mercoledì 20 ottobre 2010

COMUNICATO STAMPA

Roma, 20 ottobre 2010

Tagliati ulteriormente i fondi per la Cooperazione!

Le Ong del Cocis denunciano la miopia del governo e del Ministro degli Esteri che hanno smantellato la cooperazione governativa italiana.

Secondo quanto riportato nella Finanziaria 2011 presentata oggi, il già magro bilancio complessivo del Ministero degli Esteri si contrae rispetto al 2010 di ulteriori 185 milioni di euro, e di questo taglio quasi l'80% viene fatto ricadere sulla Cooperazione Internazionale per scelta dello stesso Ministero.

La legge 49/87 che riconosce la Cooperazione come parte integrante della politica estera viene praticamente azzerata nella sua operatività. Già l'azione ordinaria di governo aveva scompaginato gli uffici della Cooperazione governativa in Italia e all'estero: ora a quel poco che resta si toglie ogni effettiva capacità di intervento.

Tutto ciò conferma drammaticamente il totale disinteresse del governo per l'attività internazionale dell'Italia.

La credibilità dell'Italia all'estero non era mai scesa così in basso. Tutti gli impegni internazionali solennemente assunti nei consessi internazionali sono stati disattesi con la massima disinvoltura.

Chi crede più alle promesse dell'Italia?

Le Ong del Cocis sono convinte che le buone relazioni di partenariato internazionale, costruite anche attraverso la Cooperazione, oltre ad essere un contributo importantissimo per la pace siano anche una grande opportunità per uscire positivamente dalla crisi economica, e non una mera forma di elemosina internazionale fine a se stessa.

Facciamo pertanto appello ai cittadini, al Presidente della Repubblica, ai parlamentari e alle forze politiche di maggioranza e di opposizione affinché chiedano il ripristino della operatività della cooperazione italiana come previsto dalla legge, contro la miopia del Ministro degli Esteri e del Governo.

Per il Cocis

Giancarlo Malavolti (Presidente)


COCIS

Coordinamento delle Organizzazioni non governative per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo

Il Cocis è un coordinamento di 25 Ong impegnate per lo sviluppo equo e sostenibile dei popoli, per la pace e la realizzazione dei diritti fondamentali, per tutti.

Aderiscono al Cocis: ACS, Arcs – Arci Cultura e Sviluppo, Associazione Giovanni Secco Suardo, Centro Studi Pan, Cestas, Cic, Cies, Ciss, Cospe, Cric, Disvi, Gus, Icei, Mais, Medina, N:EA, Nexus, Orlando, Peace Games, RC, Re.Te, Sviluppo 2000, Terra Nuova, Architettura Senza Frontiere, Sai Mai- Il filo di seta.

Comunicato Ong Italiane

Cooperazione italiana al capolinea !

Dichiarazione di Francesco Petrelli, Presidente dell’ Associazione delle ONG Italiane





Roma, 19 ottobre 2010 - Se i dati che si prospettano nella prossima Legge Finanziaria saranno confermati, si profila una vera e propria dismissione finale della cooperazione italiana. Con questa legge per il 2011 si producono tagli ulteriori che portano il capitolo inerente alla Legge sulla Cooperazione (49/1987) a 179 milioni di euro che al netto di quanto già impegnato fa scendere il totale e meno di 100 milioni. Si tratta di un ulteriore taglio di quasi il 50% !

Di fatto il governo italiano con questa scelta si assume la responsabilità di lasciare milioni di persone a un futuro di fame, povertà, pandemie come l’AIDS e la tubercolosi.

Esiste il rischio concreto che l’Italia sia esclusa dai tavoli che contano dove siedono paesi industrializzati come il G-8 o il G-20, non potendo il nostro Paese violare in modo così netto e radicale tutti gli impegni presi su fame , povertà e lotta ai cambiamenti climatici. Oramai L’Italia potrebbe apparire alle istituzioni internazionali come un paese non idoneo ad ospitare le Agenzia delle Nazioni Unite della sicurezza alimentare: FAO, IFAD e World Food Programme.

La stessa Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del Ministero Affari Esteri con i suoi costi di gestione rischia in questo quadro di non avere più senso, venendo letteralmente a mancare l’oggetto delle proprie attività.

E’ probabile che in questo quadro le risorse per realizzare nuovi progetti per le ONG saranno pari a zero.

Chiediamo al Parlamento alle forze politiche, della società civile di impedire che la cooperazione sia cancellata. Sono in gioco non solo fondamentali valori di solidarietà e giustizia, ma anche la credibilità e il ruolo dell’Italia.

La fine Cooperazione della Cooperazione Italiana

da www.repubblica.it


GOVERNO

Finanziaria 2011, cooperazione addio
Taglio del 45% sui fondi per lo sviluppo

L'intervento italiano nei Paesi bisognosi di aiuto si riduce a 179 milioni di euro: la cifra più bassa degli ultimi 20 anni: meno di un decimo di un'organizzazione come Msf. Le altre nazioni europee e diversi emergenti (Cina, Brasile) hanno scelto la strada opposta

di GIULIO DI BLASI




ROMA - La Finanziaria 2011 licenziata ieri dal Consiglio dei Ministri pone la definitiva pietra tombale sulla cooperazione italiana. Questo è quanto emerge dalle prime reazioni raccolte tra gli operatori del settore che, per l'ennesima volta, si trovano a denunciare il mancato rispetto degli impegni internazionali presi dal nostro paese.



Infatti, meno di un mese dopo l'Assemblea Generale dell'ONU dedicata agli obiettivi del millennio, il Governo ha deciso di tagliare del 45% i fondi dedicati alla cooperazione allo sviluppo dal nostro paese, raggiungendo il record negativo di 179 milioni di euro per il 2011. Una cifra - la più bassa degli ultimi 20 anni - cui devono essere ulteriormente sottratti circa 80 milioni di euro per le spese di gestione, lasciando meno di 90 milioni per le nuove operazioni sul terreno. Per dare una proporzione, l'Italia contribuisce alla lotta alla povertà per meno di un decimo dei fondi annuali della famiglia internazionale Medici Senza Frontiere. La protesta del settore nell'amara dichiarazione del presidente delle Ong italiane, Francesco Petrelli: "Di fatto il governo italiano con questa scelta si assume la responsabilità di lasciare milioni di persone a un futuro di fame povertà, pandemie come l’AIDS e la tubercolosi". Che poi aggiunge: "La stessa Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del Ministero Affari Esteri rischia in questo quadro di non avere più senso, venendo letteralmente a mancare l'oggetto delle proprie attività. Chiediamo al Parlamento alle forze politiche, della società civile di impedire che la cooperazione si cancellata. Sono in gioco non solo fondamentali valori di solidarietà e giustizia, ma anche la credibilità e il ruolo dell'Italia".
E questo avviene mentre in Europa i tagli toccano tutti i settori salvo quello della cooperazione allo sviluppo. Lo stesso Regno Unito, costretto ad una cura dimagrante dal nuovo governo conservatore, ha lasciato intatti gli stanziamenti per la lotta internazionale alla povertà. Una scelta in ossequio ad un principio morale di solidarietà, ma anche nell'ottica di un investimento nella sicurezza e nella stabilità internazionali.

La partita degli aiuti allo sviluppo, in cui l'Italia ha sino ad oggi accumulato ritardi per oltre 20 miliardi di dollari, non riguarda solamente le vaccinazioni o le distribuzioni alimentari nei paesi in via di sviluppo, ma è una delle chiavi di volta per l'accesso alle posizioni decisionali del futuro sistema internazionale. Basti pensare che paesi emergenti come il Brasile o la Cina stanno aumentando ogni anno i propri investimenti in cooperazione internazionale, nella certezza che ciò contribuisce alla tutela del proprio interesse nazionale.

La decisione di quest'anno, denunciano le Organizzazioni Non Governative, viene presa non solo in contrasto con gli impegni presi internazionalmente dal nostro paese, ma anche con una precisa volontà del Parlamento che a giugno aveva impegnato il Governo a non ridurre i fondi per la cooperazione allo sviluppo.

L'auspicio delle Ong è che questa politica poco lungimirante venga ribaltata in ambito di discussione in aula. Il mantenimento dei fondi del 2010 - che già ci ponevano in fondo alle classifiche europee - è la precondizione necessaria per non far calare definitivamente il sipario sulla cooperazione allo sviluppo italiana.










(19 ottobre 2010)

martedì 28 settembre 2010

Laboratorio “Sapori e saperi dal mondo”. Parole ed assaggi dal Marocco

Giovedì 30 settembre 2010, alle ore 20
presso la Suoneria
di Settimo Torinese (TO)
Via dei Partigiani 4

"Sapori e saperi dal mondo"

Parole ed assaggi dal Marocco

Intervengono Marya Madii e Nezha Mousaif; coordinamento curato da Pina Pizzo.
Iscrizione obbligatoria (12 € a persona) telefonando al n° 011/80.28.349 a partire dal 1° settembre.
I fondi raccolti durante la serata saranno interamente devoluti a favore di interventi di ricostruzione e sviluppo sul territorio di Haiti, colpito dal terremoto nel mese di gennaio 2010.
A cura della Casa dei Popoli, in collaborazione con le Associazioni RE.TE.ONG, A.M.E.C.E. e Multiplay e con il contributo della Regione Piemonte.

mercoledì 15 settembre 2010

Mladic, I diari dell'orrore. "Sterminare i Musulmani"

Da Repubblica.it del 15/09/2010

"UCCIDERE 50mila musulmani in più non porterebbe a niente. Recupereremo in seguito. La nostra vera priorità è sbarazzarci della popolazione musulmana (sostituendola con serbi e croati, ndr)". "I musulmani sono il nemico comune nostro e dei croati, dobbiamo cacciarli in un angolo dal quale non possano più muoversi". La pulizia etnica da realizzare ad ogni costo è l'ossessione di Ratko Mladic in tutti i suoi scritti.



Dei suoi diari segreti. Delle sue cronache dal fronte di guerra jugoslavo negli anni a cavallo tra il 1992 e il 95. Diciotto quaderni, fitti di appunti, considerazioni, citazioni sulla necessità di fare piazza pulita una volta e per sempre degli islamici dalla sua terra. Oltre 3500 pagine che inchiodano il boia di Srebrenica, più ancora delle testimonianze dei sopravvissuti di quel massacro, alle proprie responsabilità. C'è del suo, ovviamente ma non mancano considerazioni del suo sodale, dell'ideologo delle sue scorrerie, Radovan Karadzic: "Dobbiamo aiutare i croati a forzare la mano ai musulmani affinché accettino la divisione della Bosnia", annota Mladic riportando brani dell'intervento del leader serbo bosniaco nel corso di una riunione alla quale partecipò anche Milosevic. E ancora: "I Balcani stanno diventando un fronte di guerra tra le forze che vogliono germanizzare l'area e quelle che la vogliono islamizzare". Citazioni, dunque, ma anche profonde riflessioni: "La coalizione occidentale crede di aver trovato la formula per trasformare noi serbi e le altre popolazioni balcaniche in un'orda di vagabondi", condite qua e là da accuse pesanti alle presunte interferenze di Unione europea e Stati Uniti, responsabili a suo giudizio di "flirtare con i musulmani perché hanno interessi in Medio Oriente e hanno quindi la necessità di fare alcune concessioni".

Dopo 15 lunghissimi anni Mladic è ancora in fuga, malato terminale si dice, protetto ormai solo da un pugno di fedelissimi e dalla famiglia, moglie, figlio e nuora, che non lo hanno mai abbandonato. Ma quegli scritti di suo pugno - in cirillico ovviamente, entrati in possesso dei giudici del tribunale olandese e finalmente tradotti - sono la Prova che l'accusa cercava. La prova non solo contro il braccio militare, Mladic appunto, ma anche contro le menti politiche di quegli orrori: Radavan Karadzic, il leader serbo bosniaco, e Slobodan Milosevic, il presidente padrone della Serbia. Costituiscono l'evidenza, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la pulizia etnica fu pianificata a tavolino. Come conditio sine qua non per l'attuazione del folle progetto di una Grande Serbia. C'è voluto del tempo perché un documento di questa importanza venisse alla luce. Il tempo necessario perché Belgrado scegliesse tra passato e futuro e finalmente facesse la cosa giusta.

Bosiljka, la moglie dell'ex leader militare serbo-bosniaco, custodiva gelosamente quei diari nella bianca casa sulla collina di Banovo brdo, al 117 b di Blagoja Parovica a Belgrado. Erano lì, sotto gli occhi di tutti, sarebbe bastato cercarli. Cosa che è stata fatta solo quando la signora Mladic e suo figlio Darko si sono spinti un po' più in là del "lecito". Hanno tentato cioè di risolvere, leggi alla mano, il problema della latitanza del loro congiunto con una dichiarazione di morte presunta - Mladic ha settant'anni e da cinque non dà ufficialmente notizie di sé - per fortuna respinta il 28 giugno scorso da un tribunale serbo. Evidentemente era troppo anche per chi in questi anni ha fatto finta di non vedere. E allora, e solo allora, quelle note sono finalmente saltate fuori. Una perquisizione nel corso della quale sono state rinvenute anche armi da guerra che potrebbero aggravare la situazione giudiziaria della stessa signora Mladic.

E' notorio che tutti gli ufficiali debbano compilare dei resoconti delle loro missioni, ma i diari di bordo di Mladic possono fornire un quadro dettagliato, fare finalmente luce su quel triennio '92-95. Su obiettivi militari strategici, su possibili sanzioni o semplicemente sul trattamento dei civili a Srebrenica alla vigilia del genocidio di 8mila uomini e donne per mano delle forze di Mladic e dei paramilitari serbi. Per ora dai pochi estratti che i giudici olandesi hanno lasciato filtrare, Mladic sembra privilegiare piuttosto che la cronaca dei sanguinari raid dei suoi uomini, la "dottrina" che sta dietro a quelle azioni militari. Una sorta di giustificazione ideologica di quegli eccessi. Ecco perché fa sue frasi di altri come l'ex generale croato, Slobodan Praljak, anche lui accusato di crimini di guerra: "Ci conviene che i musulmani se ne stiano in un loro angolo e non si muovano più da lì". O prende in prestito - "I musulmani sono il nostro nemico comune" - considerazioni dell'ex leader croato, Jadranko Prilic. In ogni caso Mladic si mostra sicuro di potere portare a casa la vittoria che i suoi capi pretendono "a patto di restare uniti (si riferisce ovviamente a serbi e croati, ndr) intorno ad un unico, grande obiettivo comune". (15 settembre 2010)


www.repubblica.it 15 Settembre 2010

venerdì 27 agosto 2010

Guerra di spie tra Maghreb e Sahel, per l'uranio

Tra Maghreb, Sahel e Africa occidentale è in corso una guerra segreta tanto ampia quanto complicata. Nemmeno l'assassinio di Michel Germaneau, membro del gruppo umanitario francese Enimilal, preso in ostaggio da Al Qaida al Maghreb e ucciso come replica a un raid dei soldati mauritani e francesi.
L'Algeria è parte della guerra occulta del Sahara, con una tradizione anti yankee, dovuta alla partecipazione al Movimento dei Paesi non-allineati, guidato da Tito. Prima e dopo gli accordi sul gas tra la company statali dell'energia Sonatrach e Gazprom in realtà Algeri ha sempre avuto rapporti migliori con la Russia che con gli Usa e la Francia.
Un articolo del Quotidien d'Oran lancia accuse contro gli occidentali. Si noti bene che gli algerini non vedono di buon occhio il possibile supporto occidentale all'independentismo amazigh nella regione della Cabilia e tra i tuareg del Sahel. In Cabilia agisce anche il terrorismo di AQMI (Al Qaida).
A ciò si aggiunga il fatto che Obama sta proseguendo col programma di una Nato africana in funzione antiterrorista, varato da G.W. Bush col codice AFRICOM.

Africom è un gruppo di unità militari combattenti a guida Usa, dispiegato in accordo con 53 nazioni africane (esclusi solo Sudan, Corno d'Africa ed Egitto). Il primo obiettivo del comando che ha sede in Germania è contro la penetrazione della jihad salafita alqaidista e di quella sciita iraniana, attive nel continente dagli anni '70 in poi.

The U.S. Congress has approved US$500 million for the Trans-Saharan Counterterrorism Initiative (TSCTI) over six years to support countries involved in counterterrorism against alleged threats of Al Qaeda operating in African countries, primarily Algeria, Chad, Mali, Mauritania, Niger, Senegal, Nigeria, and Morocco.[10] This program builds upon the former Pan Sahel Initiative (PSI), which concluded in December 2004[11] and focused on weapon and drug trafficking, as well as counterterrorism.[12] Previous U.S. military activities in sub-Saharan Africa have included Special Forces associated Joint Combined Exchange Training. (Wiki Usa)

La seconda missione geopolitica (non espressa ufficialmente) consiste nell'evitare che l'Africa cada nelle mani dei cinesi, come avviene con sempre maggiore frequenza.

Secondo Le quotidien d'Oran la penetrazione (o contropenetrazione) americana si fonda anche su molte
spie, annidate tra le popolazioni nomadi tuareg del Sahel. Al Qaida sarebbe un pretesto, un'invenzione della Cia. Tutto il grande accanimento tra Maghreb, e Sahara, Ciad, Mali e Mauritania, significa invece che nell'area sono celate altre ricchezze: idrocarburi, e soprattutto molto uranio.
Dopo l'assassinio di un ostaggio, la liberazione del francese Pierre Camate, da parte di AQMI, significa che costui era un agente del DGSE francese (Direction générale de la sécurité extérieure), nonostante le smentite del governo di Parigi. dopo una voce dal sen sfuggita, ad opera di Bernard Bajolet, responsabile dell'Ufficio Stampa di Sarkozy.
Poi ci sono gli agenti americani, sbarcati di nascosto da sottomarini, secondo il quotidiano mauritano AlKhaleej. Si tratterebbe di yankees trasformati in "perfetti beduini" in grado di parlare la lingua, di sapere le tradizioni e le alleanze tribali meglio di un Lawrence d'Arabia. Gli agenti Cia infiltrati avrebbero anche "trovato il modo di scurirsi la pelle utilizzando i trucchi di Hollywood, nonostante provengano dai grattacieli della Silycon Valley". Tutto ciò allo scopo di mettere mano a "ricchezze minerarie inestimabili" nel Mali e in altre zone del Sahel.

Ci sarebbero anch
e delle donne, in grado di parlare perfettamente la Hassania, lingua della Mauritania e del Sahara occidentale. AlKhaleej cita il caso di una donna sposata con un mauritano, che conosce meglio del marito i legami tra tutte le famiglie. Si tratta di veri sociologi e antropologi, capaci di interagire con i capi L'intero Sahel pullula di agenti infiltrati: americani e francesi, ma anche algerini e marocchini. Dopo l'arrivo di Sarkozy, francesi e americani sarebbero alleati contro cinesi, alqaidisti, algerini e libici. Una guerra di tutti contro tutti: cinica, feroce e segreta, in nome dell'uranio.

fonte:
http://lapulcedivoltaire.blogosfere.it/2010/08/guerra-di-spie-tra-maghreb-e-sahel-per-luranio.html

mercoledì 21 luglio 2010

Un contributo di Marco Bersani - Attac Italia






LA RIVOLUZIONE DELL’ACQUA

Un milione e quattrocentomila donne e uomini che sottoscrivono i tre referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua rappresentano una piccola grande rivoluzione.

Come tale, provoca immediato spavento nei poteri forti e in un quadro politico-istituzionale non avvezzo all’idea che possa esistere una soggettività sociale capace di prendere parola e di progettazione autonoma.

Un primo tratto di questa rivoluzione risiede nel fatto che sul tema dell’acqua si è ormai costituito, per la prima volta dopo decenni, un vero e proprio movimento nazionale di massa.

L’Italia, come ciascuno può intuire anche ad un’ osservazione superficiale, è un Paese tutt’altro che pacificato : decine di conflitti attraversano il mondo del lavoro, la società e le realtà territoriali.

Sono esperienze dotate spesso di una fortissima radicalità ma al contempo di altrettanta frammentazione.

Dentro questo contesto, il movimento per l’acqua si colloca come una fertile anomalia : estremamente reticolare e radicato nei territori, su questo humus ha saputo costruire e vivificare nel tempo –dalla legge d’iniziativa popolare alla campagna referendaria, passando per due grandi manifestazioni nazionali- una forte vertenza nazionale, capace di incidere sull’agenda politica del Paese.

Il secondo tratto risiede nel non negoziabile contrasto con il pensiero unico del mercato : dopo due decenni di egemonia della cultura dell’impresa sulla società e la vita delle persone, il movimento per l’acqua costruisce una mobilitazione densa non per ottenere qualche riduzione del danno, bensì per affermare la totale fuoriuscita dell’acqua e dei beni comuni –essenziali alla vita- dal gorgo delle Società per Azioni comunque delineate. E per affermarne la riappropriazione sociale e una gestione pubblica e partecipata dalle comunità locali.

O la Borsa o la vita, per dirla senza perifrasi.

Il terzo tratto nasce dalla straordinaria domanda di democrazia e di protagonismo sociale che questo movimento ha messo in campo e ha saputo intercettare : le donne e gli uomini che hanno profuso energie, in ogni comitato nato nella più grande metropoli così come nel più piccolo paese di montagna, e i cittadini corsi a frotte a firmare affermano la straordinaria volontà di decidere tutte e tutti in prima persona su ciò che a tutti appartiene. Per la qualità della vita nel presente oggi e una possibilità di futuro per le future generazioni.

Da questo punto di vista, il referendum è uno strumento ma anche un fine in sé, in quanto afferma il principio che su beni essenziali alla vita come l’acqua nessuna delega è autorizzata e la decisione deve appartenere a tutte e tutti.

Da ultimo, ma non per importanza, emerge il tratto di laboratorio di democrazia e partecipazione che il movimento per l’acqua ha saputo costruire in quasi un decennio di esperienza. Il costante rapporto fra locale e globale, l’approccio inclusivo verso le più diverse culture e provenienze, il metodo del consenso come elemento costitutivo di tutti processi decisionali fondamentali, hanno fatto di questa esperienza un interessante laboratorio di formazione collettiva, di saperi condivisi, di redistribuzione della conoscenza.

Un laboratorio perfettibile, ma sufficientemente attrezzato da consentire al movimento dell’acqua, a differenza di altri luoghi di costruzione dell’opposizione sociale e politica, di evitare una delle conseguenze più nefaste del degrado della politica : la nascita dei populismi, che, anche nelle loro versioni più avanzate, costruiscono appartenenza sull’elemento simbolico della personalizzazione.

Al contrario, nel movimento per l’acqua l’appartenenza nasce dalla condivisione del tema e di una piattaforma valoriale, culturale e politica che si fonda su obiettivi di radicale trasformazione della democrazia nel senso della partecipazione sociale.

Sono queste alcune delle caratteristiche che, nel determinare il successo della campagna di raccolta firme, mettono in campo un potenziale di cambiamento di grande fertilità sociale.

Un popolo che riprende collettivamente parola è molto più pericoloso di un popolo che cerca di volta in volta qualcuno a cui affidarsi.

Sarà un autunno caldo per la battaglia dell’acqua.

Sapremo rinfrescarci in primavera con una marea di SI alla riappropriazione sociale dell’acqua.

Marco Bersani Attac Italia Luglio 2010



http://www.acquapubblicatorino.org/

http://www.italia.attac.org/spip/

venerdì 9 luglio 2010

E' nata SARA!!!

La famiglia di RETE cresce!!!!...
Ieri alle 8. 30 è nata SARA... tanti auguri a Daniela, Pietro e alla sorellina Lisa...