venerdì 15 maggio 2009

Discriminazione omicida

08/05/2009 da PEACEREPORTER

In Guatemala, una donna al giorno viene assassinata. Storie e opinioni su un fenomeno gravissimo strettamente legato a una società misogina e mafiosa

Più di 4300 donne sono state assassinate in Guatemala negli ultimi otto anni, con un aumento nel periodo 2002-2008 del 457 percento. Sono questi i termini della denuncia delle associazioni di donne guatemalteche, riunite a Città del Guatemala nella Plataforma de Mujeres Artistas seguendo lo slogan "Non più femminicidi".

Cifre da capogiro. Con l'occasione, è stato segnalato che l'organismo giudiziario ha ricevuto nel 2008 un totale di 39.400 denuncie di violenza familiare, nel 90-95 percento dei quali erano coinvolte delle donne. Una situazione allarmante, aggravata dal fatto che nel paese centroamericano "il sistema della giustizia non porta in giudizio né castiga i colpevoli. L'impunità negli omicidi delle donne è quasi assoluta, nel 98 percento dei casi non si ha giustizia penale", spiegano in un documento appena stilato.
Secondo il Gruppo guatemalteco delle donne (Gmc) fra gli anni 2007 e 2008 1.414 donne sono decedute per morte violenta, le denuncie sono state 1101 e le sentenze solo 185 (121 condanne e 64 assoluzioni). La relatrice della Commissione internazionale contro l'impunità, (Cicig), Susana Villarán, uno degli elementi che favoriscono l'impunità "è la debolezza imperante nelle istituzioni pubbliche incaricate di portare avanti le indagini". Uno dei fatti più preoccupanti, secondo lei, è la chiusura del Ministero apposito responsabile dell'unità delle indagini nei casi di femminicidio e in temi legati ai diritti umani.
Nonostante nel paese sia stata recentemente approvata una legge contro questo crimine e altre forme di violenza contro le donne, le associazioni femminili denunciano "vuoti" enormi, come la scarsa coordinazione tra la Polizia nazionale civile e la Giustizia, o la creazione di un pool che indaghi sui delitti contro la donna o anche l'organizzazione di giornate per informare. Per il Govenro guatemalteco la sicurezza della donna "non è una priorità".

Ma che tipo di violenza si scatena contro le donne? "Si tratta di forme di violenza diversificate. Si verificano episodi di vessazioni come violenza carnale, torture ai genitali, squartamenti, tutti da catalogare sotto la voce ‘intimidazione'. C'è comunque sempre crudeltà, ferocia e odio.
"Molte di queste donne sono morte in circostante brutali - spiegano Patricia Masip Garcia e Sandra Pla Hurtado di Amnesty International - Ad accomunare la maggior parte di questi delitti è comunque la violenza sessuale e le mutilazioni trovate sul corpo delle vittime ricordano molto quelle commesse durante la guerra civile". Secondo Amnesty, comunque, la vera dimensione dei femminicidi in Guatemala resta sconosciuta, da qui il dito puntato, ancora un volta, sulle forze dell'ordine e le autorità tutte. La maggioranza di queste donne ammazzate sono casalinghe, studentesse e professioniste. Molte vengono dai settori poveri della società, lavorano sottopagate come donne di servizio, o in negozi o in fabbrica. Alcune sono immigrate in Guatemala dai paesi limitrofi, altre erano membri o ex membri di bande giovanili e coinvolte in giri di prostituzione. La maggioranza sono tra i 13 e i 40 anni. "Al centro della crisi dei diritti umani che affrontano le donne guatemalteche c'è la discriminazione di genere, insita anche nella scarsa risposta delle autorità di fronte a tali crimini - spiega .... - Alcuni funzionari qualificano le vittime come membri di bande o prostitute, facendo trapelare un'attitudine discriminatoria contro di loro e le loro famiglie, che condiziona anche le indagini e la maniera di documentare i casi, includendo persino la decisione se indagare o documentare. E, a quanto dichiarato ufficialmente, nel 40 percento dei casi si archivia punto e basta". Cifra che si trasforma in un 70 percento secondo il Procuratore dei diritti umani del Paese.

La storia di Clara Fabiola è esemplificativa di quello che è il connubio donne-violenza-impunità in Guatemala. Ventisei anni, fu ammazzata il 4 luglio 2005 a colpi di pistola in pieno centro a Chimaltenango, nel sud del paese. Morì poco dopo all'ospedale. Due anni prima, il 7 agosto 2003, Clara Fabiola aveva assistito all'omicidio delle sue due sorelle, Ana Berta ed Elsa Mariela Loarca Hernàndez, di 15 e 18 anni, uccise a Città del Guatemala. Nel febbraio 2005, la sua testimonianza fu chiave per condannare a cento anni di carcere il marero (le maras sono le gang delle zone più malfamate del Centroamerica) Oscar Gabriel Morales Ortiz, alias "El Smol", il quale giurò davanti ai mass media che gliel'avrebbe fatta pagare. Così è stato, ma nessuno mai è stato processato per l'omicidio della testimone scomoda.

"Il Guatemala è intriso di violenza - ci racconta Margriet Poppema, docente all'Università di Amsterdam e ricercatrice sul tema "Educazione e sviluppo in società multiculturali", appena rientrata dal Guatemala - La ferocia è strutturale e fa comodo alla cupola di potere con la quale la stessa politica deve fare i conti, ogni giorno. Anche l'attuale presidente, Colom, che sta smuovendo qualcosa in molti settori del sociale, ha le mani legate davanti a questo. E la questione della misoginia aggrava il quadro. La donna è da sempre l'anello debole in una società impregnata di machismo. E in un paese dove essere violenti è la norma, diventa altrettanto normale abusare, violare, mutilare, uccidere la femmina, che altro non è se non la creatura al servizio del maschio. Quasi fosse una sua proprietà. La cosa più scioccante è che nel paese mai si parla di questo. Non fa notizia, si preferisce ignorare. Tra le donne c'è un casto pudore misto a paura, e l'impunità rende tutto più crudele. È la longa manu del potere parallelo che tutto controlla e manovra, plasmando la società".

Stella Spinelli

martedì 12 maggio 2009

nasce il GAS di RETE


Il GAS sarà aperto a tutti gli interessati. C’è stato un primo incontro che ha fissato alcune proposte. Una volta raccolte maggiori informazioni, si selezioneranno insieme alcuni prodotti da testare. Si raccolgono proposte e suggerimenti.
Si constituirà una cassa e sarà fissata una data per il ritiro di ogni prodotto.
Gli interessati si possono iscrivere al gruppo gasrete@yahoogroups.com alla pagina http://it.groups.yahoo.com/group/gasrete/.

lunedì 4 maggio 2009

Il tempo delle riforme

DALL'OSSERVATORIO BALCANI E CAUCASO
24.04.2009 scrivono Vedran Džihić e Christophe Solioz

Sarajevo
La crisi politica in Bosnia Erzegovina e il percorso di integrazione europea. Il letargo di Bruxelles dopo Lisbona, la crisi economica internazionale, il ruolo della società civile: le proposte per il nuovo Alto Rappresentante, Valentin Inzko
Questo testo appare su Osservatorio Balcani e Caucaso e Oslobodjenje


Se si volesse misurare l'attuale situazione in Bosnia Erzegovina (BiH) in base alle dinamiche del suo processo di avvicinamento all'Unione Europea, il risultato sarebbe catastrofico. Il paese vive un momento di stagnazione a causa della frammentazione politica e dei giochi di stampo etno-nazionalistico, ed è il fanalino di coda dell'intera regione nel processo di integrazione europea. Il solo fatto che ad un anno dalla firma dell'Accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA) con l'UE le autorità della BiH non abbiano ancora elaborato una strategia per la sua implementazione, rende chiara l'idea sulla preparazione dell'élite politica bosniaca ad iniziare un lavoro effettivo sul suo futuro europeo al di fuori della vuota retorica.

Al contempo anche l'UE, nella sua letargia post-Lisbona, condita dalla crisi economica globale, non dimostra alcun segnale incisivo o coraggioso riguardo alla questione dell'allargamento. E' il momento di chiamare con il giusto nome i problemi sostanziali nel processo di integrazione europea della Bosnia Erzegovina, e di mettersi alla ricerca di soluzioni concrete per uscire dallo stallo attuale. L'UE dev'essere chiara una volta per tutte e dire alla BiH e ai suoi cittadini cosa possono aspettarsi:un partenariato esterno all'Unione, oppure l'integrazione a pieno titolo.

Leggi la versione in bosniaco su Oslobodjenje

Prima parte - Seconda parte
Innanzitutto, è doveroso chiarire alcuni punti relativi all'Unione e alla sua influenza sulla regione dei Balcani Occidentali e la Bosnia Erzegovina. Se si considera la questione dal punto di vista dell'UE, in primo piano vi è la questione dell'allargamento, se procedere, e a quale velocità, dato che in questo momento l'Unione stessa è alle prese con cambiamenti istituzionali e con la crisi economica, senza contare che lo scetticismo di determinati stati membri e della maggioranza della popolazione europea nei confronti dell'allargamento resta decisamente elevato. Negli ultimi anni l'UE non ha mantenuto per nulla le promesse fatte ai paesi dei Balcani Occidentali al summit di Salonicco del 2003. L'incontro dei ministri degli Esteri dello scorso marzo a Praga, e gli scontri dietro le quinte per affermare almeno simbolicamente la prospettiva europea per i Balcani, possono essere considerati come un segnale di un'Europa passiva e indecisa riguardo al processo di allargamento.

Se si assume, invece, il punto di vista degli stati della regione e della Bosnia Erzegovina, il dilemma fondamentale è semplice: il processo di europeizzazione (riforme dello stato e dell'amministrazione, rafforzamento delle capacità distributive dello stato, implementazione degli standard europei in politica e in economia, tutela dei diritti umani e delle minoranze nazionali, ecc.) è molto più complesso in BiH che non negli altri paesi dell'Europa dell'Est nel loro cammino verso Bruxelles.

L'europeizzazione in Bosnia Erzegovina, come processo di democratizzazione ad hoc, si sviluppa parallelamente alla transizione da un sistema socialista e dallo stato di guerra ad uno stadio post-conflitto di ricostruzione statale e sociale. Proprio per questi parallelismi il semplice adempimento delle richieste tecnocratiche dell'UE non è sufficiente per la trasformazione sostanziale della BiH. Evidentemente le élite politiche del paese non lo notano o non vogliono notarlo. Il processo di europeizzazione dovrebbe essere identificato, nella regione e in BiH, come un'esigenza primaria e come una possibilità per avviare la vera modernizzazione e democratizzazione del paese; lo scopo sarebbe quello di costruire uno stato funzionante, un'amministrazione efficiente e una società al cui centro si trovi il cittadino e non gli interessi particolari di un'élite di stampo etno-nazionalista politica o economica.

E qui, oltre alla politica passiva dell'Ue, si arriva a due problemi chiave della BiH: il primo è che le élite politiche locali non sono pronte per assumersi il ruolo di riformatori della società e apportare le modifiche necessarie. I loro interessi e quelli del loro entourage sono più importanti rispetto ai cittadini e ai loro problemi e aspettative. Il secondo problema è di natura sostanziale: in BiH il processo di europeizzazione viene ancora recepito come un adeguamento puro e semplice ai criteri e alle richieste dettate dall'UE. E' necessario quindi un altro modo di intendere il fenomeno, un diverso modo di ragionare. Questo processo dev'essere riconosciuto come un'esigenza genuina della BiH e dei suoi cittadini. Lo si deve simbolicamente “strappare dalle mani” di quelle élite politiche che lo bloccano in modo consapevole e trasformarlo, così, in un progetto autentico per tutti i cittadini. Gli abitanti della BiH devono dire chiaramente: vogliamo entrare in Europa non a causa dell'UE, ma per noi stessi, perché siamo parte dell'Europa. Su questa strada è necessario cambiare i parametri dell'attuale cupa realtà della Bosnia Erzegovina.

Il processo di europeizzazione in BiH è particolare anche per un'altra ragione. L'Ufficio dell'Alto Rappresentante (OHR) è ancora presente come istituzione responsabile dell'attuazione dell'Accordo di Dayton. Nella fase estremamente sensibile di trasformazione dell'OHR sotto la guida del nuovo Alto Rappresentante Valentin Inzko, sarà necessaria una politica nuova e decisamente più incisiva, per cui è indispensabile un forte sostegno degli Stati Uniti, di tutti i paesi UE e della Russia. Per una più forte dinamica di europeizzazione e un percorso più veloce da Dayton a Bruxelles, Inzko dovrebbe giocare con decisione il proprio ruolo di Rappresentante Speciale dell'UE (EUSR) e, grazie al sostegno internazionale dell'Ufficio EUSR, dovrebbe rendere forti le istituzioni con mezzi adatti e meccanismi sanzionatori con cui assicurare che le riforme attuate finora in tale processo non vengano minacciate dalla prassi politica quotidiana e dai giochi delle élite etno-nazionaliste locali. L'Ufficio dell'EUSR, quindi, deve possedere meccanismi sanzionatori nel caso di interruzione delle riforme UE, ma al contempo offrire anche una serie di misure concrete per velocizzare il cammino della BiH verso Bruxelles.

Il tempo scorre veloce, soprattutto per la Bosnia, che ha già perso troppi anni da Dayton ad oggi. E scorre anche per il nuovo Alto Rappresentante Inzko, sul quale ci sono grandi aspettative. Entro l'estate Inzko dovrà offrire un piano chiaro, pratico e simbolicamente efficace per accelerare il processo di europeizzazione e per far uscire la BiH dal circolo vizioso in cui è rimasta bloccata negli ultimi anni. Ecco come dovrebbe essere un “Quick-Start-Package” che vada incontro ai desideri e alle esigenze dei cittadini della Bosnia Erzegovina:

1. Il regime del visto è diventato “simbolicamente e realmente” il tema principale del processo di europeizzazione. Le code davanti alle ambasciate sono segno della ghettizzazione della Bosnia. Per mettere in pratica i criteri per abbattere il regime del visto, a cui bisogna lavorare in modo più incisivo e serio, sono necessarie delle immediate misure ad hoc. Inzko dovrebbe fare il primo passo e, insieme alle imprese locali e straniere e agli stati membri interessati, offrire già quest'estate alcune centinaia di pacchetti Interrail (biglietti ferroviari per viaggiare in tutta Europa) agli studenti e ai giovani della Bosnia Erzegovina, il 70% dei quali non è mai stato in UE. Così facendo i giovani della BiH avrebbero la possibilità di scoprire realmente l'Europa.

2. In un tempo in cui la crisi economica colpisce pesantemente la Bosnia Erzegovina e i suoi abitanti, e nel contesto di difficoltà politiche per l'implementazione delle riforme economiche e sociali, sono necessarie strutture nuove e innovative per uscire dalla crisi. Inzko dovrebbe istituire già a maggio un “Forum di consultazione economico e sociale” a cui parteciperebbero persone capaci ed esperti pronti a fare riforme insieme a rappresentanti delle forze riformatrici, i sindacati, rappresentanti del mondo economico - in particolare delle piccole e medie imprese, l'attivo settore non-governativo, nuovi movimenti come ad esempio ”Dosta”(Basta), e tutte le altre strutture orientate verso il cambiamento. Tale Forum, sostenuto a pieno titolo dalla comunità internazionale, dovrebbe riunirsi regolarmente, elaborando proposte praticabili e soluzioni in grado di risolvere i problemi economici e sociali della Bosnia, aumentando la pressione sulla élite politica al governo e cercando nuove vie per la loro realizzazione. Un forum al di sopra delle entità potrebbe dare maggiore visibilità e, solo così, maggiore potere a tutte le forze riformiste in BiH, distruggendo uno spazio politico uniformato e usurpato su cui governano ora delle élite su base etno-nazionalistica e delle strutture partitocratiche.

3. La riforma costituzionale è una prerogativa fondamentale per l'europeizzazione della Bosnia Erzegovina. Inzko dovrebbe formare urgentemente un Gruppo di lavoro costituzionale (Task Force Constitution) a cui, oltre alle forze politiche, prenderebbero parte anche i rappresentanti delle varie iniziative civili. Un gruppo così composito dovrebbe essere seguito da un chiaro messaggio della comunità internazionale che afferma che la riforma della Costituzione è indispensabile per il cammino della BiH in Europa. Quest'estate si dovrebbero elaborare delle proposte concrete per risolvere i nodi cruciali del momento e per attuare un processo di modifiche step-by-step. Le proposte del Gruppo di lavoro dovrebbero poi essere sottoposte quest'autunno al Parlamento della BiH. Il nuovo pacchetto costituzionale europeo dovrebbe diventare la legge da rispettare al posto di quella dei singoli partiti politici, e dovrebbe basarsi sul principio dell'amministrazione statale e della sussidiarietà. Questo significa anche che bisogna riformare il voto delle entità come mezzo di blocco etno-nazionale delle istituzioni statali, e che si devono trovare meccanismi democratici diversi per tutelare gli interessi nazionali, che non mettano in pericolo il funzionamento dello stato.

4. I cittadini della Bosnia Erzegovina vogliono essere parte a pieno titolo dell'Unione Europea. Fino ad oggi le élite politiche sostengono, almeno a parole, di essere dello stesso parere. Ma è giunto il momento che anche le élite della BiH trasformino questa retorica in lavoro concreto per una Bosnia Erzegovina europea. Devono inviare un chiaro segnale all'UE per far capire che sono pronte per le riforme e che l'ingresso in UE è una prospettiva di tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina. Dato che la BiH ha già perso abbastanza tempo ed è il fanalino di coda degli altri paesi della regione, l'UE e l'EUSR dovrebbero subito iniziare a lavorare al progetto anche con la pianificazione di misure concrete per un “partenariato UE junior” per la BiH. In quest'ottica Inzko deve immediatamente chiedere al Consiglio dei ministri di nominare un nuovo capo della Direzione dell'integrazione europea, e poi chiedere la trasformazione della Direzione in un ministero per l'Integrazione Europea, che potrebbe venire rafforzato da quadri nuovi provenienti anche dalla numerosa diaspora bosniaca. Insieme alla Direzione dell'integrazione europea, l'EUSR deve - già durante l'estate - elaborare un piano concreto per il "partenariato europeo junior", e porlo al vaglio del Parlamento bosniaco e degli organi dell'Unione.

Vedran Džihić è direttore e Christophe Solioz segretario generale del Centro per le Strategie di Integrazione Europea

giovedì 30 aprile 2009

Richiesta di aiuto dalla Bosnia: due pompe per l'acqua

Ciao da Breza,

una richiesta (in emergenza...) del nostro partner locale Municipalizzata di Breza: dopo una quindicina d'anni di servizio le due pompe (centrifughe ad asse orizzontale, pare) di italica marca Caprari avute in donazione durante la guerra stanno per lasciarci, con probabili gravi conseguenze sulla disponibilita' d'acqua a Breza, gia' di per se' incerta... I motori elettrici allegati alle due pompe invece funzionano ancora bene

Se sapete di qualche municipalizzata nostra che ne abbia di dismesse in magazzino (due: viaggiano in copia) e voglia spedirgliele, ve ne saranno eternamente grati (cioe', almeno fino a quando non si scasseranno anche quelle :-)

Enrico

“IL CIBO AL CENTRO, L’AGRICOLTURA OVUNQUE!”


DOCUMENTO
del Comitato Italiano per la Sovranità Alimentare
e della Coalizione Italiana contro la Povertà – GCAP Italia
in occasione del G8 dei Ministri dell’Agricoltura Cison di Valmarino (TV), 18 – 20 Aprile 2009


L’Italia ospita quest’anno il summit del G8 nel cuore di una crisi finanziaria che si è sovrapposta alla crisi alimentare ed energetica, per poi diventare una crisi economica con effetti sull’economia reale e sul benessere delle famiglie. Il recente default mondiale si è infine inserito su due crisi strutturali come quella climatica e quella della governance globale.
Nessuna di queste crisi è stata prevista dalle autorità né affrontata con strategie politiche adeguate e con senso di responsabilità, generando solo risposte palliative, in perfetta continuità con le politiche responsabili di un tale effetto domino. Come diceva Albert Einstein, “la follia è fare sempre la stessa cosa e attendersi risultati diversi”. Ne ricaviamo la forte sensazione di un’incapacità prospettica e gestionale da parte di quella leadership globale che pretende di guidare il mondo.
Lo scoppio della crisi alimentare ha fatto nuovamente emergere la necessità di restituire all’agricoltura il ruolo che le spetta, ponendola al centro delle priorità e delle politiche dei governi. Fino all’impazzimento dei prezzi delle derrate agricole che in un solo biennio ha spinto nell’insicurezza alimentare altri 100 milioni di uomini, donne e bambini, l’agricoltura era considerata solo come un settore secondario, come mero ostacolo alla chiusura del negoziato sul commercio internazionale. Ne è sintomatico esempio il calo drastico dell’aiuto pubblico allo sviluppo agricolo, che da un massimo del 18,1% del 1979 è precipitato al 3,5% del 2004, come evidenziato con evidente senso di colpa anche dalla Banca Mondiale. Le poche risorse disponibili sono state inoltre indirizzate verso un modello produttivo agroesportatore di un numero molto limitato di commodities che si è rivelato fragile, energivoro e a beneficio di elite ristrette, al nord come al sud. Un modello preda della volatilità dei prezzi e indifferente alla sicurezza alimentare.
Per noi è sempre stato chiaro che intorno all’agricoltura e al cibo si costruiscono relazioni sociali, governo del territorio, sovranità delle nazioni, diritto all’alimentazione; è uno dei pochi settori che produce ricchezza materiale e che nel mondo garantisce occupazione più di qualsiasi altro.
Restituire all’agricoltura il ruolo che le spetta significa anche riconoscere il valore del lavoro agricolo svolto da oltre 1 miliardo e 300 milioni di persone attive nel settore, circa il 50% dell’intera forza lavoro del pianeta, parte della quale rappresentata da lavoratori salariati, dipendenti per lo più stagionali e che, in molti paesi del mondo, non godono né dei diritti sindacali né di tutele contrattuali, né di misure sociali; così come nel mondo l’agricoltura arruola un esercito di lavoratori-bambini o immigrati sfruttati.
Lo smantellamento dei sistemi agroalimentari interni per affidarsi ad un anonimo “vivandiere globale” ha fatto sì che la crisi alimentare si abbattesse più crudamente, mettendo in evidenza in maniera inequivocabile che un’agricoltura senza agricoltori produce consumatori senza cibo.
In realtà l’umanità non ha mai disposto di tanto cibo come oggi, sufficiente, per la FAO a sfamare 12 miliardi di individui. Nel biennio 2007/2008 (quello della crisi alimentare) la produzione di cereali, base dell’alimentazione di tutto il pianeta, ha toccato i suoi valori record, ma la convergenza del caro petrolio e del business degli agrocarburanti con la speculazione finanziaria, fattori esogeni al settore agroalimentare, ha determinato una spirale inflattiva che ha seriamente colpito i consumatori senza al contempo migliorare il reddito degli agricoltori.
La libertà di azione concessa alla speculazione finanziaria, lasciata operare in un quadro di completa deregolamentazione, ha permesso anche la diffusione di insostenibili monocolture per la produzione di agrocarburanti orientata all’esportazione che hanno sottratto terreni agricoli per la produzione di cibo senza contribuire minimamente alla mitigazione climatica. Per questo chiediamo una moratoria immediata sugli agrocarburanti monocolturali a filiera lunga e l’uscita della finanza dal cibo e dai patrimoni fondiari sui quali ora si sta proiettando l’ombra lunga dell’economia di carta in cerca di asset remunerativi dopo l’esplosione delle recenti bolle speculative.
In questo contesto l’Africa sta pagando il prezzo più alto. È il continente dove si registra il più alto tasso d’occupazione agricola e il più alto numero di persone colpite da insicurezza alimentare, dove il cambiamento climatico ha i suoi effetti più devastanti, dove sono state più perniciosamente perseguite le politiche di aggiustamento strutturale con tagli alla spesa pubblica, annullamento dei servizi all’agricoltura (fornitura di fattori produttivi, credito, assistenza tecnica) e degli strumenti di gestione dell’offerta. L’Africa è divenuta così un continente che ha aumentato le esportazioni di prodotti agricoli primari aumentando al contempo in maniera più che proporzionale le proprie importazioni di prodotti alimentari, ovvero il suo indebitamento e la sua vulnerabilità politica. Sull’Africa inoltre stanno recentemente convergendo molteplici interessi geopolitici legati al controllo delle terre fertili e delle sue risorse naturali o volti all’appropriazione del suo mercato in espansione. Da una parte banche, imprese, investitori, agrobusiness e governi non africani proiettano sul continente i propri investimenti speculativi attingendo alle sue abbondanti risorse, dall’altra si cerca di applicare al suo sviluppo agricolo un modello universale e datato come quello della nuova rivoluzione verde per generare profitti attraverso il commercio di sementi industriali, fertilizzanti e pesticidi, aggravando le condizioni di salute dell’ambiente e aumentando il livello di indebitamento degli agricoltori.
Un percorso alternativo allo sviluppo dell’agricoltura africana e al soddisfacimento del fabbisogno alimentare dell’Africa è proposto dalle organizzazioni contadine, di allevatori e di pescatori artigianali che rivendicano la capacità dell’Africa di provvedere al proprio fabbisogno alimentare facendo di questa piattaforma l’oggetto di negoziazione con le istituzioni regionali e internazionali. Queste organizzazioni sono in procinto di creare una Piattaforma continentale di reti contadine regionale capace di interloquire con l’Unione Africana e le altri istituzioni intergovernative in difesa degli interessi della maggioranza della popolazione africana.
Quello che queste organizzazioni rivendicano si basa sulla difesa del modello di agricoltura familiare e agro ecologica, ampiamente capace di rispondere alla domanda alimentare del continente a patto di essere sostenuto adeguatamente. Ciò richiede delle politiche agricole regionali e nazionali – formulate con la partecipazione degli attori sociali – che reintroducano i servizi all’agricoltura aboliti con l’aggiustamento strutturale, dirigano gli investimenti verso le economie e le infrastrutture rurali, costruiscano i mercati locali e regionali e li difendano dalla competizione sleale da parte della sovra-produzione dell’agricoltura industriale e sussidiata in altri parti del mondo, difendano l’accesso dei contadini alla terra e alle altre risorse naturali.
In particolare, le tecniche agronomiche e di produzione agricola richiedenti ingenti quantitativi d’acqua, sono oggi una delle maggiori cause dell’emergenza di risorse idriche. L’acqua dolce sottratta agli ecosistemi naturali e utilizzata per l’approvvigionamento di sistemi agricoli in larghissima parte destinati all’esportazione, sottrae tale bene pubblico fondamentale alle comunità locali, principalmente nei paesi poveri.
Per garantire la sicurezza alimentare interna e un reddito equo ai produttori di cibo, al Nord come al Sud, è necessario tutelare i mercati locali: i paesi devono avere pertanto il diritto di promuovere il commercio di prossimità attraverso misure capaci di arginare gli effetti del dumping o le misure distorsive del commercio internazionale utilizzate per penetrare in modo sleale nei mercati dei paesi in via di sviluppo, come i sussidi all’esportazione. Il diritto alla sovranità alimentare deve essere il principio-guida nei processi negoziali in corso a tutti i livelli, multilaterali e bilaterali, ma perché sia esigibile va salvaguardato un multilateralismo autentico, dove il ruolo delle Nazioni Unite e delle loro agenzie dedicate sia centrale e prevalente nel sistema di governance globale.
Occorre dare priorità in tutte le sedi istituzionali ai mercati locali e alla filiera corta invece che farne il terreno favorevole per le grandi concentrazioni dei sistemi della grande distribuzione organizzata internazionale.
Questo consente di avere uno spazio rurale ricco in popolazione e attività agricola, (meglio avere un vicino che un deserto come vicino), la mitigazione del caos climatico, l’emancipazione da fonti fossili di energia, la tutela ed il ripristino della fertilità dei suoli, un’agricoltura economa nei costi di produzione, la qualità e salubrità dei prodotti strettamente legata alla biodiversità agricola locale e alla quantità di lavoro impiegata. In sostanza una strategia che contempli la gestione sana del territorio e delle risorse naturali, la coesione sociale, una economia tarata sui bisogni e sui diritti, la sovranità alimentare e la sicurezza tout court dei paesi.
Queste non sono deliberazioni ideologiche, ma pratiche che le organizzazioni sociali stanno moltiplicando nel pianeta: il moltiplicarsi di esperienze virtuose ancorate sui mercati di prossimità, l’estendersi delle superfici a biologico, da intendersi come modello di sviluppo rurale e non come mera tecnica, l’affermarsi di pratiche di ricerca partecipata che rendono gli agricoltori co-titolari dell’innovazione, sono le modalità con cui si rimettono al centro dei processi di sviluppo le comunità contadine restituendo loro un necessario protagonismo.
Un modello di agricoltura di piccola scala e agroecologica non rappresenta una soluzione velleitaria ma è quanto caldeggiato dai 400 esperti che hanno prodotto lo IAASTD report, promosso fra l’altro da Banca Mondiale e FAO e sottoscritto da una sessantina di paesi. Questo rapporto, che la comunità internazionale sembra ostinarsi ad ignorare, dice inoltre che gli OGM non rappresentano un’opzione valida per garantire la sicurezza alimentare, il welfare dei contadini e la soluzione al cambiamento climatico. Le colture transgeniche, non solo mantengono l’agricoltura subalterna alle logiche industriali, ma introducono con i brevetti e i contratti di coltivazione una forma di controllo sulla produzione di cibo che mette a repentaglio la sicurezza alimentare del pianeta, sommandosi ai rischi di inquinamento genetico che minacciano la biodiversità naturale e l’integrità delle produzioni alimentari. Gli OGM quindi rappresentano un modello di produzione insostenibile.
Politiche che facciano leva sull’agricoltura agroecologica, sulla centralità del lavoro e sul diritto al cibo e alla sovranità alimentare devono divenire prioritarie per le autorità pubbliche e le istituzioni internazionali. Assistiamo preoccupati al moltiplicarsi di luoghi di governance sul cibo e l’agricoltura che disperdono le energie e impediscono un confronto democratico e trasparente con le rappresentanze sociali. La proposta lanciata dal Governo francese e del G8 di una Global Partnership for Agriculture and Food Security deve essere ancora discussa nelle sue modalità per renderla maggiormente partecipata rispetto a quanto lo è stato finora, e in grado di valorizzare le sedi internazionali legittime preposte proprio a garanzia del diritto all’alimentazione, in particolare la FAO. Ci auspichiamo che
questo avvenga al più presto e che i paesi diano un contributo al dibattito in tal senso, nonché le risorse finanziarie necessarie.
La questione della governance è cruciale in questo momento, le istituzioni agricole internazionali devono migliorare la loro efficienza e dimostrare di saper affiancare in maniera appropriata i produttori di cibo perché il loro indebolimento e la loro subalternità ad istituzioni economiche e finanziarie è destinata ad aggravare la situazione.
Per queste ragioni noi chiediamo ai Ministri dell’Agricoltura dei Paesi G8:
- di investire in un modello agricolo che si basi sui principi dell’agroecologia, della priorità dei mercati locali, dell’universalizzazione del diritto di accesso e gestione delle risorse naturali, di una scala familiare della produzione agricola; dell’esclusione di tecnologie inappropriate per gli equilibri sociali e ambientali a partire da una moratoria immediata sugli OGM.
- di sostenere i processi multilaterali e processi di governance inclusivi e partecipati dalle organizzazioni sociali sulla base dei principi di autonomia e rappresentatività per la definizione di politiche agricole fondate sulla sovranità alimentare. Riconoscere come interlocutori principali i movimenti sociali dei produttori di cibo ed istituire un solo luogo di governance globale del cibo e dell’agricoltura centrato sulle Organizzazioni delle Nazioni Uniti basate a Roma.
- di tutelare il diritto al cibo anche vietando l’applicazione di derivati finanziari sulle derrate agricole
- di valorizzare il lavoro agricolo, riconoscendo ai lavoratori i diritti di rappresentanza e tutela sindacale, adottando delle adeguate legislazioni di sostegno sociale e affrontando con forza, insieme alle organizzazioni sociali del settore agricolo, il problema dello sfruttamento del lavoro sommerso
- di valorizzare tutte le filiere ad alto valore agro ecologico, le esperienze di consumo critico e solidale e l’autorganizzazione dell’offerta e della domanda anche grazie allo strumento degli acquisti pubblici, perché costituiscano un’alternativa viabile e concreta per la valorizzazione dell’agrobiodiversità, della piccola e media trasformazione e dei sistemi di produzione locale rispetto ai canali della grande distribuzione organizzata
- ai governi dei Paesi del G8, di impegnare maggiori fondi nell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo agricolo con l’obiettivo di tornare ai livelli raggiunti nel 1979.

martedì 21 aprile 2009

5 per mille - non costa nulla e vale molto

Ecco come destinare anche quest’anno il 5 per mille
per i progetti di RETE


Nei modelli CUD 2008, 730-1 bis redditi 2008 o UNICO persone fisiche 2009
c’è un apposito allegato dedicato al 5 x mille.
Dovrai semplicemente apporre la tua firma e scrivere il numero di codice fiscale di RE.TE.

97521140018

nella prima delle tre caselle (quella riservata al sostegno del volontariato, delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni e fondazioni).

se non presenti la dichiarazione
cioè sei titolare di redditi certificati dal modello CUD e decidi di non presentare alcuna dichiarazione, basterà recarti presso qualsiasi banca, ufficio postale o CAF (Centro di Assistenza Fiscale) e consegnare l’intero allegato relativo alla destinazione del 5 x mille. Ricordati di inserirlo in una busta seguendo le istruzioni che trovi in fondo all’allegato stesso.

se invece presenti la dichiarazione
cioè sei tra coloro che presentano il 730 o il modello UNICO, basterà comunicare al tuo commercialista o al tuo CAF di fiducia, il nostro codice fiscale e firmare, sulla copia cartacea, l’apposito allegato riferito al 5 x mille.


Questa operazione non ha nessun costo per te contribuente, ma aiuterà moltissimo RE.TE. a realizzare i suoi progetti in favore delle popolazioni svantaggiate dei Balcani e del Sud del mondo.

E RICORDA: OGNI CONTRIBUTO A RETE ONG È FISCALMENTE DEDUCIBILE:


La legge 49 del 26/2/1987 e il DLG del 4/12/1997 riconoscono il valore sociale dei contributi per la solidarietà internazionale consentendone la deducibilità fiscale, tanto alle persone fisiche che alle persone giuridiche. Essendo RETE una Organizzazione Non Governativa (ONG) e una Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (ONLUS), tutti i contributi possono essere detratti dalle imposte in sede di dichiarazione dei redditi. In base alla legge 49 sulle ONG si può dedurre dal reddito imponibile fino al 2% del reddito complessivo dichiarato. In base al DLG 460 sulle ONLUS si può detrarre il 19% del contributo fino ad un massimo di 2.065 €.

PER CONTRIBUIRE AI PROGETTI:
C/c postale 42852111 int. Associazione tecnici solidarietà e cooperazione
C/c n° 116874 Banca Etica abi 05018 cab 12100 cin F via San Pio V 15 bis, 10125 Torino

Se vuoi sapere di più sulle attività di RE.TE. ONG clicca su:
http://www.reteong.org http://www.retecoop.blogspot.com
Noi siamo in corso Giulio Cesare 69/9. Tel 011-7707388, email rete@arpnet.it .

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TRA AMICI PARENTI, COLLEGHI E CONOSCENTI!

Un grazie di cuore da noi e da tutti i partecipanti ai progetti di RETE.

venerdì 17 aprile 2009

cerchiamo un cooperante per il Mali

Progetto: Miglioramento delle filiere orticole e organizzazione dei produttori dei Paesi Dogon. (RE.TE/Terra Nuova, finanziamento Ministero Affari Esteri)
Località: Bandiagara (paese Dogon), regione di Mopti

Competenze richieste: esperienza di gestione di progetti, competenza in campo agricolo, lingua francese, preferibile precedente esperienza in Sahel

Tipo di inquadramento: cooperante capoprogetto MAE e rappresentante paese per RE.TE
Partenza prevista: 20 maggio.

per info e cv: Sabrina Marchi, 011-7707388, sabrina.marchi@reteong.org

giovedì 25 dicembre 2008

BUONE FESTE

le crescenti disuguaglianze mondiali, la povertà di miliardi di persone, la mancanza di accesso ai beni fondamentali quali l’alimentazione, l’acqua potabile, l’abitazione salubre, la salute, l’istruzione di base e superiore di masse sterminate,

la privazione dei diritti umani fondamentali di cui sono vittime ancora milioni di bambini, donne e uomini,

lo sfruttamento dissennato delle risorse del pianeta per mantenere in vita un modello di sviluppo insostenibile siano intollerabili e inammissibili alla luce delle potenzialità raggiunte dal genere umano e sono all’origine di tensioni e conflitti fra popoli e fra stati.

Solo la costruzione di una rete di relazioni di cooperazione fra popoli e il comune impegno a combattere questi fenomeni potranno consentire all’umanità di progredire ancora e vivere in pace e concordia.

da "Codice di qualità delle Ong del Cocis"

BUONE FESTE A TUTTI VOI