50 – Settimo Torinese) che in collaborazione con l'Ong RETE stanno partecipando al progetto promosso dal Consorzio Ong Piemontesi e intitolato "DIARI DI VIAGGIO - Educare ad una cittadinanza mondiale condividendo a scuola le esperienze di migrazione" cofinanziato dall'Unione Europea e dal Ministero dell'Interno nell'ambito del Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi terzi 2011 .

Nella serata della stessa giornata, in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino e con il Consorzio Ong Piemontesi, Clariste presenterà il suo libro alle ore 20.30 presso la Bibliomediateca “Mario Gromo” in Via Matilde Serao 8/A a Torino.
Seguirà dibattito e visione del film Aspettando la felicità regia di Abderrahmane Sissako, Francia/Mauritania, 95’, col.



lunedì 24 settembre 2012


Mali : Un accordo tra Bamako e la CEDEAO sull’invio d’un contingente militare africano.
Il Mali e la Comunità Economica dei paesi dell’Africa Occidentale ( CEDEAO) domenica  hanno finalmente trovato  un accordo sulle condizioni d’invio d’un contingente militare africano in vista di un’eventuale  operazione volta a  riconquistare il Nord, da sei mesi sotto il controllo degli islamici.
“Dovremmo  apprezzare quest’accordo, ottenuto con i nostri fratelli maliani. Possiamo finalmente dire che il Mali e la CEDEAO  sono d’accordo  a operazioni militari sul territorio maliano” ha dichiarato il rappresentante della Comunità Economica dell’Africa Occidentale, l’ivoriano Paul Koffi Koffi.
Per concludere quest’accordo è attesa in Bamako una delegazione della CEDEAO nei prossimi giorni, come annunciato all’AFP (Agence FRance-Presse) dai Ministri della Difesa del Mali e della Costa d’Avorio, dopo un incontro con il presidente ad interim del Mali, Dioncounda Traoré.
I dettagli di quest’accordo non sono ancora disponibili ma almeno un elemento essenziale è  stato chiarito: se gli eserciti della CEDEAO interverranno in Mali, la loro sede sarà ‘naturalmente’ in Bamako, ha preciso il ministro maliano della Difesa, Yamoussa Camara.
 ‘Quando si parla di truppe , si intende truppe della CEDEAO  e non di stranieri. E su questo, il Mali è d’accordo”, ha aggiunto Koffi Koffi , venuto d’Abidjan a Bamako con il Ministro Ivoriano dell’Integrazione Africana, Ally Coulibaly.
Al l’inizio di settembre, Dioncounda Traoré aveva ufficialmente chiesto aiuto alla CEDEAO, accorgendosi che  il Mali non era in grado di  riconquistare da solo i due terzi di suo territorio occupato dai gruppi armati islamici collegati ad’Al-Qeada magrebina (Aqmi)
Ma la CEDEAO, irritata da alcune richieste maliane, aveva chiesto a Bamako di rivedere  la sua posizione.
Il presidente maliano si era apertamente opposto all’invio dei truppe armate e pronte a combattere nella sola Bamako.
 ‘Qualsiasi forza militare inviata ha bisogno di una base’, ha commentato Koffi Koffi, aggiungendo che fosse di comune accordo.
Sabato ad Abijan, Yamoussa Camara ha incontrato il presidente Alassane Quattara,  a capo dell’esercito della CEDEAO.
Il ministro maliano aveva assicurato che l’invio di truppe dell’Africa Occidentale a Bamako era possibile a condizione che fosse eseguito con discrezione per non scioccare la popolazione.
Il contingente dell’Africa Occidentale potrà installarsi nella capitale maliana ma non avrà il compito di assicurare la sicurezza delle istituzioni del governo ad interim.
Un accordo da “rendere lindo”
 ‘Bisognerebbe armonizzare le posizioni. Tale visita veloce è stata utile”, ha dichiarato all’AFP una fonte vicina al governo maliano. Secondo quest’ultima, una delegazione della CEDEAO è attesa nei prossimi giorni a Bamako per mettere insieme tutto quello che è stato accettato dalle varie parti.
La CEDEAO che da  mesi prepara l’invio di 3.300 soldati in Mali, aspettava di avere un accordo con Bamako per inviare  all’Unione Africana  un progetto risolutivo della situazione, che dovrà essere esaminato anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti.
A seguito del colpo di stato militare del 22 Marzo, che a causato la caduta del  presidente Amadou Toumani Touré, il nord del Mali è da aprile sotto il controllo dei fondamentalisti islamici, che con le armi impongono alla popolazione la loro interpretazione della legge islamica “shar’ia”.
Venerdì il Consiglio di Sicurezza dell’ONU  ha espresso la sua profonda preoccupazione sulla violazione dei  diritti umani che i fondamentalisti islamici stanno commettendo nel Nord del paese, dove  aumentano le brutalità, dall’esecuzione tramite lapidazione di una coppia non sposata, alle amputazioni di sospettati per furto.   
Nel suo messaggio alla popolazione, il presidente maliano aveva auspicato la liberazione del Nord ‘ o attraverso la negoziazione o con la forza’.
Il presidente  Diouncounda aveva chiesto ai gruppi armati di iniziare delle ‘negoziazioni chiare’, senza tralasciare che ci si sta preparando alla guerra in cui si è disposti a incorrere se non vi sono altre alternative”.
L’articolo è di Serge  DANIEL  dell’AFP e la traduzione in Italiana è stata fatta da Mariale –Colette  MEFFIRE

mercoledì 22 agosto 2012

Il Mali cerca disperatamente la pace


Un nuovo governo di unità nazionale è stato formato in Mali in un ultimo sforzo per riportare la stabilità dopo il colpo militare in Marzo.
Il cabinet è composto di 31 ministri, includendo cinque che sembrano vicini al capo del colpo di stato , Capitano Amadou Sanogo.
Il capo del governo traballante esistente ad interim, Cheick Modibo Diarra . rimane come primo ministro.
Lo scorso mese, l’ente regionale ECOWAS,  aveva minacciato di espellere il  Mali se non si formava un governo di unità.
La composizione d’un nuovo cabinet è stata annunciata in una dichiarazione letta alla Televisione Nazionale.
Il Mali è in continuo cambiamento  da quando il colpo  di stato di marzo ha permesso agli  islamisti ed ai Tuareg di accaparrarsi   tutto il nord di paese.
In Aprile, a seguito delle   pressioni  internazionali e regionali, la giunta militare in Bamako aveva nominalmente  consegnato il potere  ad un  governo ad interim,  mantenendo però il potere reale .
Afflitto da lotte intestine, il cabinet provvisorio non è riuscito a ristabilire l’ordine e organizzare  le elezioni volte  a riportare  le regole costituzionali.
In Luglio, il presidente ad interim Dioncounda Traore è stato in ospedale dopo essere stato picchiato dei sostenitori  del  colpo di stato
In seguito alla rottura dell’alleanza con le forze laiche Tuareg, nel nord del  Mali, i guerrieri islamisti hanno presso le città principali.
Da allora, i tentativi  per  imporre  la visione radicale della sharia, ha aumentato la paura che questa zona diventi  un rifugio per gli islamisti radicali. Qualche giorno fa,la mano d’ un uomo accusato di furto è stata tagliata e anche una coppia accusata di adulterio   è stata lapidata.
IL testo originale è della BBC e la traduzione in italiano è di Mariale-Colette Meffire

venerdì 17 agosto 2012

Il Mali in difficoltà

http://it.paperblog.com

Prima del colpo di stato in Mali e la caduta di Presidente democraticamente eletto, Amadou Toumani Toure, nel  marzo 2012, il Mali è stato considerato un esempio di democrazia e stabilità in Africa. L’ex leader aveva vinto due volte di seguito le elezioni presidenziali, avvallate dalla comunità internazionale, e aveva in progetto il miglioramento economico e sociale del paese. Nonostante sia uno dei paesi più poveri di mondo, il Mali ha vissuto un notevole sviluppo durante la presidenza di ATT, come era popolarmente conosciuto. Ma gli oppositori politici lo accusavano  di corruzione e inettitudine a risolvere soprattutto i problemi del nord del paese.
Gli esperti economici avevano apprezzato le misure di sviluppo in corso, affermando che il Mali era sulla buona strada verso la prosperità economica. Con la crisi economica mondiale, la crescita del prodotto interno lordo ha visto un calo dal 5,8% nel 2010 al 2,7% nel 2011, secondo la Banca Mondiale. Con i tantissimi progetti in corso e con i finanziamenti e gli aiuti di alcune grandi istituzioni mondiali, la popolazione avrebbero potuto avere l’aspettativa di giorni migliori. Questo sogno di sviluppo e di pace si è volatilizzato a causa della guerra e la divisione in atto tra il nord e il sud. Il sud è sotto il controllo della giunta militare in seguito al colpo di stato di marzo, mentre nel nord alcune frazioni estremiste islamiche stanno dettando legge nelle aree desertiche abitate in maggioranza dai Tuareg, che dopo cicliche ribellioni sono riusciti a rivendicare l’autonomia della regione.
I gruppi ribelli non si sono accordati su come gestire il territorio e la paura è molto diffusa. Una delle controversie riguarda l’applicazione della “sharia”, la legge islamica. Gli estremisti di gruppi  terroristi Ansar Dine e Al Quaida del Magreb Islamico (Aqmi) sono per un’applicazione letterale ed estrema, contro la volontà dei ribelli Tuareg del Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad (MNLA) che avrebbero voluto promuovere un Islam moderato. Inoltre, questi ultimi, occupando l’Azawad subito dopo il colpo di stato a Bamako, avevano come obiettivo principale la creazione di una nazione Tuareg. Molti Tuareg avevano collaborato come mercenari con l’ex dittatore libico Muammar Khadafi, e dopo la caduta del suo regime sono tornati armati per chiedere la secessione e la formazione d’uno stato Tuareg nel nord. Con l’aiuto logistico dei due gruppi terroristi (Ansar Dine e Al Quaida del Maghreb Islamico), installati in Sahel da anni, i nomadi Tuareg sono riusciti ad occupare il nord dopo feroci battaglie con l'esercito maliano, ma ora l’MNLA ha difficoltà ad imporre i suoi piani. I suoi alleati sono diventati il suo ostacolo maggiore e impediscono l’istituzione di uno stato laico. I rapporti conflittuali tra questi gruppi hanno gravi conseguenze: uccisioni arbitrarie, distruzioni, paura, emigrazione forzata, a cui si aggiungono la fame e la miseria causate dalla prolungata siccità.
La popolazione maliana sta vivendo una triste e dolorosa pagina della sua storia. Una situazione  desolata che sicuramente sta facendo regredire  drasticamente  l’economia di questo paese già molto povero. La comunità internazionale ha descritto la situazione in Mali come tragica e ha chiesto alle differente fazioni in conflitto di dialogare ed accordarsi, ma malgrado la condanna delle Nazioni Unite, l’Unione Africana e  l'ente regionale dell'Africa occidentale, CEDEAO, il Mali rimane diviso e instabile.
La Banca Mondiale, l’African Devolopment Bank, governi ed Ong, prima della crisi, supportavano progetti agricoli, nei trasporti, per la salute e l’istruzione. La maggiore parte delle iniziative, soprattutto nel Centro-nord del paese, sono sospese o rallentati per motivi di sicurezza. Un esempio è il progetto di RE.TE a favore delle filiere orticole nei Paesi Dogon. Con la forte presenza dei ribelli in questa zona, la vita dei cittadini è diventa precaria.
Mentre i cittadini di nord di Mali stanno subendo queste forme di violenza e barbarie, la comunità internazionale moltiplica le riunioni sulla crisi politica maliana e prende decisioni che non applica nessuna parte in conflitto. La CEDEAO aveva deciso d’inviare una forza militare d’intervento di  circa 3.000 persone, ma il governo militare ad interim ha rifiutato il piano perché l’intervento non sarebbe stato limitato al nord del paese. Anche se sembra che ci sia una relativa pace nel sud, non c’è la sicurezza rivendicata dalla giunta militare che ha organizzato il colpo di stato di marzo. L’ex presidente dell'assemblea nazionale che ha assunto il ruolo di presidente ad interim, Dioncounda Traore, è stato aggredito e ferito dentro il  suo ufficio da parte dei sostenitori del colpo di stato, che lo consideravano come un alleato dell’ex Presidente Amadou Toumani Toure.
Con il passare dei giorni la situazione politica, economica e sociale diventa sempre più complessa e problematica. Sul piano politico, il governo centrale è inattivo perché non c’è coesione e fiducia interna. Questa mancanza grave impedisce lo sviluppo economico e sociale e quindi favorisce la miseria, la fame ed il disordine sociale. Il Programma Alimentare Mondiale ha espresso  preoccupazione riguardo allo spostamento in massa di maliani verso i paesi confinanti. Le statistiche delle organizzazioni internazionali come la Commissione delle Nazioni Unite per i Rifugiati e  Amnesty International indicano che circa 100 persone sono morte e tante altre hanno lasciato le proprie case e trovato rifugio nei paesi vicini. L’ufficio delle Nazioni Uniti per il Coordinamento degli Affari Umanitari indica che circa 436.000 persone sono scappate dalla guerra in Mali e sono minacciate dalla fame già segnalata nel Sahel. Inoltre, il colera si diffonde nel nord; ad oggi ci sono circa 12 morti e 147 ammalati.
Un'altra grave preoccupazione è data dall’occupazione progressiva del Sahel da parte dei gruppi islamici radicali. Qualche giorno fa, una coppia accusata di avere avuto relazioni extraconiugali è stata lapidata pubblicamente nel villaggio di Aguelhok, nel nord, malgrado la protesta della popolazione. Ad un uomo accusato del furto di una bicicletta è stata tagliata una mano in un paesino vicino la città di Gao da  parte dei ribelli di Movimento Islamico per l’unicità e la jihad nell’Africa Occidentale. I danni materiali sono grandi: soprattutto la distruzione degli antichi santuari e moschee nella città storica di Timbuctu da parte del gruppo islamico Ansar Dine, che considera questi patrimoni mondiali dell’Unesco come un sacrilegio contro la Sharia, che vieta la venerazione dei santi. Il gruppo islamico del nord della Nigeria BOKO HARAM, responsabile del conflitto interreligioso nell’area di origine, si è installato anche nel nord del Mali. C’è una paura profonda di contaminazione con i paesi vicini, come il Camerun, che ha una grande popolazione musulmana.
Alcuni osservatori politici credono fermamente  che la crisi maliana sia la conseguenza diretta della caduta del regime dell’ex presidente libico. Il popolo Tuareg in Mali ha sempre avuto la simpatia ed il sostegno finanziario di Muhammar Khadafi; fino all’inizio di quest’anno la questione dell’indipendenza non era una priorità. Ucciso Khadafi, i ribelli Tuareg armati sono tornati nel nord del Mali per ricominciare la lotta di liberazione, lasciata anni fa. Approfittando della sconfitta di regime di Khadafi, i gruppi radicali islamici nel Sahel come Al Quaida del Magreb Islamico (Aqmi) hanno conquistato terreno ed ora stanno imponendo le loro legge e procedendo gradualmente ad altri paesi. Mentre i maliani del nord stanno soffrendo nelle mani degli islamisti radicali, il loro governo a Bamako e la comunità internazionale riflettono sulle soluzioni possibili alla crisi maliana; la domande è: chi sarà la prossima vittima di questa aggressione? 

Mariale-Colette MEFFIRE

venerdì 3 agosto 2012

Pace, giustizia e ambiente: Tre parole chiave per avere un mondo migliore.




Mariale-Colette Meffire è il mio nome e vengo dal Camerun, un paese di circa 20 milioni abitanti nell’Africa Centrale. 
Facciamo questa semplice riflessione: circa sette miliardi di persone vivono sulla terra  dalla quale  dipendono per vivere. I contadini coltivano questa terra da tanti anni e danno da mangiare a tutti. Immaginate  un momento se questa terra diventasse  arida: tutti noi moriremmo di fame. E quando c’è la fame c’è l’instabilità politica, economica e sociale nel mondo. E’  anche vero però che quando c’è instabilità e ingiustizia politica, economica e sociale, c’è fame; forse è ancora più vero che il contrario. Pace, giustizia sociale , sicurezza e sovranità alimentare sono legate a filo doppio. Penso sinceramente che non abbiamo bisogno che succeda questa tragedia e dobbiamo veramente proteggere questa preziosa terra madre. Quindi, c’e un collegamento tra pace, giustizia  e ambiente. Se noi vogliamo la pace, abbiamo bisogno della giustizia  e della protezione dell’ambiente.
Viviamo in un contesto molto complesso con la crisi economica mondiale, ma la gente  ha un gran desiderio di sviluppare e aumentare  la propria ricchezza. Ora, il sud e il nord hanno bisogno di lavorare insieme con  trasparenza su diversi aspetti.
Il sud ha il terreno fertile e le risorsi naturali, ma ha bisogno di aiuto finanziario e tecnologico dall’estero per andare avanti. Dall’altra parte, il nord ha un disperato bisogno di questa ricchezza proveniente dal sud per ingrandire i suoi diversi settori. Quindi, dovranno collaborare  e lavorare per gli interessi delle loro popolazioni. Tutti noi siamo convinti che il mondo è diventato un villaggio planetario a causa delle meraviglie  di internet e dell’alta tecnologia. Malgrado questo notevole progresso  , il nostro pianeta rimane ancora diviso in due parti:  i paesi più poveri (la maggioranza in Africa) e quelli più ricchi( In Europa, Stati Uniti e L’Asia). È anche vero però   che ci sono dei  paesi nel sud del mondo che possiamo definire ora come emergenti(il Sud Africa e in America Latina, il Brasile). La domanda è:  quanti sono questi paesi in Africa che sono  riusciti a crescere come alcuni altri  paesi in Asia? Pochissimi!  Una collaborazione onesta e trasparente  tra il Nord ed il Sud del mondo potrà condurre  alla pace, allo sviluppo ma soprattutto alla protezione dell’ambiente che secondo me, rimane lo strumento principale per l’avanzamento economico, sociale, politico e umano.
Il conflitto tra i paesi, le tribù e le persone, ha avuto sempre gravi conseguenze negative su di loro e i sui loro vicini. L’ambiente ha sofferto e continua a soffrire per questo. Quindi, l’utilizzazione dei terreni dovrà essere ripensata. Ovviamente questa collaborazione è auspicabile e le premesse per favorirla potrebbero essere : una maggior collaborazione tra le organizzazioni contadine locali, un maggior ruolo delle istituzioni multinazionali come l’Onu, che sembrano al contrario indebolite negli ultimi anni, e piattaforme di confronti delle grandi organizzazioni regionali come l’UE, il Mercosur, l’Asean.

Il Camerun è un paese nel centro dell’Africa dove si trova  questa disuguaglianza . La maggiore parte della popolazione camerunese dipende dall’agricoltura per vivere ma questo settore  ha difficoltà a svilupparsi  e ovviamente a dar loro  una vita migliore. Ora, la maggioranza dei contadini  usa ancora le zappe e il machete per scavare e coltivare la terra, inoltre devono camminare per tanti chilometri su strada asfaltate per arrivare ai loro campi. Nonostante i loro prodotti naturali facciano  vivere tante persone  la loro situazione economica e sociale rimane  deplorevole. Sapendo che il Camerun è un paese agricolo, il primo presidente Ahmadou Ahidjo ha applicato una riforma agraria all’inizio degli anni ’80, che ha avuto un successo incredibile. Durante il suo regime, gli agricoltori avevano accesso a prestiti bancari con  interessi molto bassi e per tale scopo era stata creata la banca CREDIT AGRICOLE . A l’epoca, il settore agricolo Camerunese aveva  conosciuto un boom e la  produzione dei prodotti: cacao, caffè, cottone, banane, mais, manioca ecc...era cresciuta in modo  considerevole.      

Con quella  riforma gli agricoltori avevano accesso a sovvenzioni statali che aiutavano la produzione su grande scala che  ovviamente, per l’epoca, poteva coprire  tutti i fabbisogni alimentari. L’applicazione della riforma non è stata più possibile dal 1990 con la presa di potere di Paul Biya, che di conseguenza ha costretto  la popolazione a ritornare a coltivare la terra in modo tradizionale.
Ora, il risultato di questa nuova politica agricola è che  al nord del Camerun si soffre la fame. Secondo il Programma alimentare mondiale, centinaia di persone sono ora minacciate dalla  fame,  in questa parte del paese, soprattutto per la mancanza d’una politica duratura sulle filiere agricole. Nel febbraio 2008, il Camerun ha vissuto un momento di grande mobilitazione sociale che ha portato ad una  manifestazione contro la fame, con  circa cento morti e tanti feriti. Per gli osservatori era quasi  una rivoluzione ma  anche un appello al governo per chiedere una nuova riforma agraria.
Purtroppo non solo in Camerun la situazione è precaria. È così anche in tanti altri  paesi Africani dove i governi al potere non hanno un progetto di una moderna  riforma agraria e di agricoltura sostenibile. Anche dov’è c’è un programma agricolo ben definito, la sua  applicazione è disastrosa a causa della corruzione e dell’incompetenza dei lavoratori. Nel 2009,  Il ministro camerunese dell’agricoltura fu accusato d’avere rubato fondi provenienti dell’estero e destinati a finanziare il settore produttivo  del  mais nel sud Camerun. Il Ministero dell’epoca Augustin Federick Kodock  fu  licenziato e poi trascinato in tribunale accusato di  corruzione. Inoltre, la Banca Credit Agricole fallì a causa della corruzione e della  mancanza di trasparenza sulla gestione dei fondi. Come risultato, purtroppo, i contadini camerunesi  continuano ancora ora  a usare  metodi antichi  per coltivare. I disastri  di queste politiche  sono visibili: la guerra, la fame, l’inquinamento dell’ambiente… E quando l’ambiente subisce distruzione , la  pace nel mondo diventa veramente un sogno lontano. 

Volendo portare un esempio, vi posso raccontare di un progetto dell’ONG RE.TE. con cui collaboro. RE.TE ONG è un ONG che opere nel campo della cooperazione internazionale da più de 25 anni. RE.TE è un’associazione non governativa che da anni si occupa di progetti agricoli in Africa, America Latina ed Europa e opera nel campo dell’economia sociale, ma anche in ambito agroecologico e dei servizi, con progetti importanti nei quali la formazione risulta essere un elemento sempre presente. RE.TE promuove i soggetti organizzati del SUD del Mondo mirati a realizzare alternative economiche e politiche, promuovendo il lavoro, l’autoimpiego e le competenze, in particolare di giovani e donne delle periferie urbane e delle aree rurali, e le organizzazioni di base dei piccoli produttori, in uno spirito di solidarietà comunitario.
  Le loro esperienze e conoscenze sui diversi settori hanno contribuito e continuano a portare la crescita e l’armonia alle popolazioni che hanno veramente bisogno. Per me è un esempio di tipo di relazione che dovrebbe esistere tra il Nord e il Sud. Una relazione basata sulla condivisione e lo scambio di conoscenze e ricchezza   con obbiettivo principale, fare crescere un mondo di pace, giustizia e un ambiente sano. Questa esempio e il know-how di RE.TE, li porto alla conferenza internazionale sulla pace e l’ambiente.

Ad esempio, la Bosnia è un paese che ha vissuto molti anni di guerra, che ha lasciato la gente sofferente, senza lavoro e senza istituzioni.
Dal 1995 Re.Te. ha iniziato un progetto in Bosnia per mobilitare gli enti locali attraverso il Tavolo di coordinamento piemontese. A Breza, dove si sono incentrati più progetti, la guerra ha ucciso il 20 per cento della popolazione.
Qui RE.TE ha sostenuto una cooperativa agricola, Behar, aiutandola ad acquisire mezzi di produzione (serre, trattori) e commercializzazione (furgone, banco al mercato) comuni.
In due zone della Bosnia, Usora e Stolac, Re.Te. ha creato un progetto di cooperazione sulla coltivazione della vite e la produzione vinicola di alcune cooperative in collaborazione con il Comune di Caluso. La coltivazione della vite, con l’aiuto di Re.Te., ha permesso di ridare lavoro e possibilità alla gente del posto. Una delegazione del comune di Caluso è andata in visita per condividere le tecniche di coltivazione.
La Bosnia presenta buone potenzialità agricole, ma importa la maggior parte dei prodotti alimentari che consuma dai paesi vicini, dove la produzione è maggiormente sovvenzionata. Prima della guerra, era un’area di industria mineraria e di armamenti, ma oggi è costretta a ripensare la sua identità anche da questo punto di vista. Le cooperative sono strutture che permettono alle persone, con un obiettivo economico comune e a piccoli passi, di accantonare almeno in parte le forti diffidenze reciproche ereditate dalla guerra.
Questa collaborazione è l’esempio di come l’agricoltura possa essere utile a ricostruire la vita delle persone che hanno sofferto una guerra e a portare speranze di pace per il futuro. L’agricoltura permette di generare reddito e di valorizzare i prodotti locali.
Oltre a questo, Re.te. ha lavorato per migliorare i servizi comunali, appoggiare le associazioni di giovani e donne, formare gli insegnanti, offrire opportunità di credito, rifare i sentieri della regione, organizzare scambi internazionali di giovani, e molto altro.



      

martedì 31 luglio 2012

La sharia nel nord del Mali


Una coppia sposata è stata lapidata a morte per adulterio nel villaggio d’Aguelhok, nel nord-est del Mali, dagli islamisti d’Ansar Dine . La notizie ci è giunta attraverso il portavoce di questo gruppo alleato all’Al Qaida del Magreb Islamico (Aqmi).
Questa coppia, accusata d’avere avuto delle relazioni extraconiugali, è stata pubblicamente giustiziata domenica, ha detto a Reuters il portavoce d’Ansar Dine, Sanda Ould Bounama, raggiunto al telefono lunedì.
 “Queste due persone erano sposate e avevano  relazioni extraconiugali. I nostri uomini  in Aguelhok hanno applicato la Sharia”, ha detto. “Essi sono morti istantaneamente(…) . Non possiamo rispondere alle domande legate all’applicazione della Sharia”.
Approfittando della confusione che ha seguito  il colpo di stato militare del 22 Marzo, gli islamisti si sono impadroniti del nord del Mali con l’aiuto dei ribelli Tuareg del Movimento Nazionale di Liberazione, l’Azawad (MNLA).
Ansar Dine, raggiunto da altri gruppi Islamisti come Al Quaida del Magreb Islamico(Aqmi), ha spodestato gli insorti e preso il controllo della metà del territorio, ovvero  Gao, Kidal e Timbouctou.

Articolo scritto da Adama Diarra a Bamako e Cheick Dioura a  Gao e Marine Pennetier per la redazione  francese di REUTERS. Foto: Guardian.

Un ricordo di Enrico Luzzati


Università degli Studi di Torino, Facoltà di Scienze Politiche, CISAO e Centro Piemontese di Studi Africani
presentano il seminario:
CON I PIEDI PER TERRA. MOVIMENTI CONTADINI, RICERCA‐AZIONE, COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO.
UN LIBRO PER ENRICO LUZZATI.
Mercoledì 9 maggio 2012, ore 16‐19
Sala Principi d’Acaja, Rettorato
Via Verdi 8, Torino

A nome di tutta la famiglia ed in particolare di mio cognato Michele, a cui dispiace molto di non poter partecipare, ringrazio chi ha reso possibile la realizzazione del seminario di questo pomeriggio;
ringrazio la facoltà di Sc.Po. per aver intitolato ad Enrico la cattedra di Cooperazione allo Sviluppo;
ringrazio Federico e Riccardo per la dedica del libro.
Penso che non ci potesse essere miglior modo per ricordare mio marito:
è importante il significato simbolico del dedicare una cattedra ad una persona che si è impegnata molto nella formazione dei giovani e sentiva come un dovere aiutare gli studenti a formarsi in senso completo e non solo nella trasmissione di contenuti.  Lo faceva con atteggiamento simpatico, coinvolgente. Spesso faceva venire anche a casa i laureandi, molti gli erano rimasti amici e molti, chi per un verso e chi per un altro, si sono occupati di cooperazione. Mi capita spesso di incontrare persone che l’hanno avuto come insegnante e che ne parlano con affetto e riconoscenza. Cercava da trasmettere la passione per lo studio e la ricerca coniugata con l’impegno nel sociale che era proprio quello a cui aveva dedicato la sua vita.


È significativo per ricordare Enrico anche la presentazione di un libro scritto da due persone con cui aveva spesso collaborato. E’ significativo anche il titolo stesso del libro: “Con i piedi per terra”, gli autori ci racconteranno come lo intendono, penso comunque che gli sarebbe piaciuto,  proprio lui, che ben convinto delle sue idee di obiettivi elevati, ha sempre dovuto mediare con la realtà: i piedi per terra Enrico li metteva costretto e ne era ben conscio.Non mancava mai di incitare chi lavorava nella cooperazione a continuare a studiare e a fare ricerca, a non adagiarsi nella gestione quotidiana dei progetti: mi sembra che questo libro vada proprio in questa direzione.


Ci tengo a dire qualcosa su quello che era il suo background su cui ha costruito direi tutta la sua vita.     Il primo contato con l’idea di “comunità” avvenne verso i primi anni ’50, quando un suo cugino decise di andare a vivere in Israele per partecipare alla fondazione di un kibbuz nell’Alta Galilea. In una riunione di famiglia in cui tutti si espressero negativamente lui fu l’unico a schierarsi dalla sua parte.  Enrico non era certo interessato al sionismo, ma fu per una spontanea ed immediata adesione all’idea del kibbuz;  a suo dire, fu in quel momento che scoprì di essere, per la sua stessa natura, socialista e verso quell’ambito cominciò ad indirizzare le sue letture.

Enrico ha creduto nel socialismo fin da giovanissimo, era lombardiano, iscritto alla sezione Ogliaro di cui conservava ricordi di rapporti di fratellanza ed egualitarismo.

Non era né marxista né comunista e ci teneva a precisarlo, era sinceramente anticapitalista e antiliberista.  Ha sempre criticato aspramente il socialismo reale dell’Urss e diceva che bisognava ripartire dallo studio ( e lui l’ha fatto) di Proudhon, Owen, Tocqueville.  Ancora aveva ripreso in mano Mazzini; nella sua biblioteca c’era molto materiale su Adriano Olivetti.
E’ comunque indubbio che la vicinanza al movimento cooperativo, inteso anche in senso allargato di servizi alle comunità locali, era il suo modo concreto di essere socialista.
Oggi penso che avrebbe seguito con grande interesse l’evoluzione di questa crisi economica.
Sono venuti al pettine dei nodi che un economista come lui non poteva che analizzare con molta attenzione: era profondamente convinto che è lo stato che deve comandare la finanza e non viceversa.
Sono anche sicura che avrebbe seguito con molta attenzione in Argentina la trasformazione di alcune imprese in fallimento in cooperative gestite da chi ci lavora.
Ancora un grazie a tutti.

Nadia Yedid Luzzati

mercoledì 25 luglio 2012



Alberto Tridente, grande militante dalla parte dei diritti, amico e socio fondatore di RE.TE., ci ha lasciato martedì sera.
Il suo esempio ed il suo ricordo rimarranno in noi trasmettendoci la forza per continuare a lottare con coerenza e serietà.

Grazie Alberto!