martedì 31 luglio 2012

La sharia nel nord del Mali


Una coppia sposata è stata lapidata a morte per adulterio nel villaggio d’Aguelhok, nel nord-est del Mali, dagli islamisti d’Ansar Dine . La notizie ci è giunta attraverso il portavoce di questo gruppo alleato all’Al Qaida del Magreb Islamico (Aqmi).
Questa coppia, accusata d’avere avuto delle relazioni extraconiugali, è stata pubblicamente giustiziata domenica, ha detto a Reuters il portavoce d’Ansar Dine, Sanda Ould Bounama, raggiunto al telefono lunedì.
 “Queste due persone erano sposate e avevano  relazioni extraconiugali. I nostri uomini  in Aguelhok hanno applicato la Sharia”, ha detto. “Essi sono morti istantaneamente(…) . Non possiamo rispondere alle domande legate all’applicazione della Sharia”.
Approfittando della confusione che ha seguito  il colpo di stato militare del 22 Marzo, gli islamisti si sono impadroniti del nord del Mali con l’aiuto dei ribelli Tuareg del Movimento Nazionale di Liberazione, l’Azawad (MNLA).
Ansar Dine, raggiunto da altri gruppi Islamisti come Al Quaida del Magreb Islamico(Aqmi), ha spodestato gli insorti e preso il controllo della metà del territorio, ovvero  Gao, Kidal e Timbouctou.

Articolo scritto da Adama Diarra a Bamako e Cheick Dioura a  Gao e Marine Pennetier per la redazione  francese di REUTERS. Foto: Guardian.

Un ricordo di Enrico Luzzati


Università degli Studi di Torino, Facoltà di Scienze Politiche, CISAO e Centro Piemontese di Studi Africani
presentano il seminario:
CON I PIEDI PER TERRA. MOVIMENTI CONTADINI, RICERCA‐AZIONE, COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO.
UN LIBRO PER ENRICO LUZZATI.
Mercoledì 9 maggio 2012, ore 16‐19
Sala Principi d’Acaja, Rettorato
Via Verdi 8, Torino

A nome di tutta la famiglia ed in particolare di mio cognato Michele, a cui dispiace molto di non poter partecipare, ringrazio chi ha reso possibile la realizzazione del seminario di questo pomeriggio;
ringrazio la facoltà di Sc.Po. per aver intitolato ad Enrico la cattedra di Cooperazione allo Sviluppo;
ringrazio Federico e Riccardo per la dedica del libro.
Penso che non ci potesse essere miglior modo per ricordare mio marito:
è importante il significato simbolico del dedicare una cattedra ad una persona che si è impegnata molto nella formazione dei giovani e sentiva come un dovere aiutare gli studenti a formarsi in senso completo e non solo nella trasmissione di contenuti.  Lo faceva con atteggiamento simpatico, coinvolgente. Spesso faceva venire anche a casa i laureandi, molti gli erano rimasti amici e molti, chi per un verso e chi per un altro, si sono occupati di cooperazione. Mi capita spesso di incontrare persone che l’hanno avuto come insegnante e che ne parlano con affetto e riconoscenza. Cercava da trasmettere la passione per lo studio e la ricerca coniugata con l’impegno nel sociale che era proprio quello a cui aveva dedicato la sua vita.


È significativo per ricordare Enrico anche la presentazione di un libro scritto da due persone con cui aveva spesso collaborato. E’ significativo anche il titolo stesso del libro: “Con i piedi per terra”, gli autori ci racconteranno come lo intendono, penso comunque che gli sarebbe piaciuto,  proprio lui, che ben convinto delle sue idee di obiettivi elevati, ha sempre dovuto mediare con la realtà: i piedi per terra Enrico li metteva costretto e ne era ben conscio.Non mancava mai di incitare chi lavorava nella cooperazione a continuare a studiare e a fare ricerca, a non adagiarsi nella gestione quotidiana dei progetti: mi sembra che questo libro vada proprio in questa direzione.


Ci tengo a dire qualcosa su quello che era il suo background su cui ha costruito direi tutta la sua vita.     Il primo contato con l’idea di “comunità” avvenne verso i primi anni ’50, quando un suo cugino decise di andare a vivere in Israele per partecipare alla fondazione di un kibbuz nell’Alta Galilea. In una riunione di famiglia in cui tutti si espressero negativamente lui fu l’unico a schierarsi dalla sua parte.  Enrico non era certo interessato al sionismo, ma fu per una spontanea ed immediata adesione all’idea del kibbuz;  a suo dire, fu in quel momento che scoprì di essere, per la sua stessa natura, socialista e verso quell’ambito cominciò ad indirizzare le sue letture.

Enrico ha creduto nel socialismo fin da giovanissimo, era lombardiano, iscritto alla sezione Ogliaro di cui conservava ricordi di rapporti di fratellanza ed egualitarismo.

Non era né marxista né comunista e ci teneva a precisarlo, era sinceramente anticapitalista e antiliberista.  Ha sempre criticato aspramente il socialismo reale dell’Urss e diceva che bisognava ripartire dallo studio ( e lui l’ha fatto) di Proudhon, Owen, Tocqueville.  Ancora aveva ripreso in mano Mazzini; nella sua biblioteca c’era molto materiale su Adriano Olivetti.
E’ comunque indubbio che la vicinanza al movimento cooperativo, inteso anche in senso allargato di servizi alle comunità locali, era il suo modo concreto di essere socialista.
Oggi penso che avrebbe seguito con grande interesse l’evoluzione di questa crisi economica.
Sono venuti al pettine dei nodi che un economista come lui non poteva che analizzare con molta attenzione: era profondamente convinto che è lo stato che deve comandare la finanza e non viceversa.
Sono anche sicura che avrebbe seguito con molta attenzione in Argentina la trasformazione di alcune imprese in fallimento in cooperative gestite da chi ci lavora.
Ancora un grazie a tutti.

Nadia Yedid Luzzati

mercoledì 25 luglio 2012



Alberto Tridente, grande militante dalla parte dei diritti, amico e socio fondatore di RE.TE., ci ha lasciato martedì sera.
Il suo esempio ed il suo ricordo rimarranno in noi trasmettendoci la forza per continuare a lottare con coerenza e serietà.

Grazie Alberto!

mercoledì 27 giugno 2012

Rio +20, Campagna SBLOCCHIAMOLI: Natura a rischio mercificazione



La green economy che emerge dal documento finale in discussione a Rio+20, il summit 
Onu su ambiente e sviluppo in corso a Rio de Janeiro a 20 anni dal primo Earth summit, 
parla di  approcci volontari, nessuna regolamentazione ed una  strenua difesa dei 
brevetti e sui diritti di proprietà intellettuale. Mentre l'invito a ratificare il Protocollo 
di Nagoya  sulla protezione e l'accesso alle risorse genetiche risulta generico e poco 
vincolante per le diplomazie internazionali, come se la tutela della biodiversità sia un 
lusso che ci si può anche permettere di ignorare. Sono le principali critiche rivolte dalla 
Campagna internazionale "SBLOCCHIAMOLI: Cibo, salute e saperi senza brevetti" 
all'attuale bozza di documento finale della conferenza Onu sullo Sviluppo sostenibile di 
Rio+20.  
"Il riferimento esplicito ed implicito nel documento ai mercati, a fonti di finanziamento 
innovative ed alla Wto testimonia come il rischio di una progressiva mercificazione e 
finanziarizzazione della natura rimanga dietro l'angolo", sottolinea Alberto Zoratti 
consulente della Campagna SBLOCCHIAMOLI su ambiente e biodiversità, che sta 
seguendo i negoziati a Rio de Janeiro.  
"Il testo ha un'ambizione bassa ed inefficace", afferma Monica Di Sisto, responsabile 
Advocacy della Campagna, che specifica come "le azioni per lo sviluppo della green 
economy, in particolare nei Paesi del sud del mondo siano limitate, nell'attuale versione 
del documento finale, a un volontario scambio di esperienze". "In questo modo si 
difendono i diritti di proprietà intellettuale sulle tecnologie verdi in mano alle multinazionali 
del settore, nonostante il Dipartimento di Affari Economici e Sociali dell'Onu da anni 
denunci come l'attuale regime di tutela della proprietà intellettuale sia un ostacolo alla 
messa in campo di politiche efficaci di sostenibilità nei Paesi del sud del mondo". 
"L'invito alla ratifica del Protocollo di Nagoya - conclude Zoratti - non prende impegni 
sostanziali perchè possa diventare operativo durante la Conferenza delle Parti Onu sulla 
biodiversità che si terrà a ottobre a Hyderabad in India", in quanto tralascia il particolare 
che "al momento solo 4 Paesi hanno ratificato l'accordo, considerato che ne servirebbero 
almeno 50 nelle prossime settimane, perchè possa entrare in vigore alla prossima 
Conferenza Onu sulla biodiversità, in programma ad ottobre in India".  
La richiesta della Campagna SBLOCCHIAMOLI per una pronta ratifica del Protocollo di 
Nagoya è stata inviata al Ministro dell'Ambiente  Corrado Clini, al Vicepresidente del 
Preparatory Committee Rio+20 che sta seguendo il negoziato per l'Italia Paolo Soprano, 
e al Direttore Generale Direzione Protezione della  Natura e del Mare del Ministero 
dell'Ambiente Renato Grimaldi. 

Ufficio Stampa: Ludovica Jona - l.jona@ongrc.org - 338 8786870 
www.sblocchiamoli.org

giovedì 21 giugno 2012

SBLOCCHIAMOLI - Diritti delle comunità locali e diritti di proprietà intellettuale dopo RIO+20

Carissim*,

siete tutt* invitat* a partecipare all’evento organizzato da RE.TE con Mercedes Bresso (Comitato delle Regioni), Monica di Sisto (Fair) e in collegamento con Alberto Zoratti:

Sblocchiamoli! Diritti delle comunità locali e diritti di proprietà intellettuale dopo Rio+20”

Sala dei Presidenti, Consiglio Regionale del Piemonte
Palazzo Lascaris
Via Vittorio Alfieri, 15, 10121 Torino
27 giugno p.v.,
ore 15.00 - 17.00


Alle 14.30 i partecipanti saranno accolti con un caffè e un buffet.




lunedì 18 giugno 2012

A cupola dos povos - il summit dei popoli a RIO+20


Fonte: http://www.globalproject.info/it/mondi/a-cupola-dos-povos-il-summit-dei-popoli-a-rio-20/10813


PER LA GIUSTIZIA SOCIALE ED AMBIENTALE CONTRO LA MERCIFICAZIONE DELLA VITA E DELLA NATURA E IN DIFESA DEI BENI COMUNI PRESENTAZIONE

18 / 2 / 2012

Il summit Rio+20 che si terra' a Rio a giugno 2012 sara' un evento cruciale per le organizzazioni sociali ed ambientali, e deve essere considerato come parte di un processo storico degli ultimi 20 anni, che comprende il Summit della Terra (ECO 92), le mobilitazioni sulla agenda sociale dell'ONU, le lotte contro gli accordi di libero commercio promossi da WTO e ALCA, e più recentemente il Summit dei Popoli di Cochabamba.

Tenendo in considerazione che lo spazio della società civile deve essere autonomo, plurale, democratico, dobbiamo rispettare le diversità e le diverse strategie di azione, e basare le nostre proposte su soluzioni concrete che rafforzino il potere delle organizzazioni sociali e diano voce e leadership ai popoli che sono vittime della globalizzazione ineguale.

Noi affermiamo che Rio+20 deve:

•    Rigettare le soluzioni basate sul mercato della vita e della natura, le false soluzioni con le stesse vecchie tecnologie che approfondiscono l'iniquità e non rispettano il principio di precauzione
•    Denunciare la mancanza di miglioramento nelle politiche ambientali del Brasile e nel mondo dopo la crisi economica
•    Difendere i diritti umani e dare spazio alle esistenti alternative locali sviluppate dalle comunità tradizionali, piccoli contadini, comunità urbane organizzate, come per esempio la permacultura, i progetti agro-ecologici, le iniziative di economia locale, tra le altre, e organizzare campagne affinché queste iniziative possano essere sostenute dalle politiche pubbliche.
•    Promuovere un nuovo paradigma per una economia fondata sulla vita e basata su azioni e decisioni etiche
•    Fare una valutazione delle iniziative a partire dal Summit della Terra ECO 92 analizzando i progressi delle convenzioni firmate durante gli ultimi 20 anni
•    Promuovere campagne e iniziative delle organizzazioni sociali per premere sui governi affinché tengano in conto le proposte della società civile organizzata nel processo ufficiale
•    Promuovere consapevolezza pubblica attraverso campagne e altre forme di educazione popolare, coinvolgendo l'opinione pubblica in questo percorso con differenti gruppi sociali. Per questo, devono essere usati diversi linguaggi e strumenti di comunicazione, come radio comunitari, network sociali, così come media alternativi e tradizionali.

Rio+20 deve anche essere un momento di riflessione per movimenti e organizzazioni in modo che possano valutare come incorporare al proprio interno i nuovi paradigmi. Rio+20 deve mobilitare milioni di persone in Brasile e nel mondo, attraverso migliaia di attività prima e durante l'evento.

Infine, l'evento deve anche lasciare una eredita' per la città di Rio de Janeiro e per il mondo, come un esempio in se stesso del cambiamento che vogliamo vedere nel pianeta.

OBIETTIVI
Le organizzazioni di società civile e i movimenti sociali internazionali stanno cercando di trasformare la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile (UNCSD) in una mobilitazione popolare per affrontare la a seria crisi che stiamo vivendo, come pianeta e come umanità. Stiamo lavorando insieme per costruire un processo democratico verso un forum indipendente chiamato "Summit dei Popoli a Rio+20 per la giustizia sociale ed ambientale", con l'intenzione di promuovere la partecipazione della società civile e proporre le sue proposte politiche a un vasto spettro di personalità e di cittadini.

PROPOSTA SUL PROCESSO
Per assicurare la costruzione collettiva della metodologia del processo verso il Summit del Popoli a Rio+20, affermiamo le seguenti premesse:

Principi generali:
•    Prendiamo come punto di partenza l'aggravarsi, negli ultimi decenni, della situazione sociale ed ecologica nel pianeta e la parallela crescita della miseria e della ineguaglianza sociale -locale, regionale e internazionale- aggravata dalla recente crisi della economia capitalista
•    Crediamo sia molto importante avere una visione integrata sulla giustizia sociale ed ambientale, così come per la sostenibilita' sociale ed ambientale. E' necessario porre i diritti umani al centro dell'agenda globale.
•    Chiediamo il riconoscimento di ciò che le esperienze internazionali dei Social Forum, dei Summit dei Popoli, dei Tribunali Popolari internazionali, degli incontri di base che, dopo il Summit della Terra del 92, hanno costruito spazi di dibattito globale e mobilitazione
•    Teniamo in considerazione le ricche e diverse esperienze in queste reti sociali e di dare visibilità al contributo contro le soluzioni egemoniche
•    Cerchiamo spazi di influenza nel processo ufficiale delle Nazioni Unite e di influenzarlo.
•    Partiremo dal processo intorno a Rio+20 per costruire campagne globali tese a promuovere un nuovo paradigma in azioni popolari per molti milioni di persone.
•    Cercheremo, in sintesi, di affermare la presenza di un paradigma alternativo di società e di rafforzare il suo potere politico con convergenze multiple in tutto il mondo.
•    Il Summit dei Popoli deve anche essere uno spazio per dimostrare le pratiche concrete delle esperienze positive di produzione locale, di economia sociale, e esempi di pratiche che spostano la società verso questo nuovo paradigma durante il farsi di Rio+20.

Processo Organizzativo
Allo scopo di organizzare un processo indipendente di dialogo con le istituzioni internazionali, le aziende capitalistiche e i governi nazionali, cerchiamo di creare uno spazio plurale, tenendo in conto la diversità e trasformandola in una forza popolare; cerchiamo di superare la frammentazione e le divisioni delle diverse lotte, stimolando convergenze e agende comuni.
Vogliamo incorporare nel nostro processo la forza, la energia e le iniziative di migliaia di organizzazioni e movimenti del mondo intero. Per questo, il punto di partenza sono le loro esperienze reali, le loro attività indipendenti e la loro capacita' di coinvolgimento dei cittadini. Dall'altro lato, il nostro processo deve accettare la sfida di superare i limiti e le divisioni che ancora troviamo nella società civile oggi, cercando di costruire reti e coalizioni per affrontare insieme le scommesse e per lanciare azioni comuni.

Questioni strategiche:
Cercheremo di promuovere convergenze intorno alcune questioni strategiche per il superamento del modello corrente di società e per la affermazione di un nuovo paradigma di civilizzazione. Queste questioni hanno bisogno di essere discusse, costruite e presentate in diversi e autonomi spazi che emergeranno da questi processi, organizzati sulla base delle questioni comuni e degli input provenienti dal processo storico di ciascun network.
Proponiamo di cominciare questa convergenza da alcuni input ed concetti formulati da network e comitati di facilitazione incaricati delle diverse tematiche, per costruire il percorso verso Rio+20 a partire da esperienze ricche e lotte comuni.

Le questioni chiave approvate per stimolare un dibattito nei differenti gruppi e network sono:
•    Quali sono le cause strutturali delle multiple crisi e del fallimento nella realizzazione degli accordi internazionali a partire dal 1992?
•    Come costruire una nuova economia basata sulla giustizia sociale ed ambientale?
•    Come dare visibilità alle lotte di resistenza e di difesa dei popoli e dei territori e come promuovere soluzioni concrete a partire dalle esperienze esistenti di produzione, consumo e trasformazione del futuro?
•    Come bloccare la mercificazione della vita, la privatizzazione della natura e dei beni comuni?
•    Come rafforzare le strategie esistenti di lotta e campagne comuni e come promuovere e costruire nuove campagne?
•    Quale governance mondiale vogliamo a fronte della dominazione corrente del potere economico?

Coordinamento Internazionale
Suggeriamo di collegare il processo che stiamo promuovendo alla agenda sociale e ambientale che produrranno alternative comuni:
•    La mobilitazione contro il G20 a Nizza e a Cannes il 3 e 4 novembre
•    La mobilitazione sulla COP 17 a Durban dal 29 novembre al 9 dicembre
•    Il forum tematico a Porto Alegre nel gennaio 2012
•    Il Forum Alternativo Mondiale dell'Acqua a Marsiglia nel marzo 2012

Promotori
La proposta del Summit dei Popoli viene dal Comitato di Facilitazione della Società Civile Brasiliana per Rio+20. E' un gruppo di reti e organizzazioni diverse e plurali della società civile brasiliana. La responsabilità di questo comitato e' facilitare la partecipazione della società civile globale nel processo del summit di Rio+20, la Conferenza delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile che si terra' a giugno del 2012.
Il Comitato di Facilitazione della Società Civile Brasiliana ha un posto nella Commissione Nazionale per Rio+20 ed e' anche considerato dalla Conferenza Onu come un gruppo di collegamento del paese ospitante. Il comitato riunisce un ampio spettro di organizzazioni, fra i più importanti network della società civile brasiliana, attivi in diversi settori come ambiente e sostenibilita', diritti umani, sviluppo sociale fra gli altri. E' guidato da un Gruppo di Coordinamento composto dalle reti più rappresentative:

•    Rede Brasileira pela Integração dos Povos (Rebrip);
•    Rede Brasil sobre Instituições Financeiras Multilaterais (Rede Brasil);
•    Fórum Brasileiro de ONGs e Movimentos Sociais para o Meio Ambiente e o Desenvolvimento (FBOMS);
•    Central Única dos Trabalhadores do Brasil  (CUT);
•    Associação Brasileira de Organizações Não-Governamentais (Abong);
•    Grupo de Reflexão e Apoio ao Processo do Fórum Social Mundial (Grap);
•    Fórum Brasileiro de Economia Solidária (FBES);
•    Via Campesina (VC);
•    Fórum Nacional da Reforma Urbana (FNRU);
•    Rede da Juventude pelo Meio Ambiente e Sustentabilidade (Rejuma);
•    Jubileu Sul;
•    Plataforma Brasileira de Direitos Humanos Econômicos, Sociais, Culturais e Ambientais (Dhesca);
•    Movimentos Indigenas: Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (APIB) e  Kari-Oca;
•    Coordenação Nacional de Articulação das Comunidades Negras Rurais Quilombolas (Conaq);
•    Instituto Brasileiro de Defesa do Consumidor (Idec);
•    Articulação do Semi-Árido (ASA);
•    Articulação de Mulheres Brasileiras (AMB);
•    Marcha Mundial de Mulheres;
•    Movimento negro: Coordenação Nacional de Entidades Negras (Conen);
•    Rede de ONGs da Mata Atlântica (RMA).

lunedì 28 maggio 2012

lettera del presidente del ROPPA all'Unione Africana per l'agricoltura


Au Président de l'Union africaine,


Monsieur le Président,

Permettez à un citoyen paysan ouest-africain de vous faire part de sa préoccupation, avant la tenue du Symposium du G8 à Washington, les 18 et 19 Mai 2012 sur la sécurité alimentaire, et du G8 le 20 Mai 2012 à Camp David. Deux événements au cours desquels il sera discuté de la sécurité alimentaire de notre continent, après Aquila en 2008 et Paris en 2011.

Les débats internationaux sur le financement de l’agriculture africaine semblent prendre une tournure peu favorable au nécessaire renouvellement des approches. Or, cette question est fondamentale. Les choix opérés en Afrique Subsaharienne concernant les modalités de financement et la destination des investissements nécessaires détermineront la forme du développement agricole et le profil du système alimentaire africain de demain.

Il semble que les approches financières appropriées pour faire face aux principaux défis n’aient pas été encore trouvées. Pour rappel, l’agriculture africaine au sud du Sahara est aujourd’hui confrontée à trois problématiques centrales, qui sont consensuellement identifiées par l’ensemble des acteurs, à savoir :
-          augmenter la production de façon durable et équitable, et améliorer le fonctionnement des marchés ;
-          améliorer la productivité, la rentabilité des exploitations et des filières, pour asseoir durablement la sécurité et la souveraineté alimentaire ;
-          concilier des prix bas pour les consommateurs et des revenus décents et incitatifs pour les producteurs.

Ces défis impliquent de résoudre une équation complexe, intégrant l’ensemble des interrogations suivantes : quels investissements réaliser ? Quels systèmes de production privilégier ? Quels produits soutenir ? Quels marchés viser (local, national, régional, international) ? Et au profit de qui orienter les soutiens ?

Par ailleurs, il est évident que les réponses ne sauraient être univoques : aucune innovation technique ou institutionnelle ne saurait suffire à elle seule pour relever ces défis.

Nous sommes aujourd’hui confrontés à deux aspirations contraires en Afrique subsaharienne: l’ambition d’un leadership retrouvé sur notre développement et la tentation d’un recours excessif aux ressources extérieures.

Au cours des années 2000, donc 25 ans après sa création, la CEDEAO optait pour la mise en place de politiques sectorielles agricoles régionales, cohérentes en cela avec l’intention originelle des pays fondateurs, à savoir la promotion du bien être des peuples par le développement économique et la paix.

La PAU de l’UEMOA puis l’ECOWAP de la CEDEAO ont été élaborées en 2001 et 2005 dans un esprit de dialogue avec les réseaux des organisations de paysans et de producteurs agricoles et en rupture avec l’approche « projet » dont nous avons mesuré toutes les limites. Ces politiques ont été validées et les actes réglementaires signés par les Chefs d’Etats africains.

Parallèlement les Etats africains s’engageaient à Maputo à consacrer davantage de ressources publiques à l’agriculture. En complément de ces initiatives, le NEPAD impulsait en 2006 un nouveau partenariat pour l’agriculture. L’ensemble de ces engagements attestaient d’un réel sursaut des autorités africaines en faveur de l’agriculture, d’une volonté nouvelle de reprendre le leadership sur le développement en dialogue avec les populations locales. Ils suscitaient de grands espoirs parmi les mouvements sociaux et les réseaux des organisations de paysans et de producteurs qui voyaient revenir l’agriculture au cœur de l’agenda politique. Ceux-ci voyaient enfin les autorités africaines prendre résolument et définitivement leurs responsabilités pour définir, valider et financer une bonne part des dépenses dans le secteur moteur de leurs économies, à savoir : l'agriculture, l'élevage, la foresterie et la pêche, communément appelé le « secteur agricole ».

Malheureusement la méthode d’élaboration du PDDAA a rapidement semblé renouer avec une approche regrettable. Les programmes nationaux de développement agricole (PNIA), impulsés d’en haut, sans une suffisante concertation avec les acteurs, sont apparus principalement comme des occasions de négocier de nouveaux apports d'aide extérieure. Pour beaucoup, le contenu de ces programmes nationaux ne déroge pas aux traditionnelles listes de projets, standards d’un pays à l’autre, et redondants voire concurrents entre eux. Il semble pourtant, dans le passé, que nous ayons beaucoup pâti de ce type de programmes, et que désormais nous ayons tout à gagner à nous préoccuper de la mise en place effective de nos politiques agricoles, à la mesure de la PAC en Europe, de la Farm Bill aux Etats-Unis ou aux politiques mises en place au Brésil et en Inde.

Ensuite, le paradoxe entre un consensus africain sur la nécessité d'accroître les investissements dans l'agriculture et les imprécisions entourant la destination de ces investissements (quels produits, quels marchés ?) constitue à mes yeux un sérieux motif d'inquiétude : comment envisager raisonnablement une mise en œuvre de politiques aussi imprécises ? Pour moi l'ECOWAP devrait faire la part belle aux  principaux investisseurs dans l'agriculture, à ceux qui prennent les risques au sein des exploitations agricoles, c'est à dire les paysans, et non pas prioritairement aux porteurs de capitaux urbains ou étrangers. 

Trois événements sont venus accentuer ce doute. Il y eut d'abord des malentendus autour du principe de la révolution verte proposé par AGRA. Il y eut ensuite le Forum économique mondial, d’où a été lancé « Grow Africa ». Il y eut enfin l'approbation par l'USAID de la « nouvelle alliance » pour l'alimentation devant voir le jour en juin 2012. Autant de signes, qui à mes yeux, risquent sérieusement de compromettre la réalisation des missions originelles de l'ECOWAP, de la PAU et des politiques similaires en Afrique.

Au moment où le Président des Etats Unis, en toute bonne foi, je crois, décide d'organiser un Symposium sur la sécurité alimentaire les 18 et 19 Mai 2012 à Washington, la veille du G8 de Camp David, je m'adresse à vous, Monsieur le Président en exercice de l'Union africaine, et à travers vous à l'ensemble des Chefs d'Etat africains, pour comprendre les raisons qui vous laissent penser que la sécurité et la souveraineté alimentaire de l'Afrique puissent advenir par la coopération internationale et hors des cadres de politiques élaborés de manière inclusive avec les paysans et les producteurs du continent.

Un regard sur l'histoire du développement agricole dans l'ensemble des régions du monde nous enseigne que l'agriculture ne s'est jamais développée de cette façon. Nous savons aujourd'hui que les grands progrès dans l'agriculture, les grands succès des politiques agricoles obtenus en Europe, aux Etats Unis et dans les pays émergents tels que le Brésil et l'Inde ont toujours été le fait d'une volonté souveraine et d'un partenariat entre les Etats et les forces économiques en présence, à savoir les producteurs, les transformateurs, les commerçants.

A mon humble avis, l'argument selon lequel les Etats ne disposeraient pas des ressources nécessaires pour financer de telles politiques n'est pas recevable. La gestion des ressources minières en exploitation, pour laquelle les Etats africains sont en général perdants, devrait par exemple permettre de dégager les ressources pour de tels investissements. L'arbitrage dans les dépenses publiques est également en cause. La contribution des activités agro-sylvo-pastorales et halieutiques à la création des richesses de nos pays agricoles, à la fourniture et à la sécurisation des emplois, à la stabilité sociale justifient qu'un choix clair en faveur de ce secteur soit adopté par les Etats africains. Ceci n'est nullement contraire à notre attachement à la coopération internationale, de laquelle nous devrions attendre un respect accru de la Déclaration de Paris, du droit à l'alimentation conformément à la Charte des droits de l’homme et du citoyen des Nations unies, une lutte contre la spéculation financière et la corruption internationales.

Je voudrais tout simplement rappeler que la sécurité et la souveraineté alimentaire seront la base de notre développement général, comme tous les gouvernants africains ne cessent de le rappeler. Il s'agit d'un enjeu stratégique. C'est pourquoi nous devons bâtir notre politique alimentaire sur nos propres ressources comme c'est le cas dans l'ensemble des régions du globe. Le G8 et le G20 ne sauraient constituer des lieux indiqués pour de telles décisions.

En vous priant de transmettre ce message à vos pairs, je vous prie d'excuser ce cri du cœur, aussi maladroit puisse-t-il apparaître, d'un citoyen paysan africain convaincu que nous avons les moyens, les intelligences, les ressources, pour bâtir nous-mêmes notre avenir.

Je vous prie de croire, Monsieur le Président, en l'expression de ma très haute et sincère considération.

Mamadou Cissokho
Président Honoraire du ROPPA
Président du Comité de Pilotage PCD/OSC
15 Mai 2012


Liste des organisations régionales signataires
1.      Réseau des Organisations Paysannes et de Producteurs Agricoles en Afrique de l'Ouest (ROPPA),
2.      Forum des Organisations de la Société Civile de l'Afrique de l'Ouest (FOSCAO) ;
3.      Réseau des Plates-formes d'Afrique de l'Ouest et du Centre (REPAOC),
4.      Réseau des Journalistes Economiques d'Afrique de l'Ouest (RJE-AO ou WANEJ),
5.      Réseau des Chambres d’Agriculture de l’Afrique de l’Ouest (RECAO)
6.      Plate-forme des Organisations de la Société Civile d'Afrique de l'Ouest sur l'Accord de Cotonou (POSCAO-AC),
7.      Dynamique des Organisations de la Société Civile d’Afrique de l’Ouest (OSCAF)
8.      Réseau des Associations de Femmes d'Afrique de l'Ouest (AFAO),
9.      Coalition des Organisations Africaines pour la Sécurité Alimentaire et le Développement Durable (COASAD),
10. Réseau de recherches Pour l'Appui au Développement en Afrique (REPAD),
11. Institut Ouest Africain de Commerce et Développement (WAITAD),
12. Association des Barreaux Ouest Africains (WABA),
13. Association Nationale des Commerçants du Nigeria (NANTS),
14. Plate forme des Acteurs de la Société Civile au Bénin (PASCiB),
15. SYTO (Réseau ouest africain de la jeunesse)

giovedì 19 aprile 2012

Emergenza in Mali: il punto di vista di un cooperante


Sono ritornato dal Mali da qualche giorno, in quanto la zona di intervento del progetto di Rete e Terranuova, la regione di Mopti, è impraticabile in questo momento: tutte le autorità civili sono fuggite, e poiché gruppi armati non ben identificati approfittano della situazione per compiere sporadici atti di violenza e furti.
In effetti, dopo il colpo di stato del 22 marzo 2012, non solo la Becao (Banca Centale degli Stati dell’Africa dell’Ovest) e la Cedeao (Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest) hanno paralizzato in un embargo totale l’economia e la politica del Mali, ma vari generali di Amadou Toumani Toure (l’ex presidente maliano) hanno disertato o si sono alleati ai vari gruppi ribelli, lasciando il paese nel caos e l’esercito nel panico, cosa che ha portato l’infiltrazione di gruppi armati nel Nord del paese.
In Mali, la comunità internazionale si posiziona decisamente contro i colpisti, senza fare un analisi geopolitica più complessa e che preveda una riflessione sulla subregione ed in particolare sulle conseguenze della guerra scatenata in Libia, che ha armato gruppi di ribelli e trafficanti del deserto che oggi, senza il riferimento di Gheddafi, sono allo sbando e senza un controllo.
Intanto Blaise Campaoré (presidente del Burkina Faso) e Ouattara (presidente della Costa d’Avorio), interessati a dare un segno forte contro gli oppositori interni che minacciano colpi di stato, gestiscono, con l’aiuto della Francia, il destino di un paese che negli ultimi anni aveva raggiunto un alto grado di democratizzazione formale, senza interessarsi alle cause sociali e economiche che l’embargo e un eventuale guerra al Nord porterebbero alla popolazione che in più soffre di un annata con deficit di pioggia e di un periodo dell’anno, in cui le scorte alimentari iniziano a scarseggiare.
France 24 continua a intervistare il porta voce del governo provvisorio touareg, che ha la sua sede a Parigi, dando voce ai cosi detti “ribelli” del Mnla, che non controllano ne politicamente ne militarmente la zona Nord del Mali (Arzawad), confusa tra un immensità di piccoli gruppi legati ai salafisti, ad Aqmi e al traffico di droga. Il Maliani sono sconcertati e scoraggiati, dall’abbandono in cui i paesi confinanti li hanno lasciati, senza capire perché al posto di appoggiare la guerra contro i ribelli del Nord, si concentrino a contrastare un popolo già allo stremo.
Negli ultimi giorni, l’embargo è stato tolto, grazie alla decisione del capitano Sanogo, responsabile del colpo di stato, di lasciare con una rapidità da record il potere alle autorità civili. Questa decisione non ha risolto i problemi politici del paese, aggravati dagli arresti negli ultimi giorni di personaggi di spicco della politica e della difesa, e da una classe politica incapace di concentrarsi sulle necessità del popolo.
In questa situazione di incertezza, i nostri partners ci riferiscono paura e confusione, increduli che un paese come il Mali possa essere sprofondato in una crisi che non vedrà soluzione nel breve periodo.
Simone Teggi

mercoledì 4 aprile 2012

Colpo di stato e ribellione tuareg in Mali

ribellione tuareg

In seguito allo scoppio della ribellione tuareg nel nord del Mali, nella notte tra il 21 e il 22 marzo una parte dei militari ha occupato la televisione pubblica e alcuni edifici governativi, accerchiando il palazzo presidenziale e il ministero della difesa. Il motivo è il malcontento da parte delle forze militari verso il governo ed il presidente in merito alla “cattiva gestione degli eventi al nord” e quindi la cattiva gestione dell diritto alla democrazia. I militari accusano di avere scarso sostegno per fronteggiare i disordini al nord e quindi il governo di non saper gestire i dialoghi e gli accordi. La giunta afferma di voler restaurare a breve la costituzione, ma intanto gli aiuti internazionali sono stati bloccati e non si sa nulla delle elezioni previste.

I tuareg, forti delle armi riportate in Mali dalla Libia, hanno buon gioco a fronte della divisione dell’esercito, e dopo aver conquistato Timbuctu e Gao stanno allargando il loro controllo sull’Azawad, il vasto territorio desertico da loro rivendicato, e si dirigono verso Mopti. I tuareg fanno riferimento a varie organizzazioni, di cui la principale è la MNLA.

Inoltre è in corso una seria crisi alimentare.

A Bamako si trova un collaboratore nostro e di Terra Nuova, che sta supervisionando il nostro progetto, rientrato nella capitale a febbraio, con cui siamo in contatto perenne.

Le frontiere sono chiuse, la capitale è relativamente tranquilla, ma con frequenti blackout. La situazione è imprevedibile ed in continua evoluzione. Seguiteci per aggiornamenti costanti su https://twitter.com/#!/ReteOng